Devastazioni e svendita del territorio sono diametralmente opposte al leghismo
di Gilberto Oneto
Diciannove anni fa la Lega Lombarda si apprestava ad affrontare le sue prime elezioni politiche, lo faceva con mezzi scarsi ma con tanto entusiasmo e con le idee molto chiare. Su Lombardia Autonomista veniva pubblicato il programma del Movimento, uno stringato manifesto in dodici punti lapidari e incisivi.
Il decimo tuonava: "Contro la devastazione e la svendita del nostro territorio, plasmato e difeso dalle generazioni precedenti: patrimonio che abbiamo il dovere di trasmettere integro alle prossime generazioni".
Questo principio è rimasto inizialmente invariato, fino a trovare elaborazioni e sviluppi di dettaglio che hanno generato una serie di iniziative di legge e, in particolare, una proposta di nuova Legge urbanistica, presentata senza esiti nel 1994.
Quello che era uno dei punti più qualificanti del programma e di tutta l'azione autonomista però col tempo si è un po' sbiadito,
proprio mentre altri movimenti autonomisti europei ponevano invece la questione ambientale al centro della loro azione, per le sue forti valenze pratiche e simboliche.
Il puntuale rispetto del territorio è passato in sordina anche in gran parte delle amministrazioni leghiste e sembra tornare solo oggi di attualità, quando un po' tutte le parti. politiche lanciano proposte stravaganti o - quel che è peggio - fanno, o si apprestano a fare, cose aberranti.
Quella antica chiarezza non può non venire in mente quando si sente - ad esempio - parlare di leggi urbanistiche, di case popolari e di grandi opere.
Sull'urbanistica si assiste a un certo decentramento, che potrebbe avere consolanti risvolti federalisti se non fosse per un paio di non secondari dettagli. Il primo riguarda il principio di sussidiarietà applicato al territorio.
Non tutta la materia urbanistica può essere gestita allo stesso livello amministrativo ma va graduata saggiamente in funzione delle sue implicazioni. Le grandi linee di comunicazione vanno affrontate - ad esempio - a livello macroregionale, la politica dei grandi poli produttivi a livello regionale, la pianificazione a livello di aree omogenee e l'attuazione di dettaglio a livello comunale.
Alla macroregione deve spettare il compito di indirizzo, coordinamento e controllo. L'idea delle aree omogenee è profondamente federalista (e leghista) e ribadisce il concetto che il territorio è scandito da rapporti organici che raramente coincidono con i confini amministrativi.
Si deve perciò costruire un meccanismo funzionale di relazioni
e di competenze: oggi si tende a "delegare" e scaricare i problemi senza definire con chiarezza le responsabilità. Si veda la Val di Susa.
In questi giorni poi circolano autentiche tavanate sul problema delle case popolari.
Si fanno proclami di privatizzazioni e giganteschi progetti di nuove costruzioni.
Occorre fare chiarezza: le case popolari servono ad affrontare le emergenze temporanee e croniche che colpiscono la comunità.
Esse devono" costituire una sorta di parcheggio (che va lasciato libero a fine emergenza) per chi si trova in momentanea difficoltà (nuove coppie, povertà temporanee), oppure essere destinate ai nostri bisognosi veri (disabili, anziani).
In ogni caso non devono servire per creare perequazioni: un lavoratore che vive in una casa popolare è in una situazione di vantaggio sociale ed economico rispetto a chi invece deve pagare un affitto di mercato.
Oggi si vuole fare cassa vendendo le case esistenti agli inquilini (che hanno avuto vantaggi con gli affitti ed ora li hanno con gli sconti di prezzo) e con quei soldi fare altre case. Per i nostri indigenti veri? Neanche per sogno! Per gli immigrati!
Così si consumano risorse e spazi per aumentare la pressione sul territorio, l'affollamento e i disagi sociali.
Ultima ma non ultima è la vicenda delle cosiddette "grandi opere".
Ci sono strutture assolutamente necessarie e urgenti da realizzare ma c'è una doverosa gerarchia da rispettare.
Prima si facciano quelle davvero utili: la Pedemontana, le tangenziali, la BreBeMi (per citare le più note), il potenziamento della rete stradale e ferroviaria ordinarie delle aree più congestionate.
Si spendano i soldi per cose utili e non per faraoniche balossate (come il Ponte sullo Stretto e la Tav) che non servono a nulla (se non a distribuire soldi agli amici) e che distruggono le risorse ambientali vere e massacrano il territorio.
Quello che nel programma del 1987 si voleva "trasmettere integro alle prossime generazioni".
fonte: la Padania Venerdì 24 febbraio 2006