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    Predefinito Alert Catastrofe Sistemica

    ALERT CATASTROFE SISTEMICA
    di WSI

    La settimana del 20-26 marzo rappresentera’ l’inizio di una crisi politica che potrebbe sfociare in una crisi economica e finanziaria simile al 1929. Motivi: la borsa petrolifera di Teheran in euro e l'abolizione della M3 da parte della Fed.
    7 Marzo 2006 []05 []NEW YORK

    Il contenuto di questo articolo e' una traduzione letterale ma parziale di un rapporto del Laboratoire européen d’Anticipation Politique Europe 2020. Il pensiero degli autori non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street Italia, che rimane autonoma e indipendente.

    (WSI) – Il Laboratoire européen d’Anticipation Politique Europe 2020 (LEAP/E2020) stima, con una probabilita’ dell’80%, che la settimana del 20-26 marzo rappresentera’ l’inizio di una significativa crisi politica che potrebbe sfociare in una crisi economica e finanziaria simile a quella scoppiata nel 1929. Nel caso di un intervento militare da parte degli Stati Uniti o di Israele contro l’Iran, le probabilita’ dello scoppio della crisi ammonterebbero al 100%.

    L’allarme e’ basato su due eventi fondamentali che si verificheranno nella settimana in questione. Il primo riguarda la decisione iraniana relativa all’apertura della prima borsa petrolifera prezzata in euro, che dovrebbe aprire il prossimo 20 marzo a Teheran e sara’ disponibile per tutti i produttori petroliferi della regione; il secondo riguarda la decisione della Federal Reserve americana di sospendere la pubblicazione dei dati relativi all’offerta di moneta M3 (che rappresenta uno degli indicatori piu’ affidabili per la stima dell’ammontare in dollari circolante nel mondo) a partire dal 23 marzo prossimo.

    Gli analisti e ricercatori dell’associazione hanno identificato ben sette componenti che potrebbero indurre ad una crisi totale in cui sara’ coinvolto l’intero pianeta sia dal punto di vista politico che finanziario ed economico, nonche’ militare:

    1. Crisi di fiducia nel dollaro
    2. Crisi della stabilita’ finanziaria americana
    3. Crisi petrolifera
    4. Crisi della leadership statunitense
    5. Crisi del mondo Arabo-Musulmano
    6. Crisi della governabilita’ globale
    7. Crisi della governabilita’ europea

    Cerchiamo ora di spiegare come i primi 3 di questi eventi possono contribuire allo scoppio di una crisi globale.

    Punto numero 1: “La creazione di una borsa petrolifera iraniana prezzata in euro”

    Il verificarsi di tale evento rappresenterebbe la fine del monopolio del dollaro sul mercato petrolifero globale, con conseguenze immediate sui mercati internazionali della valute. In tal contesto, i Paesi produttori di greggio sarebbero in grado di prezzare il proprio output in valuta europea e, allo stesso modo, i Paesi europei sarebbero in grado di acquistare quantita’ di petrolio utilizzando la propria valuta, trascurando il cambio in dollari. In pratica, solo un minor numero di operatori avrebbe la necessita’ di un ammontare in valuta americana, con la conseguenza di una pesante svalutazione del dollaro. In uno scenario del genere, non sarebbe da escludere un cambio euro/dollaro di 1.70 entro la fine del 2007.

    Punto numero 2: “La sospensione della pubblicazione dell’indicatore macroeconomico M3”

    Con tale decisione, fortemente criticata dalla comunita’ degli economisti ed analisti finanziari, l’evoluzione della quantita’ di denaro denominato in dollari a livello globale perdera’ di trasparenza. Nell’ipotesi di un forte deprezzamento del dollaro, cosi’ come spiegato poco sopra, si potrebbe assistere ad una massiccia vendita dei bond del Tesoro americani detenuti nei Paesi asiatici ed europei e in quelli produttori di greggio. Cio’ permetterebbe agli Stati Uniti di “nascondere”, per il maggior tempo possibile, due decisioni, in parte imposte dalle scelte politiche ed economiche degli ultimi anni: la “monetarizzazione” del debito Usa e il lancio di una politica monetaria che possa sostenere l’attivita’ economica a stelle e strisce.

