Erano partiti con la formula delle tre punte, rivendicando la parità di posizione. Poi, man mano che avanza la campagna elettorale, Casini e Fini sono diventati due mezze punte, perchè è Berlusconi, nel bene o nel male, che occupa la scena e ratifica la sua inamovibile leadership.
Dopo il 9 aprile, resteranno solo mezze tacche.


LA NOTA
Se Berlusconi punta a oscurare gli alleati
An e Udc vedono in questa strategia la voglia di occupare anche il dopo-voto
di MASSIMO FRANCO
dal Corriere del 14/3/2006

La strategia elettorale di Silvio Berlusconi sta producendo i contraccolpi più immediati soprattutto nel centrodestra. Per ora, l'effetto vistoso è quello di avere sbriciolato qualsiasi velleità di «tridente» dei suoi alleati e aspiranti eredi, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini. Due mesi fa, il ministro degli Esteri e vicepremier di An, e il leader dell'Udc e presidente della Camera, dicevano di candidarsi per puntare a Palazzo Chigi in competizione col Cavaliere. Continuano a dirlo tuttora, ma con entusiasmo appannato, e convinzione quasi d'ufficio.
Ogni uscita berlusconiana, per non parlare del faccia a faccia di oggi, conferma il tramonto di questo schema. È come se il presidente del Consiglio fosse stato il più rapido a utilizzare il sistema proporzionale; e dunque giocasse una campagna elettorale che ha davanti l'orizzonte della vittoria, certo, ma comunque un'affermazione di Forza Italia. Le polemiche in tv, gli allarmi sul rischio di brogli, l'offensiva contro le inchieste della Procura di Milano: non sono soltanto «segni di nervosismo» o di vittimismo calcolato, come sostiene una parte dell'Unione.
Il suo è un malumore reale, e insieme studiato per ritagliarsi mano mano che ci si avvicina al 9 aprile il ruolo di unico baluardo contro l'Unione: a beneficio di sé e di FI. In qualche misura, il presidente del Consiglio alimenta l'antiberlusconismo e se ne serve per mobilitare l'elettorato, senza preoccuparsi di abbassare la visibilità della coalizione. Fini che anticipa, a proposito del confronto di stasera con Romano Prodi: «Sarà una noia mortale», forse è profeta.
Ma probabilmente vuole anche sdrammatizzare e smitizzare un appuntamento che esalta la leadership del Cavaliere e smonta il «tridente» del centrodestra per Palazzo Chigi. Quanto a Casini, ieri ha rimproverato Berlusconi perché «oggi è il momento di combattere, non di gettare la spugna»: un'allusione all'abbandono polemico da parte del premier di una trasmissione alla quale sia Fini che Casini avevano partecipato. Insomma, gli alleati che aspirano alla guida del centrodestra se vince l'Unione, scorgono dietro le mosse berlusconiane non solo l'imperativo della vittoria, ma quello di una sorta di sconfitta trionfale.
Il sospetto è che il premier persegua questo obiettivo subordinato: fare in modo di riemergere, seppure battuto, come padrone indiscusso non più del governo, ma dell'opposizione; e dunque di poter pilotare l'evoluzione dell'attuale maggioranza dall'alto di uno scarto vistoso di consensi rispetto agli alleati. È un'operazione incerta negli esiti. Il modo in cui la Lega ha già anticipato «mani libere» se il governo perde, lascia presagire in quel caso una frana. Ma il profilo di An, considerata troppo appiattita sul governo, e l'identità irrisolta dell'Udc, eternamente in bilico fra lealtà e critica verso Berlusconi, legittimano l'estrema scommessa del premier.