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In italiano



Un libro-inchiesta “scottante”

sul Consiglio Superiore

della Magistratura (ed altro)





Il libro, appena uscito, s’intitola : “CSM - Comitato di Sostegno ai Magistrati”



L’autore è un giornalista, Domenico Longo, editrice “L’Altra Voce” (laltravoce@aliceposta.it - Tel 08 24 97 16 55)



Si tratta di un duro e dettagliato attacco frontale contro il Consiglio Superiore della magistratura



Vi si afferma fra l’altro, in tutte lettere, che il CSM, invece che un organo di controllo sulla correttezza dell’operato dei magistrati, come stabilito dalla Costituzione, è divenuto “l’apice protettivo di un formidabile sistema di potere deviato e corrotto”, quello della “corporazione dei giudici, una delle più potenti lobby del paese, la sola praticamente senza controllo”



Determinando in Italia un vero declino dello stato di diritto, patrimonio e punto d’arrivo di un lungo e faticoso percorso di civiltà...



In nome di un cosiddetto principio dell’indipendenza dei magistrati “si è generato un mostro tutelato dalla Costituzione, l’ormai famigerato “autogoverno della categoria”



Sicché, secondo il Longo, il motto più appropriato per i magistrati in Italia è : “In nome della legge... abusate !”





Invano infatti l’articolo 105 della Costituzione stabilisce che “spettano al CSM... i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati che manchino ai loro doveri o tengano nell’esercizio delle loro funzioni, una condotta tale che li renda immeritevoli della fiducia e della considerazione di cui devono godere, o che compromettano il prestigio dell’Ordine Giudiziario”.



I magistrati possono distruggere impunemente la libertà, l’onorabilità e la situazione finanziaria altrui ignorando ogni criterio di giustizia, ma non si può toccare all’onorabilità di un magistrato, anche quando questa in realtà non esiste più.



Si è infatti instaurato, sia nel CSM che nei tribunali, “un sistema di copertura ad oltranza, una vera prassi di autoassoluzione dei giudici” dai loro abusi grandi e piccoli, sicché l’operato dei magistrati viene ad essere praticamente incontrollabile, in barba alle leggi.



Grazie alle devianze del CSM, quello dei giudici è diventato in Italia un potere in grado di coprire le peggiori malefatte proprie ed altrui, e colpire arbitrariamente chi gli aggrada.



Potere attualmente cresciuto al punto che i giudici non si limitano ad assicurare la propria impunità, ma si ritengono investiti di un potere universale, tale da imporre la loro volontà anche alle istituzioni legislative (Parlameto) ed esecutive (Governo) democraticamente designate dai cittadini, ad onta del principio costituzionale della separazione dei poteri.



Non c’è da sorprendersi quindi se in questi anni si sono moltiplicate incredibili violazioni compiute da magistrati nel corso di indagini e processi.



Carnevale, Mannino, Contrada, Andreotti ed altri sono stati esposti al ludibrio della gente e distrutti finché, di fronte all’evidenza degli abusi giudiziari che erano stato loro perpetrati, li si è dovuti assolvere.



Altri non hanno saputo resistere al ludibrio, e si è avuta una serie impressionate di suicidi : Ligresti, Moroni, Signorino, Gardini, Cagliari, Lombardo, Cicogna, Lombardini, fra gli altri.



Diventa perciò necessario, afferma il libro, che venga sciolto questo “carrozzone dannoso” (e anche “costoso” visto che grava sui cittadini per decine di milioni di euro all’anno) che è il CSM, sostituendolo con un Consiglio esterno alla magistratura, in grado di vigilare effettivamente sull’operato dei giudici.



Una riforma valida della giustizia del Bel Paese dovrebbe dunque cominciare proprio con “una modifica della Costituzione che smantelli questa dannosa impalcatura, così da ridare finalmente agli Italiani la perduta fiducia nella giustizia”.



L’ “onorabilità” dei giudici...


Fra fra l’altro, sottolinea l’autore, sono divenute frequenti e spesso con conseguenze particolarmente gravi, “sparizioni” di atti fondamentali (querele, ricorsi, istanze, opposizioni, elementi di prova ecc.) e “dimenticanze” di emettere provvedimenti dovuti per legge, con sistematico rifiuto di darne conto.



