Necessità per l'uomo di restare nel flusso naturale delle cose – Il senso della vita nelle antiche filosofie – La libertà come adesione ai ritmi vitali e come diritto a vederli tutelati.
Esiste un pericoloso squilibrio nella bilancia che pesa il bene e il male. È una verità tanto facile che il constatarla è alla portata di tutti.
Chiunque può vedere intorno a sè individui sempre più preda delle passioni, smarriti, senza punti di riferimento, abbassarsi, giorno dopo giorno, in una inutile corsa, tanto più avvilente ed umiliante in quanto non ha riscontro in nessun'altra forma di vita.
È innegabile come tale sciocco e distruttivo comportamento non trovi riscontro in nessuna delle altre componenti dell'intera creazione, dove tutto si svolge secondo un flusso ed un riflusso di cui al tanto intelligente e superiore uomo può sfuggire il senso. Qualora invece lo comprendesse e lo accettasse potrebbe vedere risolte le sue angosce che nascono nell'istante stesso in cui egli si pone al di fuori dell'ordine naturale delle cose.
In natura non c'è spreco, c'è regola, c'è economia, istinto che preserva e indirizza, ed intuito che parla più delle vuote parole umane.
C'è consapevolezza del ricambio, della quiete e della rinascita.
La natura non ha esitazioni: sa di essere appoggiata sopra un'onda che si sposta, avanza, si frange e torna ad unirsi alle altre onde di un immenso mare di energia che si fa materia agglomerandosi, condensandosi, di materia che ritorna ad essere energia non manifesta, quando le parti si scindono una dall'altra.
Nell'uomo non si trova più niente di tutto questo. L'uomo di oggi è pervaso da incertezze. Non si accorge o non riconosce i motivi vitali perché completamente assorbito in un processo di degenerazione, di involuzione nelle manifestazioni vitali più basse.
Gli uomini che non sanno più, perdono potenza inseguendo inutili, dannosi interessi, mentre dovrebbero riscoprire le leggi fondamentali che ordinano il cosmo, dalla più complessa alla più piccola forma esistente e in questa coscienza abbandonarsi creativamente, cullarsi in quel disegno tanto grande da non essere forse comprensibile alla mente umana, ma del quale non basta dire «non capisco» per esimersi dal seguirlo.
Il complesso delle cose dell'universo conosce il senso della vita che è quello di favorire la vita. L'uomo deve ritrovarlo. Del tentativo di farlo è traccia nelle antiche filosofie orientali, trasformatesi successivamente in religione, come, ad esempio, il taoismo, nelle idee neoplatoniche ed, in epoca più recente in Paracelso che teorizzò su base di studio una vitalistica filosofia della natura dominata da uno « spiritus mundi». Si tratta dell'« archeus faber » o meglio dello «spiritus vitae» come invisibile demiurgico flusso vitale che permea l'universo.
Basta osservare, non si può negarlo.
Infatti il ricercatore, attraverso la percezione sensibile e un atteggiamento intellettuale attivo riesce ad inoltrarsi nella creazione fino ad avere le risposte che avviano alla comprensione del tutto.
Vi leggerebbe che tutto è riconducibile ad un unico principio da cui tutto si compie e si svolge. Vi vedrebbe come le parti, dalla più elementare alle forme più aggregate, abbiano luce, suono, pulsazioni, memoria e vibrazioni in assegnazione di intelligenza, che tale intuizione ha il compito di produrre e perpetuare la vita attraverso una molteplicità di aspetti derivanti da una divisione.
Scoprirebbe che, esaurito il cammino di espansione, la stessa oscillazione porta al grande rientro nell'unità.
Come la vita visibile non ha fine e ad un universo ne succede un altro, così la vita del pensiero ritorna nella grande mente universale.
Ci sarà, nel grande rientro, il distacco dalla coscienza individuale che non cesserà di esistere, rimanendo a disposizione del concreto di altri individui attraverso le opere svolte ed il rivivere nel codice genetico. Alla perdita di coscienza individuale corrisponderà il confluire in una coscienza universale che, contrapposta al moto del divenire non potrà consistere altro che nell'essere.
Nulla muore in realtà sul piano terreno dove si ha incessante trasformazione fino alla fine di un ciclo e l'inizio immediato di un altro periodo, nulla muore dello spirito fissato nell'eterno.
Tanti universi ci hanno preceduto, tanti ne seguiranno, tanti si svolgono contemporaneamente concatenati. Noi stessi, uno per uno, siamo un mondo, così come è universo la goccia d'acqua, una foglia verde, un sasso di pagliuzze dorate.
E sono e siamo fatti della stessa sostanza. Viviamo per gli stessi motivi, dovremmo obbedire alle identiche regole.
Non si domanda il sasso o l'acqua perché. L'uomo sì, si domanda perché.
Continuando a porsi domande al di fuori della sua autentica dimensione si confonde e perde di vista il senso dell'essere.
Se osservasse, scoprirebbe indiscutibilmente che la vita pulsa in tre direzioni inscindibili: la perpetuazione della specie, la conservazione della specie, l'ascesa dello spirito.
Conscio allora di essere legato per il suo esistere a tali necessità, si renderebbe conto di non avere libertà , ma un'unica libertà, quella cioè di muoversi secondo l'ordine che governa il tutto scegliendo di adeguarsi ai suoi principi e di acquisire in questo quadro la propria collocazione costruttiva e dinamica.
