La sinistra italiana sembra pensare che solo un politico carismatico come Barack Obama sarebbe in grado di farle riconquistare il governo del Paese. È un pensiero inquietante. Da un lato è un sintomo di disperazione – non fosse altro perché non ci sono tracce di un Obama italiano. Dall’altro, se gli uomini politici di sinistra non comprendono la vera natura del fenomeno Obama, il loro desiderio di emularlo non potrà che condurli sulla strada sbagliata. E quindi cosa possono eventualmente imparare dalla lezione di Obama? Meno di un anno fa Obama entrò alla Casa Bianca accompagnato da un diffuso entusiasmo. Democratici, afro-americani e osservatori internazionali stravedevano per lui. Ma erano affascinati dal nuovo presidente anche moderati, ceto medio, americani bianchi. Dopo tutto la sua vittoria schiacciante in occasione delle presidenziali era maturata principalmente nelle tradizionali roccaforti repubblicane quali l’Indiana, la Virginia e la Carolina del Nord. Oggi quel clima di febbrile eccitazione è svanito. L’allontanamento dei moderati da Obama sta assumendo le caratteristiche di una migrazione di massa. La maggioranza degli americani è del parere che il presidente non stia facendo bene il suo lavoro. Secondo il più recente sondaggio della Cnn, il 48% dei cittadini americani approva l’operato della presidenza, ma il 50% si dichiara insoddisfatto.
Per capire il fenomeno Obama dobbiamo rispondere a due interrogativi. Come è riuscito a vincere in maniera così schiacciante? E come mai la sua popolarità è svanita tanto rapidamente? Fino a non molto tempo fa la maggior parte dei commentatori sottolineava il carisma di Obama. Ma questa non è più una spiegazione soddisfacente. Da quando ha preso possesso della carica il presidente non è diventato meno carismatico eppure la sua stella non brilla più di luce così vivida. E’ necessaria una diversa valutazione tanto dell’iniziale successo di Obama quanto del suo recente declino. Credo proprio che questa diversa valutazione debba essere incentrata sul tipo di messaggio politico e sul linguaggio che lo veicola. Per anni democratici quali Al Gore e John Kerry sono partiti dall’assunto che gli Stati Uniti fossero un Paese intrinsecamente di destra. Pertanto – così ragionavano – se volevano vincere le elezioni dovevano parlare il linguaggio dei repubblicani. Di conseguenza si affrettarono ad abbandonare i loro ideali. Non ebbero mai il coraggio di offrire agli elettori una diversa visione dell’America. E furono sconfitti. Poi è arrivato Obama. A differenza di Al Gore e Kerry, non ha mai tentato di scavalcare la destra a destra. Al contrario ha rivendicato i principi morali della sinistra – ma con un linguaggio che poteva fare presa su tutti. Tanto per fare un esempio, Obama non ha mai fatto ricorso ad espressioni che potevano mettere paura come «classe operaia». E non di meno, pur a suo modo, ha parlato continuamente dei poveri. In tutte le sue apparizioni nel corso della campagna elettorale ha ricordato una donna che aveva conosciuto, una certa Nancy, che faceva tre lavori per mandare la figlia all'università. O un uomo di suo conoscenza, di nome Jim, strangolato dai debiti perché si era ammalato e non aveva l’assicurazione sanitaria. Il linguaggio di Obama rispettava i confini del discorso politico americano. Era incentrato su immagini atte ad attirare i moderati. E non di meno era di sinistra. Obama sceglieva accuratamente la confezione – ma senza scendere a compromessi sui contenuti. Proprio in questo modo gli è riuscito quanto altri democratici avevano ritenuto impossibile: ha vinto proprio per essere rimasto fedele ai suoi valori. Poi, all’apice della sua popolarità, Obama ha dimenticato il potere della parola.
