Dall'introduzione del libro

di Salvatore Francia

LE DIECI MANIPOLAZIONI(*)
Sono trascorsi oltre cinquant'anni e coloro che ritengono di rifarsi ai quanto mai controversi valori della Resistenza continuano nella loro interpretazione a senso unico della storia, nella mani­polazione non solo del significato dei fatti ma dello svolgimento stesso dei fatti.
Spesso la Resistenza, superando il mito, ha assunto le conno­tazioni di un dogma, affermando l'intolleranza quale principio fondamentale della sua essenza.
Gli epigoni della Resistenza sembrano aver fatto proprio quanto affermava De Maistre nella sua Lettera sull’lnquisizione: «La verità è di natura sua intollerante. Professare la tolleranza è professare il dubbio, ossia negare la fede».
Prima fra tutte le manipolazioni, quella di identificare la guerra civile scatenata da sparuti gruppi di comunisti con una guerra di popolo.
Seconda manipolazione storica, quella di definire la sordida ini­ziativa italiana di sottoscrivere la resa incondizionata con gli alleati angloamericani come un atto di riscatto nazionale e non, propriamente, come un vergognoso tradimento della Germania, del Giappone e di tutti gli altri cobelligeranti del Tripartito.
Terza manipolazione, quella di considerare un susseguirsi di atti terroristici - condannati da tutte le convenzioni internazionali, dalla coscienza civile e dall'etica militare - come se si fosse trattato di normali atti di Guerra.
La legittimazione forzata del terrorismo praticato dalla Resi­stenza europea ha creato gravi precedenti, poiché in essa possono trovare a loro volta legittimazione tutte le forme di terrorismo che nel secondo dopoguerra abbiamo conosciuto, come tutte le forme di terrorismo che verranno.
Quarta manipolazione, quella di definite democratici i valori di una Resistenza condotta essenzialmente dai comunisti, che non solo democratici non lo sono mai stati - nell'accezione europea del termine - ma che operavano agli ordini e in funzione delle finalità dell'Unione Sovietica, che democratici certo non lo è mai stata - sempre nell'accezione europea del termine.
Quinta manipolazione, quella di considerate l’intervento statuni­tense nella Seconda Guerra Mondiale un fondamentale contributo alla lotta per la liberta dei popoli europei, quando gli Stati Uniti d'America perseguivano - e perseguono - unicamente 1'affer­mazione del loro predominio nel mondo, che significa non l'af­fermazione di una nuova concezione della civiltà bensì 1'espansione planetaria della concezione mercantilistica dell'uomo e della società, 1'espansione planetaria della concezione che pretende lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, dello sfruttamento dei popoli della Terra da parte di una oligarchia finanziaria.
Sesta manipolazione, quella di aver tentato di suffragare la manichea quanto demenziale tesi che Italia, Germania, Giappone e i loro alleati abbiano potuto rappresentare in blocco le forze del male contrapposte alle forze del bene, rappresentate invece dalle potenze imperialiste a diverso titolo consorziatesi: Inghilterra, Unione Sovietica, Stati Uniti.
Settima manipolazione, quella che vuole i partigiani delle poten­ze imperialiste tutti immacolati eroi, militants volontan, contro le Potenze del Male assoluto rappresentate unicamente da cinici criminali: se i democratici hanno combattuto per la liberta e la giustizia, non può non risultare implicito ed evidente che quanti scelsero fascismo e nazionalsocialismo sacrificarono la loro esi­stenza in nome della illibertà - e quindi della schiavitù - e dell'ingiustizia.
Demenziale.
Ottava manipolazione, quella culturale, realizzata con l’imposizione di modelli culturali assolutamente estranei alla tradizione europea per quanto all'Europa si riferisce, ma ugualmente si potrebbe dire per 1'Asia, Africa e i Paesi latino-americani, realizzando il più gigantesco etnocidio culturale della storia dell’umanità.
