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Discussione: Silvio e le cassandre

  1. #1
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    Predefinito Silvio e le cassandre

    Gli hanno pestato i piedi, tirato la giacchetta, costantemente amareggiato la vita per 5 lunghi anni.
    Chi? Ma le cassandre, si capisce. Tutta l' opposizione in primis. Eppoi i sindacati, gli istituti di statistica italiani e stranieri, i commissari UE, i grandi quotidiani nazionali. Persino coloro i quali, in teoria, dovrebbero essere dalla sua parte: l' exgovernatore di Bankitalia, il presidente di Confcommercio e da ultimo quello degli industriali. Tutti a dire che le cose andavano male, che l' economia boccheggiava. Tutti a chiedergli di fare qualcosa. Mentre è risaputo che il compito d' un governo è quello d' ostentare ottimismo e i conti pubblici andranno a posto da se.

    Eppoi che ne sa lui d' economia, dio bonino? Che ne sa di come si possano aiutare le aziende ad essere più competitive al fine di battere la concorrenza? Son problemi che non ha mai dovuto affrontare, quando era semplice imprenditore ci pensava Bettino buonanima a risolverglieli.
    Se erano in difficoltà, gli industriali italiani, potevano sempre fondare altrettanti partiti e cercare di vincere le elezioni al fine di farsi leggi ad personam. Come aveva fatto lui dal 94 in qua. Al limite se gli andava male avrebbero campato col finanziamento pubblico. Eppoi ora che aveva preso il posto di Bettino lui doveva continuare nell' opera di protezione della sua d' azienda dalla concorrenza. Mica poteva pensare anche a quelle degli altri imprenditori. Tra l' altro, molti di loro son suoi concorrenti.
    Quindi, care elettrici e cari elettori, se avete qualche rimostranza da fare sull' economia prendetevela con le cassandre. Lui la sua parte l' ha fatta, l' ottimismo ce l' ha messo.

    http://gianniguelfi.ilcannocchiale.it

  2. #2
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    Predefinito

    01-03-2006
    Le Cassandre avevano ragione
    Riccardo Faini
    Giuseppe Pisauro


    I dati appena diffusi dall’Istat sull’andamento dell’economia nel 2005 spengono ancora una volta i facili ottimismi. La speranza che l’economia potesse riprendersi spontaneamente dallo stato catatonico in cui versa da oramai cinque anni è andata delusa. Non solo l’economia italiana non cresce (un fatto peraltro ampiamente previsto dalla maggioranza degli osservatori e dalle più importanti istituzioni internazionali), ma fa ulteriori passi indietro rispetto all’Europa, togliendo così ogni alibi a chi pensava di attribuire i nostri mali all’infelicità della nostra collocazione geografica.

    La crescita mancata

    Ma è la qualità della (non) crescita che preoccupa. Dal lato della domanda, anzitutto: a evitare una caduta del Pil contribuiscono i consumi collettivi e l’accumulazione di scorte. Sono le voci meno virtuose, in quanto riflettono, la prima, un aumento della spesa pubblica, e, la seconda, un accumulo verosimilmente indesiderato dei magazzini delle imprese. Scorporando l’effetto di queste due voci, la crescita sarebbe stata pesantemente negativa (-0,3 per cento) e saremmo costretti a parlare di recessione invece che più prosaicamente di stagnazione.
    Il quadro non migliora dal lato dell’offerta. Perdono terreno agricoltura (-2,2 per cento) e industria in senso stretto (-2,0 per cento), crescono i servizi e soprattutto le costruzioni (+0,6 per cento), un andamento che riflette in tutta probabilità lo spostamento di risorse verso le rendite immobiliari e che potrebbe spegnersi con lo scoppio della bolla del settore.
    Tra le vittime della stagnazione del Pil vi è infine l’occupazione che diminuisce dello 0,4 per cento, un dato tutto negativo, nonostante i tentativi maldestri e tardivi da parte dell’Istat di interpretare al meglio questo andamento.
    La qualità della (mancata) crescita nel 2005 getta un’ombra sulle prospettive per il 2006. L’economia italiana infatti inizia l’anno senza abbrivio (l’effetto di trascinamento sul 2005 dovrebbe essere nullo se non negativo, aspettiamo però che l’Istat pubblichi i dati trimestrali a questo riguardo), con i magazzini pieni (e quindi minore incentivo a produrre) e con una componente della domanda (quella pubblica) che dovrebbe risentire del rigore (sempre annunciato, ma spesso eluso) della politica fiscale. I consumi privati potrebbero poi risentire della caduta dell’occupazione. È improbabile che la modesta accelerazione prevista per l’economia europea fornisca stimoli adeguati al nostro sistema economico. Difficilmente quindi la crescita supererà l’1 per cento nel 2006.