Criticato da destra per essere tutto parole e niente fatti, Obama è apparso sempre più deciso a dimostrare che non era innamorato della sua voce. Ha messo la sordina alla sua capacità oratoria. Il suo discorso di insediamento, atteso con impazienza, è stato volutamente sobrio. Qualche mese dopo Obama si è reso responsabile di un passo falso ancor più grave. Ben sapendo che la sua proposta di riforma sanitaria poteva rivelarsi impopolare, ha deciso di abbandonare i suoi principi e di cominciare a parlare il linguaggio dell’opposizione. Ha smesso di ribadire che sarebbe stato moralmente sbagliato condannare un cittadino a morte per il semplice, crudele fatto che non aveva l’assicurazione sanitaria. Ha smesso di ricordare la «spietata urgenza dell’ora e subito». Si è persino dimenticato di Nancy e Jim. Obama si è invece convertito alla fallimentare strategia di Kerry. Ha cominciato a far appello agli interessi e non alla virtù civile. La riforma sanitaria – ha preso a dire – era necessaria per ridurre lo spaventoso deficit di bilancio degli Stati Uniti. I repubblicani non aspettavano altro. Una volta che il dibattito aveva accantonato le questioni morali, è stato per loro sin troppo facile convincere la maggioranza degli americani – che l’assicurazione sanitaria ce l’hanno – che qualunque modifica legislativa poteva verosimilmente essere contraria ai loro interessi. Di conseguenza il disegno di legge non è stato ancora approvato dal Congresso. Tuttavia c’è motivo per sperare. Sembra che Obama abbia capito la lezione e abbia riflettuto sui suoi errori. In una recente e-mail sul dibattito intorno alla riforma sanitaria, è tornato ad un uso appassionato del linguaggio per portare avanti le sue argomentazioni di tipo etico: «è una legge che riguarda la nostra identità e ciò cui diamo valore come popolo». Allo stesso modo, nel discorso di accettazione del premio Nobel per la Pace, Obama per la prima volta ha utilizzato una occasione pubblica per difendere la guerra in Afghanistan. Con ogni probabilità i norvegesi non si aspettavano una conferenza in difesa delle «guerre giuste». Ed anche in questo caso la difesa di Obama della missione in Afghanistan era incentrata sul messaggio morale e non su angusti interessi nazionali. Anche nel discorso di Copenhagen il presidente Obama ha miscelato il realismo con la capacità oratoria. «Non è un accordo perfetto», ha riconosciuto. Ma è innegabile che «tutti coloro che sono presenti in questa sala prenderanno parte ad uno sforzo storico che renderà migliore la vita dei nostri figli e dei nostri nipoti». Alla fin fine la sua presenza ha agevolato il raggiungimento di un accordo – che pur rappresentando un compromesso al ribasso è sempre meglio di niente. I discorsi di Obama non sono la cura miracolosa. Non possono convincere gli americani ad approvare una riforma sanitaria veramente radicale, a risolvere la situazione in Afghanistan o a mobilitare il mondo contro il cambiamento climatico. Tuttavia, come le imminenti decisioni del Presidente su come rispondere al recente tentato attacco terroristico dimostreranno, possono davvero fare la differenza. Restringerà ulteriormente le libertà civili negli Stati uniti? Bombarderà lo Yemen? Qualunque sia la decisione finale, l’Occidente riuscirà a sconfiggere il terrorismo solo se Obama, a differenza di Bush, accompagnerà la sua politica di sicurezza con una convincente narrazione. Obama verrà ricordato per la forza e l’importanza della sua retorica? Speriamo di sì. La sua popolarità dipende da quello. Così come la sua abilità di unire la comunità internazionale in una difesa dei principi e dei valori democratici contro il fondamentalismo islamico. Il primo anno di presidenza di Obama consegna due insegnamenti molto semplici all’opposizione italiana. In primo luogo preoccuparsi dei contenuti e non scendere a compromessi. Cercare i tutti i modi di conquistare l’appoggio dei moderati e dei cattolici. Ma non pensiate che ci si possa riuscire abbandonando i propri ideali, dall’impegno a favore dei poveri alla difesa della repubblica laica . In secondo luogo, fate attenzione al linguaggio politico non al carisma. Non vi serve un persona seducente e affabile come Obama. Vi serve qualcuno che parli come lui. In breve, restate fedeli ai vostri principi. Confezionate con prudenza un messaggio politico e fidatevi del potere della parola.
La lezione di Obama all'Italia su contenuti e compromessi - l'Unità.it