Sicché il ricorso di un cittadino contro tali abusi si rivela quasi sempre illusorio, risolvendosi sistematicamente in una “archiviazione” della quale il CSM rifiuta di far conoscere gli atti e addirittura le motivazioni, col pretesto di dover “salvaguardare l’onorabilità dei giudici”.



Tutt’al più, dopo varie istanze, o magari diffide, il CMS si limita a “spiegare” l’archiviazione col dichiararsi “incompetente”. Ed usa, per questo, una sorta di formula standard, tanto onnivalente quanto oscura : “Si archivia perché trattasi di motivi giurisdizionali”.



Proviamo comunque a tradurre : si tratta di faccende di cui non è competente il CSM, ma Procure e Tribunali.



Sennonché, se un cittadino prova a ricorrere a una procura o a un tribunale, non fa che cadere dalla padella nella brace.



Infatti il magistrato accusato dal cittadino da chi viene giudicato ? Da un altro magistrato, e puntualmente scatta l’imperativo di “difendere la dignità” (alias l’intoccabilità) dei magistrati, in barba alle leggi a alla posizione di serena equidistanza che sarebbe d’obbligo per un giudice.



Non c’è dunque da sorprendersi se ne vengono fuori sentenze di compiacenza.



E ogni tentativo di riforma, avanzato timidamente dai governi passati per impedire che i magistrati siano giudicati da loro colleghi, ha trovato una resistenza finora insormontabile della super-lobby della magistratura.



Esempi in serie



Ma il libro non si limita ad esprimere le critiche di fondo che abbiamo in parte sintetizzato più sopra, ma fornisce, a riprova, vari esempi concreti che l’autore appare conoscere a fondo, alcuni avendolo riguardato da vicino, ed altri scoperti nel corso della sua attività di giornalista.



Vediamone alcuni.





Primo esempio. Il Longo aveva querelato un notaio, Vito Antonio Sangiuolo, accusandolo di aver intascato somme prese indebitamente da un suo conto corrente bancario, e di fare la stessa cosa a danno di altri.



Aveva anche pubblicato sull’argomento un articolo, sicché il Sangiuolo lo aveva querelato a sua volta per diffamazione a mezzo stampa.



Delle due querele reciproche ebbe ad occuparsi un PM, Cecilia Annecchini, che chiese l’archiviazione di quella del Longo dichiarandola, surrealmente, “contro ignoti”, mentre vi erano indicate con precisione sia le generalità del notaio che quelle della banca, e allegati gli estratti conto dai quali risultavano gli ammanchi.



Il Longo fece allora opposizione, nel termine prescritto di dieci giorni, a tale strana richiesta, sicché aveva il diritto di partecipare al dibattito in camera di consiglio dove il GIP, Pasquale Santaniello, doveva decidere se accettare la richiesta di archiviazione oppure rinviare a giudizio il Sangiuolo.



Ebbene, quell’atto di opposizione “scomparve”.



Di conseguenza il Longo non fu neanche avvisato dell’udienza, non poté parteciparvi, e il Santaniello potè emettere tranquillamente un decreto di archiviazione.



Il giornalista chiese allora all’Annecchini e al Santaniello, con un’apposita istanza, di conoscere qual’era stata la sorte del suo atto di opposizione... Ma nin ne ebbe risposta.



Questo, per quanto riguarda la querela del Longo contro il Sangiuolo.



Il... coup d’éclat



Quanto invece alla querela presentata dal Sangiuolo per diffamazione a mezzo stampa, l’Annecchini chiese e ottenne immediatamente il rinvio a giudizio del Longo.



E così il giornalista si trovò non solo con la sua denuncia contro il Sangiuolo archiviata, ma lui stesso imputato...



A questo punto, decise di reagire con un vero... “coup d’éclat”. Fece stampare un gran numero di volantini contro la Procura di Benevento e il notaio Sangiuolo, e li fece lanciare da un aereo massicciamente sulla città.



Scandalo nell’opinione pubblica, dopodiché non si ebbero più notizie del suo rinvio a giudizio per diffamazione a mezzo stampa.



