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    Predefinito Euro: 4 anni vissuti dispendiosamente

    Banche, bollette e vacanze i megarincari del dopo lira

    Ecco le variazioni dei listini nel quadriennio calcolate dall'Istat
    Aumenti soft per gli alimentari, giù computer e telefoni

    di LUCIO CILLIS

    ROMA - Quattro anni di rincari. Di speculazioni giocate sul filo del passaggio all'euro, che dal primo marzo del 2002 diventava la moneta ufficiale, dopo due mesi di convivenza per niente pacifica con la vecchia lira. Da allora, fino all'eurocompleanno di due giorni fa, i prezzi al consumo in media sono cresciuti del 6,9 per cento, mentre per alcune categorie di beni e servizi la spinta verso l'alto è stata fino a cinque volte più forte.

    Ad esempio, niente di male se sono le sigarette ad aumentare (del 34,2%). Male, anzi malissimo, invece, se sono i costi degli sportelli bancari e postali, a mettere all'angolo le famiglie con balzi verso l'alto, rispettivamente, del 32 e del 28 per cento. Questo dicono le statistiche dell'Istat che fotografano gli aumenti di prezzi e tariffe (prodotto per prodotto, servizio per servizio) tra il primo gennaio 2002 e il primo gennaio 2006. E che danno un'idea chiara di come in alcuni settori chiave la speculazione, scarsamente contrastata, abbia innalzato i listini in misura del tutto ingiustificata.

    L'ingresso prepotente della moneta unica nella vita delle famiglie italiane ha fatto la felicità di alcune categorie: come i pubblici esercizi (+15,6 per cento per ristoranti e pizzerie in quattro anni), gli impianti di risalita (+22,5 per cento), le professioni (+18 per cento per avvocati e commercialisti), o gli stabilimenti balneari (+21,5 per cento, tre volte l'inflazione).
    Vero è che il caro-carburanti è riuscito a far saltare i conti di molte attività commerciali. Ma è anche vero che la corsa della benzina (oggi a 1,27 euro a litro contro 1 euro tondo del febbraio 2002) e del gasolio ha colpito tutti allo stesso modo sfiorando il 27 per cento (quattro volte la corsa media dei prezzi al consumo). Pesanti i rincari nei trasporti: costi triplicati rispetto all'inflazione per i voli (21,7 per cento) e doppi per i caselli autostradali (+14,8 per cento).

    La lista dei mega-aumenti prosegue con l'acqua potabile, a +17 per cento, mentre gli alimentari in media si posizionano intorno al tasso di inflazione. Con alcune vistose eccezioni, come l'olio d'oliva, rincarato del 20%, il vino ( più 10,9 per cento) la fettina di manzo (più 9,9 per cento) il pane (più 9 per cento), le uova (più 8,4 per cento).

    Pesante l'incremento dei costi per l'istruzione o il divertimento, una delle principali cause del crollo dei consumi "culturali" e del tempo libero nel nostro Paese. Ecco qualche esempio: l'istruzione secondaria, ossia le tasse scolastiche, è aumentata del 25,5% in quattro anni; gli stabilimenti balneari del 21,5%, i pacchetti vacanza del 21,1%, stadi e manifestazioni sportive del 9,5%.

    Certo, ci sono altre voci del paniere Istat che compensano, almeno in parte, tutti questi megarincari. Sull'altro piatto della bilancia troviamo cali significativi, anche molto forti. Ci consoliamo sicuramente con telefoni e cellulari, i cui prezzi sono scivolati del 45 per cento; con i personal computer, in calo del 38,6 per cento. E un aiuto al contenimento dell'inflazione viene infine dalla voce medicinali, i cui prezzi, secondo l'Istat, sono calati del 13,6 per cento.