Nona manipolazione, quella della storia, realizzata con la distru­zione di documenti, con l'imposizione di interpretazioni a senso unico, con estorte quanto false testimonianze, con pesanti san­zioni - formulate con l'applicazione di leggi speciali - contro chi abbia la pretesa di interpretare fatti e avvenimenti del passato in chiave anticonformista. In questo modo non si uccide solo la storia, ma la verità. Stupisce che Norberto Bobbio, nella sua risposta a Renzo De Felice abbia il sorprendente ardire di soste­nere che: «... nel giudizio sul fascismo e 1'antifascismo se parli male del fascismo sei un moralista, se parli male dell'antifascismo sei, invece, un bravo storico, anzi uno storico “normale”»: può darsi che il fenomeno ci sia sfuggito, ma risulta che la storiografia degli ultimi cinquant'anni non abbia conosciuto storici dell'an­tifascismo che ne abbiano potuto parlare male, quindi non sono esistiti storici normali, così come non sono esistiti storici definiti semplicemente moralisti per aver parlato male del fascismo. Sono soltanto esistiti gli storici normali - identificabili in tutto quel mondo del conformismo ufficiale - che hanno demonizzato il fascismo, ed esiste il mondo emarginato, esorcizzato, criminalizzato, o quanto meno ridicolizzato, di quanti hanno tentato di porsi - nel giudizio su fascismo e antifascismo - su posizioni di obiettivo distacco, prendendo inoltre in considerazione le ragioni degli altri oltre a quelle degli uni.
Ha ragione Bobbio quando sostiene che i fatti bisogna saperli scegliere, sia per la loro rilevanza che per il loro significato: e proprio seguendo questo criterio che emerge quanto poco siano stati rilevanti, in Italia, i fatti dell'antifascismo e quanto sia equi­voca e opportunistica la loro strumentale interpretazione.
Decima manipolazione, quella che pretende di imporre la propria interpretazione delle altrui dottrine politiche - in questo caso dei soggetti che persero militarmente il confronto con le potenze cosiddette democratiche - dandone una interpretazione assolu­tamente contraffatta e avulsa dal contesto storico, politico, geopolitico ed economico in cui si affermarono. Si tenta di creare dei parallelismi fra le diverse opposizioni europee al fascismo e al nazismo.
Non esistono parallelismi possibili fra la Resistenza italiana e quella francese, tedesca, jugoslava, greca, per fare alcuni esempi. Per quanto si riferisce alla legittimità sia dell'opposizione che della conseguente repressione, sotto qualsiasi regime politico esi­stono degli oppositori e sarà sempre possibile rintracciare qual­cuno che non abbia condiviso un sistema politico o un altro:
questo fatto non significa assolutamente nulla. In nessun periodo della storia dell'Italia unita si sono avuti tanti oppositori, tanti perseguitati, tanti detenuti politici, tanta profusione di secoli di galera, tanti morti ammazzati dalle istituzioni per cause politiche, tante stragi di Stato, tanti sordidi intrighi, tanta corruzione, di quanti se ne sono avuti in questo secondo dopoguerra: vuol dire cosa tutto questo?
O tutto questo non appartiene piuttosto a una deviazione delle regole del gioco politico? Ogni regime tende alla propria conser­vazione intesa come stabilità delle istituzioni, e ogni regime per­segue quanti minacciano - non importa con quale mezzo - la sua esistenza. Non esistono eccezioni. E’ molto difficile definire cosa si debba intendere per "verità", ancor più quando si pretende di definite e sostenere verità che si vorrebbero "assolute". Ci vien detto che la Chiesa di Roma è portatrice di verità. Sarebbe fatica inutile richiamare 1'attenzione della Chiesa di Roma sui crimini dell'Inquisizione, sull'ecatombe di catari, di templari, di indios d'America. La Chiesa di Roma sosterrà sempre che
... 1'accostamento dell'Inquisizione alle persecuzioni imperiali contro i cristiani è sbrigativo fino al punto da dimenticare the i cristiani di Nerone erano la parte sana dell'Impero mentre i Catari del Medio Evo erano i dinamitardi della convivenza civile.
