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    Massimo Scalfati



    Difensori dell'Europa Cristiana

    Articolo pubblicato nella rivista culturale IL CERCHIO - anno 2005



    Dai tempi di Alessandro Magno, che, portando la Grecia in Egitto, diede vita a quell’incontro fecondo di due civiltà, che fiorirà poi nella cultura ellenistica alessandrina, e, qualche tempo dopo, con l’unità politica raggiunta sotto l’Impero romano, il Mediterraneo si caratterizzò come un “continente culturale”, le cui sponde (europea, nordafricana e dell’Asia minore) erano collegate in una rete di relazioni e di reciproche influenze culturali, religiose, economiche e politiche. In particolare, la cultura latina del Diritto e delle virtù civiche fu la grande innovazione che Roma portò agli altri popoli mediterranei, i quali, pur vantando grandi retaggi culturali (si pensi agli egizi), non avevano fino ad allora conosciuto la civiltà giuridica.

    Ma, nel 600 d.C., l’avvento dell’Islam, con i suoi propositi di conquiste territoriali, di esportazione egemonica della lingua e dei costumi arabi e di coatta islamizzazione (con la conseguente cancellazione di ogni religione preesistente), segnò l’inizio di una frattura dell’unità culturale del Mediterraneo, che da allora non si è più ricomposta, né potrà più esserlo.

    Appena un anno dopo la morte di Maometto (632 d.C.), che aveva unificato militarmente la penisola arabica, l’Islam si protese alla conquista di territori dell’impero romano orientale (la Siria fu presa nel 633, la Palestina nel 640, l’Egitto nel 642, la Libia nel 643, la Mesopotamia bizantina e l’Armenia nel 640, Cartagine nel 647, Cipro, Creta, Rodi, Cos e la Sicilia dal 649 al 655). In tutte queste terre, che avevano visto la pacifica diffusione del primo cristianesimo, le numerose e fiorenti comunità cristiane (che avevano dato santi e filosofi come Agostino, Cipriano, Tertulliano) furono spazzate via con le stragi e la riduzione in schiavitù. Anche il millenario impero persiano fu attaccato e conquistato nel 651, con la conseguente cancellazione della religione di Zarathustra. Di lì, l’Islam fu imposto anche nell’Afganistan al posto del buddismo e nell’India occidentale (oggi Pakistan) al posto delle religioni induista e buddista.

    Poi la minaccia fu diretta verso il continente europeo, in ondate successive durate fino al XVIII secolo.

    Perciò oggi la rievocazione storica non è fine a se stessa, ma riveste grande attualità, giacché la spinta islamica sull’Europa sembra essere ripresa, non solo per le azioni del terrorismo, ma anche per nuove modalità, mai verificatesi in passato, come la pressione demografica e la massiccia immigrazione. La storia ci può aiutare a capire il presente.



    I difensori, figure mitiche.

    Tre sono state le direzioni da cui l’Europa ha subito l’avanzata dell’Islam: ad occidente verso la Spagna e, di lì, verso i Pirenei e la Francia; ad oriente verso Bisanzio e, di lì, verso i Balcani e la pianura danubiana; al centro verso la Sicilia e le coste italiane. Ma il Continente cristiano ha sempre trovato la forza di respingere queste ondate, mettendo in campo figure che, sovente, hanno assunto un’aura mitica e sono entrate nell’immaginario collettivo dei popoli europei.

    Carlo Martello, i Normanni dell’Italia meridionale che liberarono la Sicilia dagli arabi e protessero il meridione dalle incursioni saracene, El Cid Campeador, Giorgio Castriota Scanderberg eroe della resistenza albanese all’avanzata ottomana, San Pio V, Marco d’Aviano, Giovanni Sobieski, Eugenio di Savoia sono i protagonisti, che, nonostante le epoche ed i contesti diversi in cui sono vissuti, possono essere indicati, in una comune mitografia, come “difensori dell’Europa Cristiana”.


