Il familismo virtuoso della sinistra
di Arturo Diaconale
“Tengo famiglia”. Secondo Leo Longanesi nel bianco del tricolore repubblicano gli italiani avrebbero dovuto fissare a lettere di fuoco il motto che più di ogni altro simbolizza il sentimento più profondo del paese. Sulla scia di Longanesi è poi venuta la versione meno bonaria e più caustica di quello che è stato dipinto come il più grave ed inestirpabile difetto degli italiani: il cosiddetto “familismo amorale”. Molta della egemonia culturale della sinistra si è costituita sulla denuncia continua ed incessante di questa presunta tendenza degli italiani a preoccuparsi solo e soltanto della propria famiglia anche a dispetto di qualsiasi regola morale o norma legale. In fondo su che si basavano le “diversità”, prima quella azionista e poi quella berlingueriana, se non sulla condanna del “tengo famiglia amorale ed illegale” dei detentori del potere della Prima Repubblica e sull’impegno a scegliere sempre e comunque la strada della virtù collettiva e solidale? Ora, però, quell’impegno vacilla. Sarà perché sono morte le ideologie ed i loro principali testimoni, sarà perché c’è il declino ed anche la sinistra ne risente, sarà perché la nuova legge elettorale senza voto di preferenza lo consente, l’Unione appare improvvisamente attratta dal vizio dell’“Italia alle vongole” tante volte condannato da Eugenio Scalfari. E sulle sue insegne, accanto alle fronde dell’ulivo, incomincia ad apparire la stampigliatura vermiglia del fatidico “tengo moglie, figli, fratelli e compagnia varia”. L’elenco dei casi è lungo come una quaresima.
Il segretario dei Ds Piero Fassino candida la moglie, Antonio Bassolino la compagna, Alfondo Pecoraro Scanio il fratello, Ciriaco De Mita pensa di mettere in pista la figlia, Massimo D’Alema, in nome del diritto alla carriera della propria moglie, non grida allo scandalo di fronte allo sdoganamento da parte della consorte del reprobo Licio Gelli, Clemente Mastella piazza il cognato e rimane nel centro sinistra per non far traballare la poltrona della diletta madre dei propri figli, Dario Fo lancia Franca Rame e Romano Prodi lancia sul mercato dell’editoria la combattiva sposa scrivendo a quattro mani un libro dal significativo titolo “Insieme”. Si dirà che dall’altra parte non si è da meno. Il che è sicuramente vero. Con la differenza, però, che mentre per il centro destra la tradizione del “tengo famiglia” è una costante per nulla ripudiata ma anzi addirittura ostentata, per la sinistra è una novità di assoluta rottura con un passato fintamente virtuoso. Cosa comporta questa innovazione di costume politico? Forse una omologazione complessiva al “familismo amorale” che per un verso abbassa la sinistra ai livelli viziosi dei concorrenti di centro destra e per l’altro la umanizza e la rende accettabile all’intera comunità nazionale? Niente affatto. Perché, anche nel cedimento al peccato, i dirigenti dell’Unione non rinunciano alla loro storica diversità che li pone sempre e comunque al di sopra degli avversari. E li mette in condizione di stabilire che i loro parenti (mogli, fratelli, figli, generi, cugini, compagne , amanti e compagnia bella) hanno meriti professionali, morali, culturali e politici che quelli dei nemici del centro destra non si sognano nemmeno. Insomma, a destra il familismo è amorale, a sinistra è obbligatoriamente virtuoso! Ma c’è ancora qualcuno disposto a credere ad una balla del genere?
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