    Il quadro dei conti pubblici

    Anche sul fronte dei conti pubblici il quadro è tutt’altro che rassicurante.
    È certamente vero, come alcuni si affretteranno a sottolineare, che gli obiettivi della Relazione programmatica sono stati superati: l’indebitamento si colloca infatti al 4,1 per cento del Pil, contro il 4,3 per cento previsto a settembre dal Governo. Vale la pena di ricordare però che a maggio del 2005, con la Relazione trimestrale di cassa, l’esecutivo era ancora attestato su una previsione di disavanzo del 2,9 per cento. Un peggioramento di più di un punto percentuale non è certo motivo di rallegramento.
    Soprattutto, anche per la finanza pubblica, è il dettaglio dei conti a suscitare preoccupazione. Peggiora infatti, rispetto alle previsioni di settembre, l’avanzo primario. Il miglioramento dell’indebitamento netto è tutto dovuto quindi a una diminuzione imprevista, e salvifica, della spesa per interessi. Ad agevolare il calo di questa voce di spesa hanno poi contribuito operazioni di finanza straordinaria: due miliardi di swap, consentite dalla contabilità di Maastricht ma certamente non rivelatrici di un processo di risanamento o della fiducia dei mercati. Se l’andamento dei tassi dovesse invertirsi, a causa di una tendenza a livello mondiale o di un calo della fiducia per i nostri titoli di Stato, le conseguenze per i conti pubblici italiani sarebbero assai dolorose.
    In buona sostanza, anche sul fronte della finanza pubblica le prospettive per il 2006 non sono per niente rassicuranti. Una minore crescita scaverebbe ulteriormente il fossato del disavanzo.
    Partendo ad esempio dalle previsioni del Fondo monetario, è facile verificare che se solo la crescita si situasse in media d’anno all’1 per cento l’indebitamento netto salirebbe al 4,2 per cento. Se a ciò aggiungessimo le difficoltà, evidenziate dalla Commissione europea, ad attuare con piena efficacia le misure previste dalla Finanziaria, il disavanzo potrebbe facilmente situarsi in prossimità più del 5 che del 4 per cento. Ad alimentare ulteriormente le preoccupazioni dei nostri partner europei e dei mercati contribuirebbe poi la crescita sostenuta del debito.
    Sono preoccupazioni e interrogativi a cui è necessario dare pronta risposta. La Relazione trimestrale di cassa, il cui compito è appunto quello di chiarire a inizio d’anno la reale situazione della finanza pubblica, dovrebbe di norma essere pubblicata a marzo. Negli anni scorsi, il ministero dell’Economia ha inopinatamente fatto slittare la pubblicazione del documento di parecchie settimane, se non di mesi. È essenziale che quest’anno ciò non si ripeta e si consenta invece agli elettori e ai mercati di valutare in maniera informata e tempestiva la situazione dei nostri conti pubblici.



    da www.lavoce.it

  3. #3
    Assatanata, cogliona & indegna
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    Già cogliona ed oggi anche "indegna di essere italiana"!!!
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    Non sa che Cassandra aveva sempre ragione?

 

 

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