A giustificazione dei crimini dell'Inquisizione, la Chiesa di Roma sosterrà sempre che
Tanto più severa doveva essere l'intransigenza nella situazione tragica della Chiesa in quel tremendo Medio Evo. Alla Chiesa stava allora sulle spalle un compito gigantesco e delicatissimo: cristianizzare un mondo intero che 1'Impero romano aveva degradato fino all'inverosimile e poi abbandonato in disfacelo sotto i piedi trionfatori dei barbari che circolavano in ogni senso a disturbare la rinascita. La Chiesa doveva allora costruire la cosiddetta civiltà cristiana, e chi si figura questa come una costruzione edilizia vedrà subito che ogni persona occupata a rifinirla era ben misera di fronte a un'intelaiatura tanto colossale.
Anche questa può essere, com’è stata e com’è, una possibile interpretazione della storia nel cui corso non si contano i "portatori di verità", spesso fautori di una ininterrotta scia di repressione e di sangue.
Spesso la storia, nei suoi riferimenti, deve basarsi sulla cronaca, una cronaca che difficilmente viene sottoposta a verifica, a causa della disparità di mezzi a disposizione di chi la cronaca la fa e di quanti la cronaca la subiscono.
Gia nel 1837 lo storico inglese Lingard, nella sua History of England affermava:
Per giudicare imparzialmente dei nostri antenati non dobbiamo giudicare i loro tempi alla stregua delle nostre idee e dei nostri costumi, ma bisogna trasportarsi nel periodo in cui essi vissero e tener conto delle istituzioni, legislazioni e modi di governo in cui dovevano muoversi.
Nella realtà ogni uomo è portatore di una verità, della sua verità, così come ogni uomo è portatore di libertà, della sua libertà, e di senso della giustizia, del suo senso della giustizia.
La storia diventa la risultante della contrapposizione fra tante verità, fino a identificarsi con la verità di chi ha saputo imporre la propria verità sulla verità di tutti gli altri uomini: non per questo le altre verità cessano di esistere.
E’ tempo di par condicio, dunque di un civile confronto fra le "verità" emergenti e quelle pregresse, ma è un confronto che si vorrebbe civile unicamente nel breve periodo di tempo di una campagna elettorale, limitato all'ambito delle trasmissioni televisive a carattere specificamente politico. Si ignorano volutamente gli altri mezzi di comunicazione di massa, si ignora che per "politica" occorre intendere essenzialmente "cultura" potendo questa preparare, influenzare, indirizzare, condizionare le scelte politiche.
Non solo in campagna elettorale.
Non si parla, ne se ne manifesta l'intenzione, di par condicio nell’ambito della carta stampata, delle principali case editrici e di cinematografia, dove le scelte culturali e politiche sono im­poste in maniera ferrea dai gruppi finanziari e industriali che ne detengono la proprietà. Si arriva al punto che le agenzie preposte alla raccolta pubblicitaria per i giornali rifiutino di procurare pubblicità a giornali la cui linea politica non sia gradita ai gruppi finanziari di riferimento, in una situazione che vede le agenzie di raccolta pubblicitaria in mano a quegli stessi gruppi finanziari che posseggono televisioni, giornali e case editrici e case di pro­duzione e distribuzione cinematografica.
Il tutto in uno strano connubio che vuole quelle stesse lobbies finanziarie che controllano l'informazione avvalersi della collaborazione manichea dell'intellighenzia di formazione marxista, oggi riqualificata progressista. Una intellighenzia, d'altra parte, che da decenni spadroneggia anche nelle università e nei tribunali.
Un corretto confronto fra le ragioni degli uni e quelle degli altri non si può rimandare: non arriveremmo certo alla scoperta della verità assoluta, ma potremmo sempre avere il conforto di una possibilità di scelta, che è base di libertà.