    Carlo Martello.

    Dopo ripetute spedizioni militari, i berberi mussulmani avevano conquistato tutta la Spagna nel 712 d.C. Poi arrivarono anche gli arabi. Di lì, essi penetrarono nella parte meridionale della Francia, conquistando Narbona (720) e saccheggiando Autun (725). Toulouse e Tours furono assediate. Alla testa dell’esercito dei Franchi, che comprendeva anche contingenti di Alemanni, si pose Carlo, figlio di Pipino della casata di Heristall, che ricopriva la carica di “maestro di palazzo” alla corte dei sovrani merovingi di Francia. L’esercito islamico era composto soprattutto da cavalieri, mentre quello franco da soldati appiedati, che combattevano in file serrate in modo da formare un solido muro di ferro irto di lance e spade, secondo la tattica delle falangi macedoni e delle legioni romane. In questa formazione, i Franchi tennero testa ai ripetuti assalti della cavalleria islamica per due giorni presso Poitiers nell’ottobre 732. I mussulmani, dopo la morte del loro capo e saggiata la tempra germanica degli avversari, si ritirarono.

    La battaglia di Poitiers è riportata nella “cronaca di Saint Denis”, ma si deve alla “cronaca di Sant’Isidoro” la descrizione dell’evento come una vittoria della nuova Europa che si stava formando sulle rovine dell’impero romano (egli parla di “Europei” per indicare i Franchi).

    Carlo fu soprannominato “Martello” con riferimento a Marte, e, quindi, nel senso di “marziale”. Forse egli stesso ed i suoi contemporanei, non furono consapevoli dell’importanza dell’avvenimento che li aveva visti protagonisti. Certamente, nonostante la modestia del combattimento, le conseguenze furono enormi: se i mussulmani avessero vinto sarebbero dilagati, in ondate successive, nella pianura francese e nel centro dell’Europa, nonché verso Roma, sede della cristianità. Avrebbero facilmente potuto convertire all’Islam tutta l’Europa ancora barbarica e solo superficialmente guadagnata al cristianesimo. La storia del mondo sarebbe stata diversa.



    El Cid Campeador.

    Avendo dovuto rinunciare alla Francia, gli arabi si radicarono nella già conquistata Spagna e la dominarono per ben sette secoli fino al 1492, quando Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona portarono felicemente a compimento la “Reconquista”. In quei secoli, però, in Spagna, accanto ai regni moreschi sopravvissero delle enclaves di regni cristiani, come la Castiglia.

    Rodrigo Diaz conte di Bivar (Burgos 1040 - Valencia 1099) apparteneva alla nobiltà castigliana. Cresciuto alla corte di Ferdinando I di Castiglia, si invischiò dapprima nelle lotte per la successione al trono e dovette subire l’esilio. Poi, fu accusato di aver condotto una spedizione non autorizzata contro la città moresca di Granada.

    Ma, quando gli arabi Almoravidi sconfissero il re Alfonso VI, Rodrigo Diaz, che aveva fama di valoroso condottiero, fu richiamato in campo, per poi subire un nuovo allontanamento. Libero da ogni vincolo di fedeltà verso i sovrani, Rodrigo, chiamato El Cid, ovvero “il signore”, alla guida di un suo esercito personale, mosse alla riconquista di Valencia, tenuta dagli arabi.



    El Cid Campeador





    La battaglia fu lunga e cruenta e solo nel maggio 1094 la città si arrese alle truppe cristiane. Rodrigo la governò in nome di Alfonso VI, ma in realtà ne fu il vero sovrano fino alla morte, che sopraggiunse il 10 luglio 1099 mentre difendeva la città da nuovi attacchi islamici. Fu sepolto nella cattedrale di Valencia e divenne oggetto di culto popolare e di ballate e poemi dell’Europa medioevale. Fu soprannominato “El Cid Campeador”, cioè “campione” della Spagna cristiana. Nel XII secolo fu composto il poema “El Cantar de mio Cid”, che è una delle prime opere della letteratura iberica e si affianca al ciclo epico-cavalleresco bretone (o di Re Artù) e a quello dei Paladini di Francia (La chanson de Roland), che i trovatori ed i menestrelli cantarono in tutte le città dell’Europa medioevale.



