John Perkins oggi è uno scrittore di successo. Per dieci anni dal 1971, lavorò per una società di consulenza americana la Chas. T. Main. Il suo lavoro consisteva nel convincere i responsabili dei paesi in via di sviluppo nei quali operava (Less Developed Countries - LDCs) ad accettare ingenti prestiti da Banca Mondiale e Fondo Monetario e mettere in cantiere immensi progetti infrastrutturali. Questi progetti di fattibilità erano sempre e volutamente gonfiati, presupponendo ritmi di sviluppo vertiginosi e improbabili per quei paesi. Ma i governanti compiacenti avvallavano quei piani che di fatto finivano per essere un debito inesauribile ed una dipendenza di fatto dall’FMI e dai fornitori.

In effetti la quasi totalità del denaro prestato (badate bene da istituzioni internazionali) finiva poi quasi del tutto nelle mani della stessa Main, di Hulliburton, di Bechtel, di Brown & Root, di Stone & Webster e di tante altre compagnie statunitensi di ingegneria e costruzioni ormai note anche al lettore italiano in quanto attualmente tutte impegnate nella ricostruzione dell’Iraq.

John Perkins oggi dichiara di essere stato un “Economic Hit Man”, un “sicario dell’economia” e così è intitolato anche il suo bestseller uscito nel 2004, che nel mondo ha venduto ormai milioni di copie e in Italia è stato tradotto per Minimum Fax (“Confessioni di un sicario dell’Economia”).

Per i governanti di quei paesi che non accettavano questo gioco, che si opponevano cioè a quella che lui definisce la “corporatocrazia” – cioè le grandi corporation, le banche e la burocrazia governativa –, le alternative non erano piacevoli. Così Perkins spiega la fine camuffata da incidente aereo di Jaime Roldòs (Ecuador 1981) e di Omar Torrijos (Panama 1981), così come le “uscite di scena” solo più datate di Mossadeq (Iran 1953), di Jacobo Arbenz (Guatemala 1971) e di Allende (Cile 1973).

Nella parte finale del suo libro Perkins si dilunga anche sull’Iraq, stato che, a suo dire, da un certo momento in poi decise di non seguire più l’esempio “virtuoso” (per la corporatocrazia) dell’Arabia Saudita e che alla lunga lo portò alla situazione odierna.

Noi, dopo aver letto il suo libro, abbiamo contattato John Perkins e gli abbiamo chiesto un parere su quanto sta accadendo oggi intorno all’Iran.
La sua risposta, datata 14 febbraio, secca e chiara è stata che “il problema Iran non è legato al pericolo di uno sviluppo del nucleare in quel paese come vogliono far credere Bush e molti altri. Il problema è sempre il petrolio e soprattutto il fatto che gli iraniani abbiano deciso di utilizzare gli euro, anziché i dollari, per le transazioni petrolifere”. La sua conclusione è stata un’altra volta secca e chiara: “il destino dell’Iran sarà molto simile a quello dell’Iraq”.

Ora questo potrebbe sembrare un pensiero un pò pessimista di un uomo che in fondo deve ripulirsi la coscienza per esser stato pedina partecipe e per lungo tempo compiacente e ben retribuita di un sistema perverso. Ma alcuni eventi “economici” che si stanno stagliando all’orizzonte prossimo ci fanno riflettere sulle ultime parole di John Perkins.

Wall Street Italia proprio oggi ha pubblicato sul suo sito una traduzione di alcuni brani di un rapporto stilato dal Laboratoire européen d’Anticipation Politique Europe 2020.

In questo documento si prefigura la settimana che va dal 20 al 26 marzo prossimi come una settimana cruciale che potrebbe innescare l’inizio di una crisi mondiale politica e poi economica e finanziaria senza precedenti.

Due eventi fondamentali infatti si verificheranno in quei giorni. Il 20 marzo a Teheran aprirà la prima borsa petrolifera prezzata in euro e sarà disponibile per tutti i produttori petroliferi della regione; il 23 marzo la Federal Reserve americana sospenderà la pubblicazione dei dati relativi all’offerta di moneta M3 (che è uno degli indicatori più affidabili per la stima dell’ammontare in dollari circolante nel mondo).

Il primo evento di fatto sancisce la fine del dollaro come valuta di riferimento e rifugio e ne comporterà con ogni probabilità una svalutazione. Gli analisti parlano di un rapporto euro/dollaro a 1,70 entro il 2007.

La sospensione della pubblicazione dell’indicatore macroeconomico M3, fortemente criticata dalla comunità degli economisti e degli analisti finanziari, farà perdere trasparenza all’evoluzione della quantità di denaro in dollari a livello globale. Se ciò poi avviene insieme al già citato probabile deprezzamento del dollaro, gli Stati Uniti cercheranno di “nascondere”, per il maggior tempo possibile la loro “monetarizzazione” del debito e si potrebbe assistere ad una massiccia vendita dei bond del Tesoro americani detenuti nei Paesi asiatici ed europei e in quelli produttori di greggio.

In definitiva gli analisti e i ricercatori dell’associazione LEAP/E2020 hanno immaginato sette punti che in successione potrebbero indurre ad una crisi totale che vedrà coinvolto l’intero pianeta:

1. Crisi di fiducia nel dollaro;
2. Crisi della stabilità finanziaria americana;
3. Crisi petrolifera (potrebbe raggiungere anche i 100 $ al barile);
4. Crisi della leadership statunitense;
5. Crisi del mondo Arabo-Musulmano;
6. Crisi della governabilità globale;
7. Crisi della governabilità europea.

Questo scenario sicuramente noto agli “addetti” da molto tempo può essere alla base di quel malessere (voluto quindi?) che sembra aver aggredito il pianeta assumendo le sembianze del “conflitto di civiltà”? L’avvicinarsi di eventi che mineranno la stabilità politica ed economica degli Stati Uniti innanzitutto, accelererà la decisione di un intervento militare in Iran?
Tra poche settimane, forse, lo sapremo.