Non ci sarà riconciliazione nazionale, non ci sarà pace delle coscienze, fino a quando esisterà una storia degli uni che ignori le ragioni degli altri, e una storia degli altri che ignori le ragioni degli uni.
Per anni ho creduto - e credo ancora - nella necessità di un incontro pacificatore cavalleresco fra quanti un tempo - combattenti in nome di un ideale e non topi di convento - ritennero di scambiarsi torture e fucilate, spesso portati a questo da una spirale di odio che a entrambe le parti fu indotta da interessi estranei: agli insorti dagli interessi alleati e delle direttive di Mosca, ai repubblicani da una situazione di non totale indi­pendenza dalla Germania come conseguenza del tradimento dell'8 settembre 1943 e delle necessità imposte da una alleanza non sempre facile, assurta a simbolo di continuità dello Stato.
E’ possibile la pacificazione nazionale? Personalmente ne sono convinto, pur se ritengo necessario un grande atto di coraggio e di onestà, prima di tutto verso se stessi, di capacità autocritica.
Ci si dovrebbe decidere a scegliere il piano delle proprie affer­mazioni, abbandonando quello della negazione delle ragioni altrui, si scoprirebbe che le due più grandi rivoluzioni del secolo, quella fascista e quella socialista, potrebbero avere molte ragioni per riprendere insieme il cammino del riscatto nazionale e popolare, prima fra tutte quella di contrastare lo strapotere della finanza internazionale e il suo stramaledetto progetto di realizzare il "villaggio globale", quella di salvaguardare le identità na­zionali nel reciproco rispetto di tradizioni e cultura, quella di perseguire la giustizia sociale, quella di consolidate una più equa distribuzione delle risorse e della ricchezza, quella di impedire lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo per promuovere il rispetto dell'ambiente nell'ambito di una concezione organica della con­servazione della natura, nella convinzione che il mondo dell'economia e della finanza debba essere subordinato a una visione globale - e in quanto tale politica - dell'esistenza.
Con la caduta dell'impero sovietico e la sua pretesa di imporre il comunismo a tutto il mondo, naturalmente sotto la guida di Mosca, potrebbe essere ipotizzabile anche una via nazionale al socialismo e in questa direzione credo si potrebbe avviare una seria e approfondita ricerca di punti comuni di riferimento.
E’ significativo che la strategia della tensione abbia avuto termine con 1'abbattimento del Muro di Berlino e con la fine della guerra fredda, a conferma della nostra tesi che vuole la stessa essere stata lo strumento strategico della controffensiva occidentale per contenere 1'espansionismo sovietico.
Si è già celebrato il cinquantenario della fine di una guerra che ha visto l'Italia militarmente sconfitta, ma certamente non la sconfitta delle ragioni che portarono l'Italia in guerra.
Deve essere chiaro alla nostra coscienza e alla nostra memoria storica, perché è una chiave di lettura fondamentale, che a essere sconfitto non fu il fascismo (le idee non si vincono in battaglia) ma 1'Italia. Trovo semplicemente aberrante commemorare una sconfitta come se si trattasse di una vittoria, celebrare una guerra civile imposta dall'esterno, in difesa di interessi estranei a quelli della propria terra, della propria gente, della propria civiltà, della propria cultura, delle proprie tradizioni.
Continuare a celebrate il 25 aprile come ricorrenza della "li­berazione" dell'Italia significa semplicemente ribadire la propria volontà di vassallaggio nei riguardi delle potenze militarmente vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, un vassallaggio che perdura dopo oltre cinquant'anni vissuti fra intrighi e strategia della tensione all'ombra della NATO e della CIA e di totale asservimento alle ragioni della politica estera statunitense (il KG.B. non poteva avere molta influenza in Italia, come conse­guenza della spartizione del mondo concordata a Yalta).
Liberazione?
Da chi? Da cosa?