    La spada del Cid



    La spada del Cid è conservata a Madrid nel museo dell’esercito, ove, tra l’altro, si trovano i cimeli di colui che, in tempi recenti (1936-39), è stato l’ultimo difensore in armi dei valori cristiani in terra di Spagna contro le efferatezze dell’ateismo marxista: il generale Francisco Franco de Bahamonte.



    Francisco Franco y Bahamonte




    San Pio V

    Nel 1453 i turchi conquistarono Costantinopoli, abbattendo il millenario Impero romano d’oriente. Di lì dilagarono nelle regioni danubiana e balcanica: nel 1521 presero Belgrado, nel 1526 l’Ungheria, arrivando fin sotto le mura di Vienna. In Italia saccheggiarono tutte le coste. Rodi fu tolta ai Cavalieri di S. Giovanni, e Malta, loro nuova sede, fu a lungo assediata, ma non conquistata grazie alla difesa del Gran Maestro Jean de La Vallette.



    Il Gran Maestro dei Cavalieri di Malta

    Jean de La Vallette



    A Cipro, veneziana, cadde la città di Famagosta. Fu strage della popolazione. L’ammiraglio Marcantonio Bragadin fu scorticato vivo e la sua pelle, riempita di paglia e rivestita dell’armatura, fu portata in giro per scherno. Il terrore regnava nel Mediterraneo. I turchi inviarono un ultimatum all’Europa. Era Papa, con il nome di Pio V, il teologo domenicano Michele Ghislieri, che, valutata la gravità del pericolo, promosse la formazione di una Lega degli stati cristiani. Nel luglio 1570 vi aderirono la Spagna, Venezia e il Papato, poi anche i Savoia, le Repubbliche di Genova e di Lucca, il granducato di Toscana, i duchi di Mantova, Parma, Urbino e Ferrara, il Sovrano Ordine Militare di Malta. Fu una difficile operazione diplomatica, un capolavoro politico, in quell’Europa così divisa. Ma fu anche la prima configurazione dell’unità europea su basi cristiane. La Francia non vi aderì, anzi, per suoi meschini interessi geopolitici, finanziava i turchi per indebolire l’Austria (il tradimento francese si è ripetuto, di recente, a proposito dell’Iraq).

    Alla testa della Lega Cristiana fu posto don Giovanni d’Austria, venticinquenne figlio naturale di Carlo V e fratellastro del re di Spagna Filippo II. Il comando della flotta pontificia fu affidato a Marcantonio Colonna. La Lega Santa fu proclamata solennemente nella basilica di San Pietro. Sembrava che tutta la cristianità fosse ritornata allo spirito delle crociate, quando il Papa Urbano II proclamò il “Deus vult” (1095).

    Il 7 ottobre 1571, la flotta cristiana, disposta a croce, attaccò quella turca, che era gigantesca e s’estendeva a forma di mezzaluna dalle acque antistanti l’Albania fino alla Morea. Allo stendardo verde, venuto dalla Mecca, che sventolava sulla nave Sultana, si opponeva quello azzurro con l’immagine di Cristo in croce, che garriva sull’ammiraglia di don Giovanni d’Austria. La battaglia durò cinque ore e fu decisa al centro, ove le due ammiraglie si speronarono. Gli archibugieri di Sardegna colpirono Alì Pascia e la sua nave fu conquistata. Si di essa fu issato il vessillo azzurro della cristianità. Le perdite furono enormi da entrambi i lati: la Lega 7.600 caduti ed i turchi circa 30.000, con 8.000 prigionieri. Ben 15.000 schiavi cristiani, adibiti come rematori nelle galee turche, furono liberati.