Tanto che un senatore, Emidio Novi, presentò un’interrogazione al ministro della giustizia per sapere che fine aveva fatto quel processo.



Risposta del Castelli: il notaio aveva rimesso la querela.



Solo che una tale remissione, per essere valida, doveva per legge essere accettata dal Longo, il che non era avvenuto, tanto più che nessuno glielo aveva mai chiesto.



“Tutto era stato dunque combinato” osserva il Longo “tra il Sangiuolo e la Procura della Repubblica di Benevento, in barba alle leggi”.



L’Annecchini e uno strano suicidio...



Secondo esempio. Un giovane poco più che ventenne, Silvio Garofano, fu rinvenuto cadavere in un casolare di campagna nel Beneventano.



Il decesso sembrava avvenuto per suicidio per impiccagione, ma il medico chiamato all’atto del rinvenimento, Mario Scetta, direttore sanitario della GEPOS di Telese Terme, scrisse nel referto che era poco probabile potesse trattarsi di suicidio.



Nonostante ciò, par ordine della PM Annecchini, la salma fu tumulata in tutta fretta il giorno dopo, senza neanche autopsia, e l’indagine poté essere archiviata senza che vi fossero rimasti indagati.



In realtà il giovane era stato utilizzato come prestanome-paravento da un’astuta organizzazione che lo faceva comparire come legale rappresentante di società fantomatiche, con giri di assegni e titoli di credito relativi a fatturazioni fittizie di merci.



In cambo di miseri 500 euro al mese, gli si faceva firmare atti e titoli che gli venivano di volta in volta preparati, con i quali fra l’altro si recuperava l’IVA e si ottenevano finanziamenti, con singolare facilità, da politici locali.



A un certo punto però la guardia di finanza si era data ad indagare sulla faccenda e il Garofano, che sapeva troppe cose, fu trovato appunto cadavere.



C’erano dunque tutti gli elementi per un’accurata inchiesta, ma la PM Annecchini bloccò istantaneamente tutto facendo tumulare il giovane senza autopsia...



Da notare che l’Annecchini esercita nella stessa città, Benevento, dove il marito ha uno studio legale ben avviato. Difficile dunque che abbia la necessaria libertà di decidere su certe procedure.



La Pacifico e il Piccialli...



Terzo esempio. Il Longo aveva denunciato di essere stato “gambizzato” in un agguato con armi da fuoco, e aveva indicato sia l’esecutore materiale che il mandante, personaggi, affermava, “in odore di camorra”.



La pratica venne affidata a un PM della procura di Benevento, Giovanna Pacifico la quale, davanti all’evidenza dei fatti, chiese il rinvio a giudizio degli accusati.



Sulla richiesta doveva comunque decidere il presidente Paolo Piccialli, magistrato particolarmente “potente” che incuteva un tale terrore nel Palazzo di Giustizia di Benevento che, per esempio “a un’impiegata della cancelleria, quando lo avvertiva nei paraggi, notoriamente scappavano delle gocce di pipì, diventando incontinente dalla paura”.



Il Piccialli era infatti presidente di entrambe le sezioni penali del tribunale di Benevento, nonché presidente della sezione GIP, e indiscusso favorito per il posto di capo della Procura della Repubblica di quella città (almeno finché non fu investito dallo scandalo seguito a questo “affaire”, come vedremo più oltre).



Ebbene il Piccialli respinse tranquillamente la richiesta di rinvio a giudizio della Pacifico, prosciogliendo gli accusati nella fase pre-dibattimentale, quindi senza un pubblico dibattimento.



Fra l’altro nel processo era stato “smarrito” il proiettile che aveva ferito il Longo...



Ora, quando un PM si vede respinta una richiesta di rinvio a giudizio, è quasi automatico che proponga appello contro la decisione, e a maggior ragione se la parte offesa lo richiede formalmente come fece il Longo.



E invece la Pacifico l’appello non lo presentò e, alla richiesta del giornalista di motivare questa sua scelta così inusuale, si guardò bene dal rispondere.



Un giudice senza documenti...



