M.Fini su discorso di Berlusconi in uSA

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L'«AMICO AMERICANO» E L'INTERESSE EUROPEO


Uscito su "Il gazzettino" il 03/03/2006 03/03/2006 Massimo Fini

Sono penose queste polemiche da cortile che hanno accompagnato il
discorso del presidente del Consiglio davanti al Congresso americano : se si
sia trattato di propaganda preelettorale, di uno spot, di violazione della
"par condicio". Il discorso di un premier davanti al Congresso degli Stati
Uniti, che non è cosa che capiti tutti i giorni, non può che essere un
discorso istituzionale, da statista. E come tale va preso.
Ma è proprio sui suoi contenuti politici che personalmente non sono
per nulla d'accordo. Nel passaggio più importante della sua prolusione
Berlusconi ha affermato: "Il Vecchio Continente non può definire la sua
identità in contrasto con l'America... Una concezione dell'Europa fondata
sulla velleitaria volontà di autosufficienza sarebbe politicamente
pericolosa... non possono esistere due Occidenti".

Se si guarda agli interessi reali dell'Europa di oggi, e non a quelli
dell'America, è vero il contrario. È dal 1989, dal crollo dell'Urss, che i
Paesi europei avrebbero dovuto capire quel che del resto è intuitivo; che la
nostra posizione nei confronti dell'«amico americano » è radicalmente
cambiata. Finchè infatti è esistita l'Unione Sovietica l'alleanza con gli
Stati Uniti era obbligata perché erano i soli a possedere il deterrente
nucleare necessario per dissuadere l'«orso russo» dal tentare avventure
militari nell'Europa dell'Ovest. Il ricatto atomico incrociato proteggeva
anche noi. Per la verità, nemmeno questo era certo fino in fondo, da quando
a metà degli anni Ottanta Ronald Reagan si era lasciato sfuggire che
l'Europa avrebbe potuto essere teatro di un "conflitto nucleare limitato". E
cioè che non era affatto scontato che se i sovietici avessero sganciato
un'atomica su Parigi o su Bonn o su Roma, dall'America sarebbero partiti
immediatamente missili nucleari diretti a Mosca ma sarebbero piuttosto stati
colpiti altri Paesi del Patto di Varsavia. Insomma Usa e Urss si sarebbero
fatti la guerra nucleare per interposta persona.

Comunque sia, nonostante questa dichiarazione di Reagan, la
convinzione europea era rimasta quella che noi eravamo protetti
dall'ombrello nucleare americano . Naturalmente questa difesa, o supposta
difesa, gli americani, giustamente dal loro punto di vista, ce l'hanno fatta
pagare a caro prezzo tenendo i Paesi europei in uno stato di minorità, di
sovranità nazionale limitata e di sudditanza innanzitutto militare
attraverso la Nato e le varie basi Usa, extraterritoriali, disseminate per
tutto il Vecchio Continente; quindi politica, economica e, alla fine, anche
culturale.

Oggi l'Europa, dileguatasi la minaccia sovietica, non ha più bisogno
della difesa degli Stati Uniti e ha l'ovvio interesse a svincolarsi da una
sudditanza di cui paga ancora i prezzi senza averne più i benefici. L'Europa
non ha più interesse a essere alleata "fedele" degli americani (fedeli sono
solo i cani) ma non ha più nemmeno interesse ad essere alleata. Perché gli
americani sono diventati, oggettivamente, dei nostri avversari. Lo sono
sicuramente in campo economico, dove fanno valere, senza scrupoli, le
infinite rendite di posizione acquisite con la vittoria nella seconda guerra
mondiale. Il prezzo per averci liberati dal nazifascismo lo abbiamo pagato
per più di mezzo secolo, mi pare abbastanza, ora, come dice la Littizzetto,
"il mutuo è scaduto". Ma avversari, gli americani lo sono anche dal punto di
vista politico.

L'Europa non ha alcuna convenienza a seguirli nel loro avventurismo
post-sovietico, aggressivo e violento soprattutto nei confronti del mondo
arabo-musulmano se non altro perché noi - e l'Italia e la Spagna in
particolare - questo mondo l'abbiamo sull'uscio di casa, per non parlare
dell'immigrazione, e non a diecimila chilometri di distanza.

In Europa alcuni Paesi - Germania, Francia e Spagna - sembrano avere
finalmente capito soprattutto dopo la guerra all'Iraq che è venuta l'ora,
peraltro suonata con molto ritardo, di prendere le distanze dall'«amico
americano ». Burlusconi, purtroppo, no.
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