    In quel momento a Roma, Pio V era intento alla cura degli affari di stato, quando ebbe una percezione mistica. D’improvviso s’alzò e, avvicinatosi alla finestra, rimase con lo sguardo estatico. Poi disse: “non occupiamoci più di affari, ma andiamo a ringraziare Iddio per la vittoria della nostra flotta”.





    San Pio V mentre ha la visione mistica della vittoria di Lepanto





    Pio V attribuì la vittoria all’intercessione della Vergine, sicché volle aggiungere nelle Litanie lauretane l’invocazione di Auxilium christianorum. Il Senato Veneziano, che non era certo composto da donnicciole, attribuì anch’esso il merito alla Madonna e fece dipingere un quadro nella sua sala, in cui era scritto: “Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit”. Per secoli, quel giorno fu celebrato nell’Europa cristiana. A ricordo della battaglia Pio V istituì per il 7 ottobre la festa di nostra Signora della Vittoria, poi fissata da Papa Gregorio XIII alla prima domenica di ottobre come festa della Madonna del Rosario.





    Paolo Veronese - La battaglia di Lepanto



    La battaglia vide protagonisti gli italiani, che così riaffermarono la loro fiera discendenza latina. In prima linea furono i Colonna, gli Orsini, i Savoia (Francesco di Savoia morì in combattimento), i Farnese, i Carafa. Agostino Barbarigo comandò l’ala sinistra, combattendo con una freccia in un occhio. L’ala destra era comandata da Gian Andrea Doria. Ed ancora: Sebastiano Venier, Giovanni Loredan e Caterino Malipiero.

    Il nome di Lepanto entrò nella storia e nella leggenda. Ed il Mediterraneo tornò ad essere il mare europeo.


    Marco d’Aviano e Giovanni Sobieski

    Alla fine del 1600 l’Austria era alle strette sotto la duplice minaccia dell’impero ottomano e della Francia di Luigi XIV. Nel 1663, i turchi, dopo aver invaso la parte asburgica dell’Ungheria, con la complicità francese, avevano marciato su Vienna, ma erano stati fermati dall’esercito imperiale al comando di Raimondo Montecuccoli. Nel 1683 essi radunarono nella piana di Belgrado un’armata di 200.000 uomini, composta anche da Tartari, e si diressero sulla capitale austriaca, facendo strage di 40.000 cristiani sul loro cammino.

    A Vienna, evacuata, restarono solo i difensori, che sopportarono le durezze degli assalti turchi. Fra quelli c’era anche il frate cappuccino Marco d’Aviano, che contribuì a rafforzare il morale con pubbliche preghiere. Il suo motto era: “preghiera, penitenza e fiducia assoluta nella Vergine”.

    Marco d’Aviano (1631-1699), già negli anni precedenti, da predicatore, era stato animatore di una rinnovata pratica di vita cristiana, con un forte impegno nella preghiera e nelle opere di misericordia, rafforzate dal dono delle conversioni e delle guarigioni.

    Fu proprio la fama di taumaturgo che ne fece richiedere la presenza in varie parti d’Europa. Fu invitato alla corte imperiale di Vienna ben quattordici volte da Leopoldo I e vi si recò anche per ordini del Papato. Lì si trovò al momento dell’assedio.

    Intanto, da Passau, Leopoldo I, sostenuto dal Papa Innocenzo XI, strinse alleanza con altri principi, che in settembre arrivarono in Austria: Carlo di Lorena con 21.000 soldati, Massimiliano Emanuele con 11.000 bavaresi e Giovanni III Sobieski con 25.000 polacchi e 7.000 sassoni. Giovanni Sobieski (1674-1696), che era il re di Polonia, assunse il comando di tutta l’armata. In totale circa 60.000 contro ben 200.000.