    Repubblica.it
    (3 marzo 2006)

  2. #2
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    Predefinito Euro:il rialzo dei tasso?Utile solo per la Germania

    NOURIEL ROUBINI
    «Così la Germania va, ma a spese di Italia e Spagna»


    Troppo zelo, troppa fretta a Francoforte. La precipitazione è sempre una cattiva consigliera. E rischia di diventarlo ora anche per la Banca centrale europea, decisa a correre in avanti nel tempo come vivesse in un’economia forte che in realtà è ancora tutta di là da venire. Nouriel Roubini, professore di Economia alla Stern School of Business della New York University, alla ribalta delle cronache di recente per le sue dure critiche a Spagna e Italia, invita la Bce a evitare trattamenti brutali che rischino di strozzare in culla la ripresa europea.

    La reazione di Francoforte è stata misurata: interessi a breve dal 2% al 2,5% in tre mesi. Dov’è la precipitazione?

    «La Bce si è mossa troppo presto e troppo in fretta, avrebbe fatto meglio a attendere che l’accelerazione dell’economia europea diventasse più evidente. L’inflazione di base nella zona-euro, tolti i prezzi più instabili dell’energia e del cibo, è appena all’1,2% e addirittura in calo».

    Qui sta la novità: il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha messo in chiaro che l’impatto del caro-petrolio non va più scorporato dal calcolo degli aumenti di prezzo. Si sbaglia?

    «La Federal Reserve è più attenta all’inflazione di base. Capisco che bisogna guardare ai rincari del listino generale e che questi oggi sono sopra al limite massimo entro il 2% indicato dalla Bce. Capisco anche che Trichet tema che il caro-petrolio si trasferisca negli aumenti dei salari o nei prezzi dei prodotti industriali. Ma mi pare che stia mettendo davvero troppa enfasi sui rischi di surriscaldamento dell’economia».

    Eppure la ripresa c’è, la stessa Bce ha corretto le previsioni di crescita di Eurolandia al rialzo sopra al 2% nel 2006.

    «Sì, sta reagendo agli indicatori che segnalano uno sviluppo più sostenuto. Ma l’ultimo trimestre del 2005 è stato terribile. E la stessa Fed ha aspettato che in America la ripresa mettesse radici per un po’, prima di avviare la stretta al credito. Se fossi Trichet, ci andrei piano».

    Anche se certi indicatori di fiducia delle imprese tedesche, segnalati dall’Ifo, sono ai massimi dal ’94?

    «Molti passi avanti della Germania potrebbero in realtà rivelarsi progressi a spese dell’Italia o della Spagna, sotto forma di quote di mercato sottratte. Forse anche così si spiega il deficit commerciale dei paesi mediterranei, che sale insieme al surplus tedesco».

    Lei sostiene che le banche centrali devono combattere gli eccessi speculativi nel valore dei patrimoni, in primo luogo immobiliari. Ora la Bce lo fa. Sbaglia anche in questo?

    «I governatori devono sì combattere le bolle immobiliari. Ma in Europa i maggiori aumenti sulle case sono in Irlanda, Spagna, Francia e Italia: paesi piccoli o a crescita modesta o nulla. Negli Stati Uniti gli effetti della bolla sull’economia sono più evidenti, i forti rincari avvengono su entrambe le coste e sul 50% degli immobili. Lì la Fed dovrebbe agire».

    Le differenze fra le economie europee continuano a essere così forti?

    «È il dilemma della Bce: deve guardare a Eurolandia come a un tutto unico mentre paesi come l’Italia o il Portogallo sono in seria difficoltà. Intanto i vincoli e le rigidità fanno sì che i lavoratori e le imprese non riescano a spostarsi da una parte all’altra come negli Usa».

    Le imprese in verità ci provano: c’è una vera ondata di scalate nell’Ue.

    «Che i grandi gruppi vogliano espandersi all’estero è positivo. Ma si scontrano con il protezionismo: un altro segno che il grande disagio economico non è affatto superato».

    Federico Fubini
    Copyright 2006 © Rcs Quotidiani Spa

 

 

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