    Punto numero 3: “L’intervento militare contro l’Iran”

    L’Iran gode di significativi asset strategici e dell’abilita’ di intervenire direttamente sull’output di greggio, alterandone il livello globale. Numerose le possibilita’ da non trascurare, alla portata di uno dei maggiori produttori di petrolio al mondo: il blocco delle stretto di Ormuz (situato tra il golfo Persico e quello di 'Oman e che separa l'isola di Ormuz dalle coste dell'Arabia), l’intervento nei conflitti in corso tra Iraq e Afghanistan, il ricorso al terrorismo internazionale nel caso estremo di un crollo dei rapporti con l’Occidente. Se gli Usa decidessero di intervenire militarmente contro l’Iran, potrebbero correre il rischio di rimanere privi del supporto degli europei, ancora titubanti sul modo in cui e’ stata gestita l’invasione dell’Iraq. Allo stesso tempo, il conseguente aumento dei prezzi petroliferi, potrebbe portare i Paesi asiatici, e la Cina in particolare, ad opporsi all’operazione, forzando gli Stati Uniti (o Israele) ad un intervento autonomo, senza l’appoggio delle Nazioni Unite.

    Nella peggiore delle ipotesi, l’unione di tali componenti potrebbe causare un crollo del dollaro rispetto alle principali valute internazionali, un vertiginoso aumento dei prezzi petroliferi (oltre i $100 al barile), un peggioramento delle situazioni militari gestite da Usa e Gran Bretagna in Medio Oriente, una crisi economica e finanziaria paragonabile a quella scoppiata nel 1929, un improvviso stop del processo di globalizzazione, un collasso dell’asse transatlantico con conseguenti pericoli per il mondo intero.

    Le conseguenze dell’ultima settimana di marzo saranno cruciali. Per gli investitori privati la scelta sembra essere forzata: e’ ormai chiaro che il dollaro non gode piu’ di quella fama di valuta “rifugio” che lo ha caratterizzato per cosi’ lungo tempo: il recente rally dell’oro potrebbe essere la spiegazione a tale evento, cosi’ come dimostrato dai numerosi operatori che hanno saggiamente anticipato tale trend.

    Copyright © Laboratoire européen d’Anticipation Politique Europe 2020 per Wall Street Italia, Inc. Riproduzione vietata. All rights reserved

    (Traduzione a cura di Luigi De Giovanni)
    http://www.wallstreetitalia.com/arti...?ART_ID=358385

  2. #2
    stellarossa1959
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    Secondo Amati75, è tutto sotto controllo. Anzi, il dollaro e l'economia americana stanno attaversando un momento magico.

  3. #3
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    [QUOTE=nin.kin]ALERT CATASTROFE SISTEMICA
    di WSI

    5. Crisi del mondo Arabo-Musulmano


    ninkin,

    per il punto 5 i fatti già corrono;in proposito vedasi cosa scrive Malbrunot(que giornalista che venne rapito dai presunti patrioti irakeni):

    La séparation ethnique est en marche en Irak
    Georges Malbrunot
    09 mars 2006, (Rubrique International) Sous l'effet de la violence sectaire, des régions mixtes commencent à se vider de leur minorité. Chiites et sunnites se séparent pour faire face aux représailles communautaires.



    LENTEMENT mais sûrement, une séparation ethnique est en marche dans plusieurs régions sensibles d'Irak. Il ne s'agit pas encore d'épuration à grande échelle, comme les Balkans en ont connu dans les années 90. Entre Tigre et Euphrate, les déplacements de populations ne répondent pas à un ordre politique clair, mais plutôt à une peur diffuse de règlements de comptes entre confessions, quand ce n'est pas tout simplement à une rumeur de représailles née d'un regain de violence sectaire, comme ce fut le cas fin février après le dynamitage d'une mosquée chiite à Samarra.

    Voir nos complements«Il suffit désormais qu'un groupe armé menace les habitants de telle région pour qu'ils abandonnent leurs maisons», s'inquiète Wathab al-Sadi, un intellectuel irakien réfugié en France.

    Voir nos complementsTrois gouvernorats à population mixte (chiite et sunnite) sont le théâtre de ces premiers mouvements : Bagdad, Hilla, et Dyala. Trois zones où, depuis plus de deux ans, la guérilla sunnite multiplie les attentats contre les chiites et leurs mosquées. «Ni les Américains ni notre gouvernement ne peuvent nous protéger», s'écrie un colonel chiite à la retraite du quartier de Shoula, à l'ouest de Bagdad.

    Voir nos complementsAu sud de la capitale, où la rébellion est puissante face à des troupes irakiennes claisemées, de nombreux chiites ont été tués dans les représailles qui ont suivi la flambée de violence à Samarra. Résultat : à Dora, Saidiyeh et Amaryah, des familles entières ont quitté leurs maisons pour se réfugier dans des quartiers chiites.

    Voir nos complementsDans ce climat électrique, les haines passées refont surface.

    Voir nos complementsCe n'est pas un hasard si les premières représailles massives antichiites ensanglantèrent le «triangle de la mort», ce vivier sunnite au sud de Bagdad, dans lequel Saddam Hussein puisait nombre de ses centurions. En avril 2005, 58 villageois chiites de Maidan furent jetés dans le Tigre par des insurgés sunnites.