    La mattina dell’11 settembre 1683, dopo la messa al campo, l’armata di Sobieski si dispose all’attacco. Marco d’Aviano avanzava tra le truppe con il Crocifisso in mano, suscitando l’entusiasmo dei soldati.



    il Beato Marco d'Aviano



    Sobieski fece una mossa vincente: occupò le colline del Wienerwald a nord della città e, l’indomani, scendendo di lì sorprese i turchi. La memoria popolare polacca ricorda ancor oggi che gli ussari di Sobieski, alti e corazzati, sembravano angeli liberatori al comando dell’Arcangelo Michele.



    Il Re di Polonia Giovanni Sobieski sconfigge i turchi a Vienna



    Dinanzi alle loro schiere sventolava il vessillo con l’immagine della Madonna di Chestokowa,



    quella stessa immagine che due secoli più tardi (1980) Lec Walesa e i lavoratori di Solidarnosch hanno issato sulle fabbriche di Danzica per contrastare la dittatura comunista. Iconografia che ritorna costantemente nella storia d’Europa.



    Lec Walesa sul cancello dei cantieri navali di Danzica - 1980





    La battaglia di Vienna durò dodici ore. Grazie ad una manovra diversiva di Carlo di Lorena, gli ottomani furono battuti. Scapparono, lasciando sul campo armi, harem, tonnellate di rifornimenti e migliaia di bovini, ovini e cammelli, e 600 giovani schiavi cristiani destinati ad essere venduti nei mercati mediorientali. Da quel giorno, il 12 settembre è diventato festa del SS. nome di Maria.

    Vienna era salva, ma i turchi restavano ancora in Ungheria, Bosnia e Serbia. Marco d’Aviano si prodigò ancora affinché fossero liberate pure queste terre. A cacciarli dal suolo europeo, ci penserà, qualche anno dopo, il principe Eugenio di Savoia, nuovo condottiero dell’armata austriaca.

    Marco d’Aviano è stato proclamato Beato dal Papa Giovanni Paolo II. Lo stesso Pontefice ha sovente ricordato con calore la figura di Giovanni Sobieski, uno dei vanti della sua cattolicissima Polonia.


    Eugenio di Savoia

    Quando il Piemonte dei Savoia era divenuto oggetto delle trame francesi e si trovava sotto quella influenza, Eugenio di Savoia (1663-1736), fuggito da Parigi e braccato dai sicari di Luigi XIV, appena ventenne, nel 1683, si presentò all’imperatore d’Austria Leopoldo I, nel momento in cui Vienna era sotto assedio. Fu accolto benevolmente ed aggregato alle truppe di Carlo di Lorena. Da ufficiale partecipò alla battaglia per difesa di Vienna dai turchi, distinguendosi per coraggio ed intelligenza militare.

    Da allora la sua carriera militare in Austria, che era diventata la sua nuova patria, fu rapida. Promosso colonnello del Reggimento dei Dragoni Kufstein, nel 1686, fu protagonista della liberazione dell’Ungheria dai turchi, che l’avevano occupata nel 1541 e, poi, della liberazione di Belgrado (1688). A ventiquattro anni era già Maresciallo dell’Impero.

    Formatasi una Lega tra Austria, Polonia, Russia e Venezia, Eugenio di Savoia, sempre con l’esercito asburgico, sconfisse i turchi a Zenta nel 1697. Con la pace di Carlowitz (1699) l’Europa fu liberata per sempre dalla loro minaccia: la Morea fu ceduta a Venezia, l’Ungheria e la Transilvania all’Austria, l’Azov alla Russia.

    Restava da battere la Francia, alleata dei turchi e traditrice dell’Europa, anche per sottrarre il Piemonte alla sua egemonia.

    I francesi avevano sconfitto i Piemontesi a Susa, Vercelli ed Ivrea (1704). I Savoia resistevano a Torino assediata. La città fu salvata dall’eroismo di Pietro Micca (1706) che si fece saltare in aria per impedire l’accesso dei francesi da un tunnel sotterraneo. Dopo 117 giorni di assedio, Torino era allo stremo, quando arrivò l’esercito di Eugenio e di Vittorio Amedeo di Savoia. Nonostante l’inferiorità numerica, il senso tattico e strategico di Eugenio divise i francesi, che furono battuti presso Superga. I due Savoia, entrati a Torino furono scortati dalla folla festante fino al Duomo, dove fu eseguito il Te Deum.