Dice Paracelso «chi rimane nella dottrina, nell'ordine e nel comandamento di Dio, è un uomo libero».
E l'uomo quindi, nega l'esistenza di Dio per avere l'autorizzazione ad esimersi dal seguirne la legge. Per contraddire la legge imposta, può ricusare il Dio dei cristiani, Buddha, Allah e il suo profeta, intesi come visione antropomorfica e costrittrice del divino, ma non potrà mai arrivare a negare l'universo sia un contenitore di due forze opposte complementari contenute nell'unità. Il loro coesistere, il loro dividersi, il riunirsi è continua produzione di sostanza.
Questa unione contenente la dualità è la legge da cui prende movimento e spazio il mondo visibile. Questo è lo « spiritus mundi » che anima l'opera e l'idea.
Libertà è credere.
Libertà nell'obbedienza, nell'adesione alle fasi predisposte nella perfetta armonia dei ritmi vitali. Libertà allora è opporsi a chi vuole imporre un sistema che va contro tale legge, e legittima aspettativa, defraudando l'uomo del primo dei diritti naturali. Perché diritto oltre che necessità è il voler vivere secondo il canone. Libertà è impedire ad altri uomini di soffocare la spinta creatrice. Libertà è diffondere l'idea.
Queste considerazioni riguardano non l'uomo soltanto ma la totalità della vita; l'adeguarsi, il seguire e servire il precetto cui è finalizzato l'universo costituiscono difesa e tutela essenziali per il mantenimento dell'equilibrio.
La regola e il suo rispetto divengono il bene.
Cos'è allora il male? Se bene è allineamento nella norma, assecondamento di ciò che è fatto a misura d'uomo, buono è ciò che non gli si rivolta contro. Dal rispetto degli equilibri generali nasce anche l'ossequio alla scala gerarchica naturale dei valori.
Male è allora tutto ciò che si dimostra contrario a tale tracciato.
Dall'ignorare la legge, alla sua cattiva interpretazione, dalla presunzione di saperne di più, all'aperto rifiuto di accettarla, fino alla ribellione che porta a discostarsi e porsi poi fuori e contro di essa, in ciò risiede il male; male per l'uomo che intende libertà come licenza.
Tale distinzione fra bene e male non esiste nell'unità, e neppure nella dualità in essa posta, dove i due opposti complementari si integrano in perfetta armonia di equilibrio. Di per sè stessa, nessuna di queste due parti è il bene o il male, ma di volta in volta una delle due può diventarlo in alternanza, qualora invece di accostarsi all'altra in euritmia, tendesse a sovrastarla.
Quando una delle due porzioni del tutto tende a violentare il confine che ha con l'altra, si ha alterazione, discordanza, ed allontanamento dal filo conduttore che stabilisce l'immutabilità del processo.
Scendendo sul piano fisico, si vede come il bene-norma, sia porsi nel punto di congiunzione dei complementari regolandone la qualità, l'intensità, la quantità, onde ottenere un andamento armonico, costante, all'interno ed all'esterno di essi. Alla perdita di contatto con la perfezione creatrice segue l'allontanamento dal giusto. In mancanza di una relazione diretta con lo spirito del mondo, e avvertendone le conseguenze, l'uomo crede di poter colmare il vuoto supplendo con sè medesimo assurto a regolatore e quindi ad essere assoluto.
Poiché la legge dell'obbedienza è senz'altro dura, nasce in lui sostitutiva l'idea di «uomo artefice e centro del creato». Egli stesso si ritiene la legge. Non più parte, ma staccato dalla creazione. Ed inizia il suo danno. Niente esiste intorno a lui. Sovverte i ritmi della natura pensando di tutto soggiogare . Subordina il pulsare della terra e degli astri alla sua pretesa di vita facile. Si arroga il diritto di imporre nuove leggi, a giustificazione del suo comportamento sovvertitore.
Diventa, lui che pretendeva di essere soggetto, oggetto, schiavo di un discorso deviato, e deviante verso la sfera materialista.
E non capisce più chi è, di che cosa è fatto, dove è diretto. Lui che si voleva diverso, è diventato diverso. Questo nuovo modo di essere non gli dà sicurezza. E credendo di procurarsene, ogni giorno inventa una nuova fame che lo porta lontano.
La pretesa di difendere fittizie posizioni acquisite gli offusca la mente, gli impone di usare sempre maggiori energie. Le pone in campo, ma in quello sbagliato. Diviene così ammalato nella mente, da diventarlo presto anche nel corpo, e più si ammala più è destinato ad ammalarsi a meno che non riesca, in luogo di fallaci palliativi, ad avere la forza di andare a fondo del suo malessere, del suo ritrovarsi insoddisfatto, infelice, fino a riconoscerne e rimuoverne le cause.
Ci vuole coraggio. Un immenso coraggio per uscire da questa crisi di identità, che è assenza di identità, per vedere come in realtà l'uomo non sia l'assoluto, ma riconosca che è l'assoluto ad essere in lui.
Coraggio di abbandonare l'assurdo comportamento sin qui troppo permeato di profano, per rientrare nell'ambito dell'ordine cosmico.
Il pensiero non più dominato, ma padrone della materia riuscirà a liberarsi. E l'uomo potrà essere tutto.

Gloria Gobbi