    Voir nos complements«Aujourd'hui, ce sont les chiites qui expulsent des sunnites dans la région de Maidan», déplore al-Sadi.

    Voir nos complementsDepuis un an, effet, des miliciens chiites ont infiltré les forces de sécurité du ministère de l'Intérieur, qui sont accusées d'être responsables d'actes de vengeance contre des sunnites.

    Voir nos complementsAu pouvoir, certains dirigeants chiites se sentent pousser des ailes. Après le dynamitage de la mosquée de Samarra, des douzaines de mosquées sunnites de bastions chiites à l'est de Bagdad ont été prises d'assaut. De nombreux sunnites étaient, quant à eux, exécutés, le plus souvent par des miliciens de Moqtada Sadr, le leader radical chiite qui exploite le cocktail explosif de la religion et de la politique en Irak. A Kirkouk, au nord de la capitale, de nombreux sunnites, favorisés sous Saddam Hussein, ont également été dépossédés de leurs maisons.

    Voir nos complementsDepuis des mois, les responsables américains à Bagdad sont hantés par un scénario catastrophe : des zones mixtes qui se vident pour se transformer en autant de citadelles chiites ou sunnites, et des forces de sécurité contrôlées exclusivement par des factions chiites qui se retrouveraient face à une guérilla islamo-nationaliste sunnite. Une perspective d'affrontement à l'issue incertaine.

    Voir nos complementsAujourd'hui, Washington fait les frais de sa politique d'après-guerre, qui a consisté à punir les sunnites au profit des chiites et des Kurdes. Désormais, une course contre la montre est lancée pour éviter une guerre civile aux effets dévastateurs pour le Moyen-Orient.

    Voir nos complementsBataille à fronts renversés

    Voir nos complementsA court terme, la priorité va à la formation rapide d'un gouvernement d'union nationale, dans lequel les sunnites disposeraient de portefeuilles importants, pour apaiser la guérilla. Washington y tient. Mais la bataille se tient à fronts renversés. Ses alliés de l'alliance chiite, vainqueur des dernières élections législatives, ne veulent pas partager le pouvoir. Certaines factions de la mouvance chiite pourraient aller jusqu'à mettre un terme à leur stratégie de coopération avec les Américains. D'autant que ces derniers sont décidés à «déconfessionnaliser» les forces de sécurité et à obtenir la tête de Bayan Jabr, le ministre de l'Intérieur proiranien.

    Voir nos complementsPour éteindre les braises de la discorde confessionnelle, les Américains n'hésitent plus à revenir sur certains dogmes. Ils ont ainsi commencé à déléguer, localement, la sécurité à de puissantes tribus dans les bastions de la guérilla. La composition mixte de certaines d'entre elles leur confère, en effet, un rôle clé contre l'éclatement d'une guerre civile. Dans les zones, aujourd'hui à risques, l'appartenance tribale prime souvent sur les attaches religieuses. Un «édredon» utile face à la menace. Et tant pis s'il s'agit d'un retour aux bonnes vieilles méthodes de Saddam Hussein. Il y a urgence.

    Voir nos complements

    Sous l'effet de la violence sectaire, des régions mixtes commencent à se vider de leur minorité. Chiites et sunnites se séparent pour faire face aux représailles communautaires.



    LENTEMENT mais sûrement, une séparation ethnique est en marche dans plusieurs régions sensibles d'Irak. Il ne s'agit pas encore d'épuration à grande échelle, comme les Balkans en ont connu dans les années 90. Entre Tigre et Euphrate, les déplacements de populations ne répondent pas à un ordre politique clair, mais plutôt à une peur diffuse de règlements de comptes entre confessions, quand ce n'est pas tout simplement à une rumeur de représailles née d'un regain de violence sectaire, comme ce fut le cas fin février après le dynamitage d'une mosquée chiite à Samarra.

    Voir nos complements«Il suffit désormais qu'un groupe armé menace les habitants de telle région pour qu'ils abandonnent leurs maisons», s'inquiète Wathab al-Sadi, un intellectuel irakien réfugié en France.

    Voir nos complementsTrois gouvernorats à population mixte (chiite et sunnite) sont le théâtre de ces premiers mouvements : Bagdad, Hilla, et Dyala. Trois zones où, depuis plus de deux ans, la guérilla sunnite multiplie les attentats contre les chiites et leurs mosquées. «Ni les Américains ni notre gouvernement ne peuvent nous protéger», s'écrie un colonel chiite à la retraite du quartier de Shoula, à l'ouest de Bagdad.

    Voir nos complementsAu sud de la capitale, où la rébellion est puissante face à des troupes irakiennes claisemées, de nombreux chiites ont été tués dans les représailles qui ont suivi la flambée de violence à Samarra. Résultat : à Dora, Saidiyeh et Amaryah, des familles entières ont quitté leurs maisons pour se réfugier dans des quartiers chiites.