    Dopo la guerra di successione spagnola, in cui Eugenio aveva sconfitto ancora i francesi a Carpi, a Chiari ed a Hochstädt, egli fu Governatore di Milano. Poi, fu richiamato alla sua funzione di condottiero. Il genio militare di Eugenio consentì di sconfiggere i turchi a Peterwaradino e nella memorabile seconda battaglia per la liberazione di Belgrado (1717).

    La gratitudine dell’Austria gli fu dimostrata in vita con la splendida villa del Belvedere sulle colline di Vienna ed in morte con l’onore della sepoltura nel Duomo di S. Stefano a Vienna. La sua statua equestre, eretta sulla collina del palazzo reale di Budapest, guarda ancora verso il Danubio (da dove nel 1526 i turchi erano arrivati), quasi a rappresentare un monito duraturo.



    Conclusioni: il mito e l’identità.

    E’ inutile fingere buonismi: le identità dei popoli si formano nel confronto (e nello scontro) con altre culture. Lo ha ribadito anche Samuel Huntington in “Lo scontro delle civiltà”. Se l’Europa, oggi, vuole avere un volto ed un’anima deve necessariamente riscoprire la sua storia ed i suoi miti.

    Quegli uomini, al di là della realtà storica in cui vissero, assursero a miti nell’immaginario collettivo dell’Europa cristiana dei secoli passati. Poi, dalla fine del 1700, essi caddero in oblio. L’Europa illuminista e post-illuminista voleva dimenticare le sue radici per assumere il volto anonimo del cosmopolitismo. Ora è venuto il momento che il Continente, nello sforzo di ritrovare la sua identità, riprenda anche la sua mitografia storica e celebri le ricorrenze più significative. E’ un’operazione culturale utile ed anzi necessaria, che la Destra culturale e politica (da sempre attenta alle radici e lontana da connotazioni illuministiche) deve compiere. Ciò, anche per mettere ordine nella confusione di idee che oggi la caratterizza (“le idee a posto”, direbbe Benoist) e, quindi, per ritrovare se stessa.

    Proprio nell’ottica identitaria, la mitografia storica ha ancora una sua validità pratica. Non si tratta della mera rievocazione del fragore delle battaglie, perché siamo consapevoli che una siffatta rievocazione, se fine a se stessa, sarebbe superata (com’è superata quell’impostazione storiografica che su di essa si basava), ma lo scopo è quello di ricreare una “mitografia popolare”, nella quale la gente possa identificarsi e per mezzo della quale possa estrarre sentimenti e passioni dal fondo del proprio irrazionale.

    E’ evidente che, al contrario, l’euro, i trattati dell’Unione Europea, l’integrazione economica, la cosiddetta costituzione europea, essendo elementi di tipo “istituzionale” non possano suscitare alcuna emozione, né dare alcun senso di identità ai popoli d’Europa.

    Nella dualità che sta emergendo sempre più in Europa e che vede da un lato le istituzioni comunitarie (anonime, burocratiche e dominate dalle lobbies finanziarie) e dall’altro i popoli europei (cultura, terra e sangue) la Destra deve essere con questi ultimi. Ed è al loro “irrazionale” che essa deve rivolgersi.

  2. #2
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Manca mi sembra il doveroso omaggio a Don Giovanni D'Austria....Cavalleresco e coraggioso.
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


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  3. #3
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    A parte la marea di idiozie ideologiche vorrei sottlineare (e correggere) la bestiale sciocchezza letta nella parte riguardo Eugenio di Savoia, che sconfisse i turchi a... Peterwaradino ???

    Mai letta dabbenaggine peggiore.