Quarto esempio. Il sindaco di San Nicola Manfredi, paesino in provincia di Benevento, aveva denunciato il precedente sindaco, Fernando Errico.



L’accusava del fatto che, avendo ricevuto i finanziamenti per la ricostruzione dopo un terremoto, invece di distribuirli agli aventi diritto, li aveva trattenuti a lungo in una Cassa di cui era proprio lui presidente ed azionista di maggioranza, e così la Cassa aveva potuto usare quei fondi per propri affari.



Si trattava di un’indagine semplicissima, ma a un certo punto il processo fu tolto a un giudice e passato a un altro, dopodiché non se ne seppe più nulla.



Il Longo scrisse allora un articolo sul periodico “L’altra Voce” dove, per trovare una spiegazione a questo strano “insabbiamento”, indicò un dettaglio che poteva essere significativo: il figlioletto del D’Errico era stato tenuto a battesimo da un magistrato del tribunale di Benevento.



Il nome del magistrato non l’aveva indicato esplicitamente, ma era facile risalire al giudice Raffaele Iannella, che querelò il Longo per diffamazione.



Il processo di primo grado durò ben sette anni e mezzo a causa di numerosi rinvii, dato che l’Iannella si dichiarava spesso impegnato per motivi del suo ufficio.



Ora, nel fascicolo del processo dovevano esserci, come prescritto, i documenti di tutti i partecipanti, e tuttavia mancavano proprio quelli di Ianniella, benché si fosse costituito parte civile.



Documenti fra l’altro fondamentali anche per valutare l’eventuale offesa al suo “decoro e all’onorabilità”, visto che fra l’altro stato nel frattempo trasferito da Benevento a Fermo, a seguito un’azione disciplinare.



E siccome la giudice incaricata del processo, la Troiano del tribunale di Salerno, non provvedeva a sanare questa vistosa mancanza, il Longo li chiese lui quei documenti al CSM, che tuttavia rifiutò di fornirli motivando, al solito, con la “tutela dell’onorabilità del magistrato”.



Alla fine comunque il processo bene o male lo si fece, appena prima della scadenza per prescrizione, e la Troiano condannò il Longo a versare all’Iannella 25.000 euro come risarcimento danni...



E era anche andata bene al giornalista, visto che abitualmente i risarcimenti attribuiti ai magistrati da loro colleghi sono semplicemente stratosferici.



E’ infatti attualmente di gran moda in Italia che i giudici siano parti civili in cause per diffamazione a mezzo stampa e ottengano, attraverso le sentenze chiaramente di favore emesse da loro colleghi, risarcimenti miliardari.



Per cui tutti i giornalisti italiani sono costantemente sotto quella minaccia, se provano a... “toccare” un giudice.



Con le gravi conseguenze che si possono immaginare per la libertà di stampa e per il corretto funzionamento delle istituzioni del paese.



Evviva le “autorità”


Quinto esempio : il gestore delle note Terme di Telese, Costanzo Iannotti, aveva trovato modo di utilizzare privatamente le acque pubbliche di tali terme facendole affluire tranquillamente in un hotel di sua proprietà, scavando per circa un chilometro lungo la strada provinciale che collega Telese Terme con Cerreto Sannita.



E, ciò alla luce del sole, senza che alcuna “autorità giudiziaria” intervenisse, malgrado le segnalazioni.



Del resto in decine di cantieri in corso nella zona non viene mai affissa alcuna tabella che indichi il tipo di lavoro, i responsabili, la ditta appaltatrice o la natura dei fondi stanziati per quelle opere pubbliche.



Si tratta in buona parte di imprese sub-appaltatrici, di cui certe in odore di camorra.





Sesto esempio. Era stata presentata da tempo alla Procura di Benevento una denuncia-querela contro il sindaco del Comune di Solopaca, Pompilio Forgione, con accuse di abusivismo, irregolarità varie e illecito arricchimento attraverso appalti pubblici discutibili.



La P.M Pacifico ne chiese l’archiviazione, alla quale fu fatta opposizione dopodiché

il fascicolo passò al Gip Maria Giovanna Di Carlo... il cui marito aveva una proprietà coinvolta nelle irregolarità denunciate.