    Voir nos complementsDans ce climat électrique, les haines passées refont surface.

    Voir nos complementsCe n'est pas un hasard si les premières représailles massives antichiites ensanglantèrent le «triangle de la mort», ce vivier sunnite au sud de Bagdad, dans lequel Saddam Hussein puisait nombre de ses centurions. En avril 2005, 58 villageois chiites de Maidan furent jetés dans le Tigre par des insurgés sunnites.

    Voir nos complements«Aujourd'hui, ce sont les chiites qui expulsent des sunnites dans la région de Maidan», déplore al-Sadi.

    Voir nos complementsDepuis un an, effet, des miliciens chiites ont infiltré les forces de sécurité du ministère de l'Intérieur, qui sont accusées d'être responsables d'actes de vengeance contre des sunnites.

    Voir nos complementsAu pouvoir, certains dirigeants chiites se sentent pousser des ailes. Après le dynamitage de la mosquée de Samarra, des douzaines de mosquées sunnites de bastions chiites à l'est de Bagdad ont été prises d'assaut. De nombreux sunnites étaient, quant à eux, exécutés, le plus souvent par des miliciens de Moqtada Sadr, le leader radical chiite qui exploite le cocktail explosif de la religion et de la politique en Irak. A Kirkouk, au nord de la capitale, de nombreux sunnites, favorisés sous Saddam Hussein, ont également été dépossédés de leurs maisons.

    Voir nos complementsDepuis des mois, les responsables américains à Bagdad sont hantés par un scénario catastrophe : des zones mixtes qui se vident pour se transformer en autant de citadelles chiites ou sunnites, et des forces de sécurité contrôlées exclusivement par des factions chiites qui se retrouveraient face à une guérilla islamo-nationaliste sunnite. Une perspective d'affrontement à l'issue incertaine.

    Voir nos complementsAujourd'hui, Washington fait les frais de sa politique d'après-guerre, qui a consisté à punir les sunnites au profit des chiites et des Kurdes. Désormais, une course contre la montre est lancée pour éviter une guerre civile aux effets dévastateurs pour le Moyen-Orient.

    Voir nos complementsBataille à fronts renversés

    Voir nos complementsA court terme, la priorité va à la formation rapide d'un gouvernement d'union nationale, dans lequel les sunnites disposeraient de portefeuilles importants, pour apaiser la guérilla. Washington y tient. Mais la bataille se tient à fronts renversés. Ses alliés de l'alliance chiite, vainqueur des dernières élections législatives, ne veulent pas partager le pouvoir. Certaines factions de la mouvance chiite pourraient aller jusqu'à mettre un terme à leur stratégie de coopération avec les Américains. D'autant que ces derniers sont décidés à «déconfessionnaliser» les forces de sécurité et à obtenir la tête de Bayan Jabr, le ministre de l'Intérieur proiranien.

    Voir nos complementsPour éteindre les braises de la discorde confessionnelle, les Américains n'hésitent plus à revenir sur certains dogmes. Ils ont ainsi commencé à déléguer, localement, la sécurité à de puissantes tribus dans les bastions de la guérilla. La composition mixte de certaines d'entre elles leur confère, en effet, un rôle clé contre l'éclatement d'une guerre civile. Dans les zones, aujourd'hui à risques, l'appartenance tribale prime souvent sur les attaches religieuses. Un «édredon» utile face à la menace. Et tant pis s'il s'agit d'un retour aux bonnes vieilles méthodes de Saddam Hussein. Il y a urgence.

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    Sous l'effet de la violence sectaire, des régions mixtes commencent à se vider de leur minorité. Chiites et sunnites se séparent pour faire face aux représailles communautaires.



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    Voir nos complements«Il suffit désormais qu'un groupe armé menace les habitants de telle région pour qu'ils abandonnent leurs maisons», s'inquiète Wathab al-Sadi, un intellectuel irakien réfugié en France.

    Voir nos complementsTrois gouvernorats à population mixte (chiite et sunnite) sont le théâtre de ces premiers mouvements : Bagdad, Hilla, et Dyala. Trois zones où, depuis plus de deux ans, la guérilla sunnite multiplie les attentats contre les chiites et leurs mosquées. «Ni les Américains ni notre gouvernement ne peuvent nous protéger», s'écrie un colonel chiite à la retraite du quartier de Shoula, à l'ouest de Bagdad.

    Voir nos complementsAu sud de la capitale, où la rébellion est puissante face à des troupes irakiennes claisemées, de nombreux chiites ont été tués dans les représailles qui ont suivi la flambée de violence à Samarra. Résultat : à Dora, Saidiyeh et Amaryah, des familles entières ont quitté leurs maisons pour se réfugier dans des quartiers chiites.

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