    Il posto si trova in Serbia e si chiama Petrovaradin (o Pétervárad in ungherese o Peterwaradein in tedesco).
    E' noto per la sua fortezza, una delle piu' imponenti in quella parte d'Europa.

    Il nome e' dato dalla combinazione di 2 parole: Peter (dunque Pietro, di derivazione bizantina - Petrikon - probabilmente in onore a San Pietro) + il suffisso varadin (derivante dallo storpiamento turco della parola ungherese - var - che significa appunto fortezza).

    Ebbene - la fortezza di Pietro. Dunque in italiano la traduzione corretta dovrebbe essere Pietrovárad o Pierovárad (rispettando la variante italiana del nome Pietro + l'originale ungherese ad indicare la fortificazione).

    Invece Peterwaradino e' un'allucinante storpiamento della forma tedesca, gia' in se' storpiamento della forma turca (varad-in; da varad), a sua volta storpiamento dell'originale ungherese.

    Ma sicuramente farebbe morire dal ridere gli ungheresi.

  4. #4
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Musulmani o cristiani, quando si tratta di diffondere la ''propria'' fede son tutti uguali.

    Prova ne sono le cosiddette crociate del Nord, tra il XII e il XIII secolo, quando i pacifici (ma pagani) popoli baltici furono massacrati dai cavalieri tedeschi in nome di Cristo in un bagno di sangue voluto dall'allora pontefice Innocenzo III.

    Grande esempio di civilta' cristiana - cattolica. :sofico:

  5. #5
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Senza contare che la vittoria risolutiva sui turchi fu a Zenta.
    E in queste condizioni:
    La situazione dell'armata era pessima: essa era composta prevalentemente da mercenari, molti arruolati contro la loro volontà o addirittura scelti fra delinquenti comuni. Inoltre, le paghe erano in ritardo di mesi e quindi l'entusiasmo e la disciplina erano ridotti al lumicino.
    Dell'organico previsto per l'armata, ottantamila uomini, erano disponibili solo poco più di trentamila, la cassa dell'armata vuota, il sistema logistico penoso. Così il principe di Savoia, per poter almeno iniziare la campagna, dovette anticipare di tasca propria gran parte dei fondi necessari al sostentamento logistico delle sue truppe.
    Cionostante annientò il più numeroso esercito turco e sanzionò lo stato di decadenza degli ottomani.iaociao:
    "Io nacqui a debellar tre mali estremi: / tirannide, sofismi, ipocrisia"


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  6. #6
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Citazione Originariamente Scritto da krn
    Invece Peterwaradino e' un'allucinante storpiamento della forma tedesca, gia' in se' storpiamento della forma turca (varad-in; da varad), a sua volta storpiamento dell'originale ungherese.
    Storpiatura, Krn, storpiatura. Correggiamo tutto quello che deve essere corretto, ok.
    Quindi in italiano il lemma corretto sarebbe PietroVaradino?
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  7. #7
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Poi così pacifici i popoli della confederazione prussiano-baltica non mi risulta che lo fossero.
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  8. #8
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Citazione Originariamente Scritto da Krn Visualizza Messaggio
    Musulmani o cristiani, quando si tratta di diffondere la ''propria'' fede son tutti uguali.

    Prova ne sono le cosiddette crociate del Nord, tra il XII e il XIII secolo, quando i pacifici (ma pagani) popoli baltici furono massacrati dai cavalieri tedeschi in nome di Cristo in un bagno di sangue voluto dall'allora pontefice Innocenzo III.

    Grande esempio di civilta' cristiana - cattolica. :sofico:
    ostridicolo:Bravo,adesso ti ci posso mandare?hefico:

  9. #9
    SMF
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Citazione Originariamente Scritto da Krn Visualizza Messaggio
    Musulmani o cristiani, quando si tratta di diffondere la ''propria'' fede son tutti uguali.