Chiamata perciò ad astenersi per grave incompatibilità, si decise infine a passare la mano ad un altro Gip, Simonetta Rotili, nelle cui, mani però la pratica si è addormentata...



Il Buccico...


Di fronte a questi ed altri casi in serie, il Longo presentò un esposto al CSM contro cinque di quei magistrati : i PM Giovanna Pacifico e Cecilia Annecchini, e i presidenti Paolo Piccialli, Pasquale Santaniello e Rosario Baglioni.



E, di rinforzo, pubblicò un pamphlet sul Piccialli, “Breve storia di un processo negato”, inviandone copie anche al CSM.



Sull’onda dello scandalo che ne seguì il Piccialli, fino allora “potentissimo” e perfino, come abbiamo visto, “terrorizzante” presidente del Tribunale di Benevento, fu trasferito a Santa Maria Capua Vetere.



Da dove, essendosi trovato subito in conflitto con quasi tutti i magistrati di quella Procura, venne poi passato a Napoli.



A questo punto il giornalista Longo volle avere notizie circa i procedimenti disciplinari che avevano dato luogo a quei trasferimenti.



Ma, visto che era tutt’altro che facile averne, dato il muro che il CSM erige a salvaguardia dell’ “onorabilità della magistratura” contro ogni richiesta del genere, pensò bene di rivolgersi direttamente al vice presidente della Commissione disciplinare del CSM che non era magistrato essendone, come sul dirsi, un “componente laico”.



Si trattava di Nicola Buccico, con cui potè avere un appuntamento grazie ai buoni uffici di un vecchio amico di costui, Luciano Schifone, ex europarlamentare.



Nel corso del colloquio che ne seguì il Buccico affermò, riferisce il Longo, che il Piaccialli aveva ammesso, davanti alla Commissione disciplinare, gli addebiti mossigli nel pamphlet, certo difficili da negare. E promise che gli avrebbe fatto avere la relativa documentazione.



Sennonché, dopo averlo fatto tornare varie volte da Benevento a Roma nel proprio ufficio al CSM, senza dargli nessuno dei documenti promessi, e dopo non essersi più fatto trovare dallo Schifone, il Buccico alla fine non trovò di meglio che dire al Longo che quei documenti poteva chiederli direttamente da solo al CSM, senza passare per lui...



Il che conferma che neppure la presenza nel CSM di alcuni “componenti laici” designati dai partiti è in grado di modificarne l’andazzo...



Tanto più che, fra quelli, dei membri, che sono anche avvocati come il Buccico, alcuni preferiscono più a stringere amicizie con magistrati che possono essere utili alla loro professione, piuttosto che mettervisi in contrasto.



Esilarante, comunque, la descrizione che il Longo fa per l’occasione del Buccico, che definisce fra l’altro “Sarchiapone”. Ci limitamo a un brano, tanto per darne un’idea:



“Ogni tanto accennava a rimuoversi sulla poltrona con l’intento di posizionarci più comodamente il fondoschiena abbondante e forse anche per trasmetterci un’immagine di sè più impattata e dominante: ma ciò, inevitabilmente, finiva per mettere assai in vista il suo enorme pancione, che traboccava dall’ossuta scrivania come trabocca l’impasto del pane lievitato nelle forme”...



Il... “prestampato”



Ad ogni modo il Longo si recò infine all’ufficio protocollo del CSM per chiedere quei documenti, ma le impiegate lo prevennero che era perfettamete inutile poiché “il presidente Rognoni non ne concede”. Per tutelare, ovviamente, “l’onorabilità dei giudici”.



Già.



Ma il giornalista formulò lo stesso la sua richiesta, e dopo un mese gli arrivò una risposta che puntualmente gli negava il rilascio dei documenti.



“L’onorabilità era dunque salva” commenta il Longo “e anche il privilegio e l’impunità”.



Allora il giornalista, assistito dall’avvocato Fabrizio Zarone, presentò un’istanza formale di diritto di accesso ai documenti amministrativi, ai sensi dell’art. 25 della legge 7 agosto 1990 nr. 241 e dell’art. 4 del D.P.R. 27 giugno 1992 nr. 352.