Nessuno aveva chiesto di essere liberato. Solo gli schiavi chie­dono di essere liberati, e noi eravamo un popolo di uomini liberi. Ognuno di noi si porta dentro il proprio bagaglio di ricordi, ricordi che possono anche influenzare una intera esistenza.
Un inciso autobiografico, per me importante perché rappresenta
un'esperienza vissuta da tanti altri ragazzi. Ragazzi muti le cui storie forse non si conosceranno mai: erano i figli dei vinti. Ancor oggi chi ha la curiosità di leggere le cronache o di vedere i documentari girati dai vincitori - per loro gloria e nostra vergogna - negli anni che coincisero con l’invasione dell'Italia da padre delle truppe anglo-americane-polacche-francesi-maroc­chine-brasiliane e altre, ha la possibilità di vedere degli italiani elemosinare sigarette, cioccolato e caramelle, festeggiando 1'arrivo delle truppe alleate.
Con l’avanzare degli alleati transitavano molti profughi che li precedevano spostandosi verso il Nord.
Ricordo perfettamente l'arrivo degli alleati al mio paese, Margherita di Savoia, dodici chilometri a nord di Barletta. Il giorno prima i tedeschi in ritirata avevano fatto saltare il ponte sull'Ofanto per ritardare l'avanzata nemica, attraversando quindi il mio paese senza toccare niente e nessuno.
Ero sul balcone di casa e vidi dei soldati sopraggiungere in lontananza, provenienti da Barletta: li accolse un silenzio mortale e un profondo senso di ostilità li avvolse per tutto il periodo delta loro permanenza. Padri, fratelli e figli vigilavano continuamente sulle proprie donne e ancor oggi credo non si sappia quanti militari alleati siano scomparsi in quel periodo e quanto materiale sia stato loro sottratto.
Nessuno, al mio paese, li ha festeggiati: continuavano a essere il nemico invasore.
Ricordo due militari che mi fermarono chiedendomi, in un italiano approssimativo ma fin troppo eloquente nel suo significato, di portarli da mia madre o dalle mie sorelle: scappai via terrorizzato e mi par ancora di sentire nelle orecchie la loro risata sgangherata, corsi singhiozzando da mia madre raccontandole l’accaduto. Mia madre dovette nascondersi.
Ricordo le perquisizioni quotidiane alla ricerca dei militari scomparsi e delle vettovaglie rubate.
No, al mio paese gli alleati non hanno trovato amici. Non per niente la Puglia fu in prima linea nella resistenza contro gli invasori alleati: osteggiando questi, mai assassinando gli antifascisti, cosa che pur sarebbe stata possibile.
Il 28 aprile del 1945, a Milano, in via Leone Tolstoi, degli eroici partigiani falciarono mio padre con una o più raffiche di mitra, nove pallottole lo colpirono. Mio padre era in borghese, solo e disarmato: qualche vicino lo aveva segnalato come fascista della "Muti" e tanto bastava per assassinarlo. Gli stessi partigiani, dopo aver depredato la nostra casa, spogliarono mio padre di tutto quanto aveva addosso, con tanti altri lo buttarono su un carro delle immondizie per trasportarne i corpi sino in via Washington, in un magazzino della Borletti. Mio padre ebbe fortuna: un medico lo riconobbe, fu operato alla meglio e nascosto, riuscendo a sopravvivere per quattro anni.
Morì a Parigi il 25 aprile del 1949: sono riuscito a ritrovare la sua tomba solo il 25 aprile del 1994.
In quel periodo, con mia madre e mio fratello, eravamo sfollati at Sud. Mia madre non aveva ricevuto più notizie da mio padre e decise di tornare a Milano. Per noi, al Nord non si combatteva una guerra civile, ma la continuazione della guerra da padre di italiani che osteggiavano l'invasione alleata.