    Prova ne sono le cosiddette crociate del Nord, tra il XII e il XIII secolo, quando i pacifici (ma pagani) popoli baltici furono massacrati dai cavalieri tedeschi in nome di Cristo in un bagno di sangue voluto dall'allora pontefice Innocenzo III.

    Grande esempio di civilta' cristiana - cattolica. :sofico:
    Fecero benissimo, ignorante.

  10. #10
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    Predefinito Rif: Difensori dell'Europa Cristiana

    Bel pezzo.

    Ovviamente siamo il larga parte d'accordo.

    Ma, nel 600 d.C., l’avvento dell’Islam, con i suoi propositi di conquiste territoriali, di esportazione egemonica della lingua e dei costumi arabi e di coatta islamizzazione (con la conseguente cancellazione di ogni religione preesistente), segnò l’inizio di una frattura dell’unità culturale del Mediterraneo, che da allora non si è più ricomposta, né potrà più esserlo.
    Questa è una realtà storica che bisognerebbe tenere a mente quando si parla di politica euromediterranea.

    Un tempo le coste del Mediterraneo erano abitate da popoli e culture più affini all'Europa, l'islamizzazione ha travolto tutto, consegnando al dominio afroasiatico quelle terre.

    Conclusioni: il mito e l’identità.

    E’ inutile fingere buonismi: le identità dei popoli si formano nel confronto (e nello scontro) con altre culture. Lo ha ribadito anche Samuel Huntington in “Lo scontro delle civiltà”. Se l’Europa, oggi, vuole avere un volto ed un’anima deve necessariamente riscoprire la sua storia ed i suoi miti.

    Quegli uomini, al di là della realtà storica in cui vissero, assursero a miti nell’immaginario collettivo dell’Europa cristiana dei secoli passati. Poi, dalla fine del 1700, essi caddero in oblio. L’Europa illuminista e post-illuminista voleva dimenticare le sue radici per assumere il volto anonimo del cosmopolitismo. Ora è venuto il momento che il Continente, nello sforzo di ritrovare la sua identità, riprenda anche la sua mitografia storica e celebri le ricorrenze più significative. E’ un’operazione culturale utile ed anzi necessaria, che la Destra culturale e politica (da sempre attenta alle radici e lontana da connotazioni illuministiche) deve compiere. Ciò, anche per mettere ordine nella confusione di idee che oggi la caratterizza (“le idee a posto”, direbbe Benoist) e, quindi, per ritrovare se stessa.

    Proprio nell’ottica identitaria, la mitografia storica ha ancora una sua validità pratica. Non si tratta della mera rievocazione del fragore delle battaglie, perché siamo consapevoli che una siffatta rievocazione, se fine a se stessa, sarebbe superata (com’è superata quell’impostazione storiografica che su di essa si basava), ma lo scopo è quello di ricreare una “mitografia popolare”, nella quale la gente possa identificarsi e per mezzo della quale possa estrarre sentimenti e passioni dal fondo del proprio irrazionale.

    E’ evidente che, al contrario, l’euro, i trattati dell’Unione Europea, l’integrazione economica, la cosiddetta costituzione europea, essendo elementi di tipo “istituzionale” non possano suscitare alcuna emozione, né dare alcun senso di identità ai popoli d’Europa.

    Nella dualità che sta emergendo sempre più in Europa e che vede da un lato le istituzioni comunitarie (anonime, burocratiche e dominate dalle lobbies finanziarie) e dall’altro i popoli europei (cultura, terra e sangue) la Destra deve essere con questi ultimi. Ed è al loro “irrazionale” che essa deve rivolgersi.
    Veramente un bel pezzo.
    L'autore chi sarebbe?
    Comunque i miti sono fondamentali a ridefinire l'identità europea, pensiamo a come il mondo islamico e quello latino-americano rievochino i propri miti storici, sin dal trionfo dei colonizzatori europei, per riaffermare la loro identità.


    carlomartello
    Ultima modifica di carlomartello; 08-01-10 alle 18:25

 

 

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