E così il CSM dovette finalmente decidersi a comunicargli che per tutti i cinque i magistrati era stata disposta archiviazione...



Ma... il Buccico non gli aveva assicurato che almeno tre erano stati condannati ?



Come si spiegava che ora le loro pratiche risultavano archiviate ?



Il Longo chiese allora di conoscere le motivazioni delle rispettive sentenze di archiviazione.



E siccome la risposta non arrivava, dovette formulare una diffida nei confronti del responsabile dei procedimenti amministrativo del CSM.



E così arrivò finalmente una... “motivazione”, cioè quella onnivalente cui abbiamo accennato all’inizio : “Si archivia perché trattasi di motivi giurisdizionali”.



Identica a quelle che il Longo aveva già avuto modo di leggere in almeno un’altra dozzina di provvedimenti del CSM, promossi da altri ricorrenti.



Si trattava insomma, commenta, di una sorta di... prestampato.



A questo punto il Longo chiese al Ministro della giustizia Castelli di disporre un’ispezione sul funzionamento della Procura e del Tribunale di Benevento.



Ma costui si guardò bene dal muoversi, evidentemente standogli a cuore, commenta il Longo, solo quel che riguardava il suo contado bergamasco.



E allora tre parlamentari (i senatori Novi e Fiorino e il deputato Taglialatela) presentarono, sempre al Castelli, un’interrogazione circa il Piccialli, l’Annecchini e il Santaniello.



E il Castelli rispose, quanto al Piccialli, che costui era stato inquisito da un PM della Procura di Roma per i fatti che riguardavano il Longo, ma l’indagine era stata archiviata.



Sennonché, osserva il giornalista, in quel procedimento avrebbe dovuto essere ascoltato innazitutto lui che vi risultava parte offesa, e invece non era stato neppure avvertito della procedura...



Quanto poi all’Annecchini e al Santaniello, il Castelli si limitò a trasmettere un’informazione ricevuta da un giudice, Marilisa Rinaldi, per conto del tribunale di Benevento, secondo cui il Longo non aveva presentato alcuna opposizione in quel processo.



Il che è perfettamente falso, obietta il Longo, l’opposizione essendo stata in realtà ben presentata, anche se in seguito “smarrita”...



Il Pilla e il “pozzo di San Patrizio”



Di fronte a questa serie di “smarrimenti” di atti importanti non solo in quei processi che lo riguardavano ma anche in altri (“neanche ci fosse, nel palazzo del Tribunale di Benevento, una sorta di pozzo di San Patrizio dove finiscono tutti gli atti scomodi”) il Longo indirizzò più volte istanze al Procuratore capo, Ruggero Pilla, affinché aprisse indagini interne, ma non ebbe risposta.



Fra l’altro il Pilla, essendo Procuratore capo, era tenuto per legge a risiedere a Benevento e invece vive a Santa Maria Capua Vetere, provincia di Caserta, dove i figli sono avvocati.



Sicché per recarsi a Benevento usava ogni volta una macchina con autista, a spese dei cittadini.



Il Longo espresse al riguardo critiche ben legittime, ma che non valsero a far cessare le “scarrozzate”...



Di fronte comunque alla serie di documenti che quella Procura riusciva sistematicamente a smarrire, il Longo inviò al Pilla una lettera in cui elencava tutte le irregolarità che aveva potuto riscontrare nel suo modo di “amministrare giustizia” e ne trasmise copie al CSM e al ministro Castelli.



Si trattava di un vero, sonoro schiaffo nei confronti di chi, come il Pilla era, bene o male, il maggiore rappresentante della Giustizia nella provincia di Benevento.

Quella lettera costituiva dunque di per sé un elemento di grave scandalo, che avrebbe dovuto dar luogo quanto meno all’apertutra di un’inchiesta.



Ma non successe nulla...





Questi alcuni degli esempi indicati dal Longo nei dettagli nel suo libro, a riprova dell’urgenza di sostituire questo Consiglio Superiore della Magistratura con un organo esterno e qualificato, separarando controllori e controllati.



E far così cessare quel senso di sfiducia dei cittadini, che si sentono defraudati di uno dei più importanti dei loro diritti, l’accesso alla Giustizia



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