Forza dell'incoscienza quella di mettersi in viaggio con un bambino di sette anni e uno di tre, zigzagando per 1'Italia con mezzi di fortuna, attraversando quella che era stata la linea gotica, impiegando nove giorni per arrivare a Milano nei primi giorni di maggio del 1945, quando ancora per le vie, per le piazze, per le campagne del Nord impazzava la furia omicida antifascista
Di quel viaggio ricordo, come in una tragica carrellata, le rovine immense della mia Patria distrutta: le strade, le ferrovie, i porti, le case, i porti, la campagna riarsa.
Una parte del viaggio lo facemmo in un carro bestiame, con dei soldati che tornavano dal fronte, protetti dalle perquisizioni della MP da un ufficiale italiano - credo di Reggio Emilia o di Modena - quando il treno si fermava a fare interminabili ma­novre nelle stazioni distrutte.
Ricordo la fame, l’avviamento verso un campo di internamen­to, la fuga,l'attraversamento a piedi del Po su un ponte di barche, dopo aver viaggiato sulle pericolose passatoie laterali di un'auto­botte. L’arrivo a Milano, la porta di casa sbarrata da assi inchio­date, mia madre che chiama un fabbro per far aprire la porta di quella casa depredata, vuota, l’ospitalità di un vicino (sua moglie era stata portata via dai partigiani, rapata a zero e svanita nelle pieghe di quelle giornate oscure), ritrovare un immenso cratere dove prima c'era stato 1'Oratorio di S. Antonio nei pressi di piazza Napoli, la nostra casa ancora in piedi fra le tante distrutte dai bombardamenti.
Mi venivano in mente i bombardamenti vissuti prima di sfol­lare al Sud: chiusi in cantina, con i pochi viveri, vedere passare le ondate dei bombardieri che sganciavano il loro carico mortale, le esplosioni, gli incendi che si alzavano ovunque nella oscurità della notte.
A torto o ragione, quella terra distrutta, invasa, martoriata, umiliata, era la mia terra, era la terra dove da secoli viveva la mia famiglia, la terra dov'ero nato, dove sarei vissuto, dove si sarebbe svolta la mia esistenza: era la mia Patria, era la terra dei miei Padri.
Per nessuna ragione al mondo avrei potuto, a mia volta, ferirla: questa consapevolezza mi fu propria fin da allora.
I regimi politici passano, la terra dei Padri resta, in tutta la sua essenza.
Ogni anno, il 25 aprile, si celebra la Resistenza.
Ma quale Resistenza?
Quella delle formazioni comuniste che ubbidivano agli ordini che venivano loro imposti da Mosca? Come conciliate gli inte­ressi dell'Unione Sovietica con quelli dell'Italia?
Quella delle formazioni non comuniste che, sul piano militare, ebbero un significato men che rilevante?
Quella del Corpo Italiano di Liberazione, inquadrato fra le truppe alleate - quindi in difesa degli interessi politici e militari dal nemico - in rappresentanza del Regno del Sud - e in obbedienza a un Re fuggiasco e prigioniero?
Quanto non è mai stato perdonato al ciellenismo e alle loro formazioni più importanti di guerriglieri è il metodo impiegato: l'attacco proditorio,l'assassinio gratuito, le stragi indiscriminate, l’odio ingiustificato verso i propri fratelli, il sabotaggio della produzione bellica, la strumentalizzazione delle pur inevitabili rappresaglie, la falsificazione storica, la mistificazione politica, il volersi ostinare a considerate grandi operazioni belliche degli episodi militarmente insignificanti.
Nessuno ha portato a termine una storia militare della Resistenza, nel senso di dare una dimensione alla importanza che l'attività partigiana effettivamente ebbe sull'andamento complessivo delle operazioni militari alleate in Italia, e in questa dimensione accertare quale fu l'importanza delle formazioni comuniste e quale fu l'importanza delle altre formazioni non comuniste.
Altra storia mai scritta è quella delle vittime militari e civili ascrivibili agli scontri fra le diverse formazioni partigiane.
Di quel tempo, forse, l'unica cosa da ricordare è che bisognerebbe dimenticare.