Dag Tessore

La mistica della guerra. Spiritualità delle armi nel
cristianesimo e nell'islam

Fazi Editore, Roma 2003


L'Islam quindi non si discosta per nulla dalla teologia cattolica riguardo il concetto guerra Santa, caso mai ne fa un pilastro dei doveri del credente.


In uno scorcio temporale come l'attuale e all'interno di una fase storica come la presente, ove tutto ha valore e merito nel metro e nella misura in cui ogni cosa sa realizzarsi come merce per uso e consumo delle masse subumane e plebee, risulta dirompente e scandaloso parlare di spiritualità e di trascendenza.
O meglio, sarebbe perfettamente «in linea e consono» il blaterare di spiritualità se quest'ultima fosse null'altro che la risultante di una panacea per l'inquietudine e per la legittimazione dello status quo borghese, nonchè per i suoi «princìpi» sociali, evoluti, moderni e alla moda.
È Dio che si deve rendere simile all'uomo (e sopratutto lo deve pienamente accettare) e non invece (com’è giusto che sia) l'uomo che deve operare una trasmutazione interiore e che lo porti, quindi, a morire come Homo e a rinascere come Vir, per poi rendersi capace di porsi su di un livello di purificazione, al fine di accettare e di rispettare i voleri e le leggi divine. Solo allora, infatti, I'Emanuel (il Dio è con noi, o meglio dentro di noi) può manifestarsi nella sua nuova e reale trasfigurazione. E invece no! I borghesi temono atterriti, pieni di sdegno, che vi possa essere un codice di valori che annulli il loro mondo di m...., che afferma che oltre alla divinità di Dio non c'è altro Dio a cui prostrarsi o servire. Ecco allora che inverando ed invertendo (ciò è il tipico operare satanico) il mito, il messaggio ed il simbolo di Cristo, anzichè divinizzare l'uomo umanizzano Dio ...
Per fortuna in epoche passate (il tanto temuto oscuro e barbaro Medioevo ...), l'uomo e la religione erano tutt'altra cosa. Si comprendeva che la vita aveva valore solamente in rapporto ed alla realizzazione delle leggi divine; si accettava inoltre che la comunità di appartenenza fosse fondata nel rispetto e nell'attivazione in pratica delle norme e delle regole della religione, e non come oggi invece si usa dire e fare; cioè operando e decantando la tanta amata dai borghesi divisione del regno spirituale dall'ambito temporale.
Tutto quindi era o doveva assolutamente essere improntato nonchè indirizzato dal sacro e quindi dalle leggi Divine. Nasce così normale e spontanea una domanda logica: «cosa poteva accadere nel momento che degli eventi rappresentati da uomini, popoli e Stati si frapponevano alle leggi Divine e tentavano di invalidarle?». Accadeva solo e esclusivamente un fatto e null'altro: la guerra Santa!
La guerra santa per i cristiani, il Jihad per i musulmani, ovverosia quelle due religioni di ceppo Abramico che maggiormente, a differenza delle altre religioni, nella storia degli uomini hanno inciso nella loro vita, nel mondo, in termini di gran lunga superiore alle altre religioni. II cristianesimo a differenza di quello che affermano le sue gerarchie odierne non è mai stata affatto una religione pacifista, tutt'altro...
Anzi, si può addirittura affermare, senza timore di essere smentiti, che il Cristianesimo è di gran lunga pervaso di spirito bellico in maggiore misura rispetto alla stessa religione islamica. Difatti nell'Islam la guerra viene accettata e promossa esclusivamente se il conflitto è di difesa, al contrario nel Cattolicesimo la guerra è lecita non solamente come difesa, ma anche per preservare e per imporre un principio superiore rispetto ad una situazione di fatto che viola una realtà fisica e metafisica, che altrimenti senza l'intervento armato soccomberebbe.
Per quel che poi concerne la «problematica» dell'uccisione di esseri umani, è sempre la teologia cattolica a rispondere, sia per bocca del «pilastro supremo» della Chiesa di Roma e cioè San Tommaso d'Aquino e in particolar modo, anche e sopratutto, tramite San Bernardo di Chiaravalle, fondatore della Militia del Tempo, meglio nota come Templare.
Per San Bernardo e per San Tommaso il problema dell'uccidere non si poneva affatto; difatti nella Bibbia è scritto che sì è vietato uccidere, ma il giusto e non l'empio. Per entrambi l'uccidere chi provoca danni agli uomini o alla religione non risulta essere un omicidio bensì un malecidio, e nel momento in cui si toglie la vita ciò ha una doppia valenza positiva in quanto uccidendo si toglie la possibilità sia di peccare ancora (e quindi di arrecare anche a se stessi ancora maggior danno) e di conseguenza di allontanarsi sempre di più dal paradiso e avvicinarsi invece sempre più all'inferno. Quindi punendo con la morte si permette sia di espiare le colpe e sopratutto si impedisce l'infliggere ulteriormente altro male che alla lunga potrebbe dinnanzi al giudizio Divino risultare fatale e definitivo.
Senza poi contare che uccidendo un empio si opera in modo tale che l'individuo una volta «sotto terra» non possa poi recar danno a nessun altro, sia da un lato fisico e sopratutto spirituale.
Che altro aggiungere in questo quadro d'insieme. Non mi discosto neanche di un millimetro, anche per me in questo caso si tratta di dogma della fede!
Per quel che poi concerne i vari «passi» del Vangelo, che a detta dei nostri cari modernisti farebbero propendere per una visione del cristianesimo pacifista e antimilitarista, grazie al detto «il porgere l'altra guancia» e il «perdonare 70 volte 7», è la teologia cattolica a rispendere a questi sinistri figuri in odor di massoneria. Come afferma il magistero della chiesa il porgere l'altra guancia deve significare nient'altro che uno stato interiore dell'essere, il quale nel giudicare e nell'agire non deve in alcun modo esser preda dei vari moti dell'anima e dell'istitualità del momento. Lo stesso insegnamento lo troviamo nello Zen e nel Buddismo in genere.
Da qui però nasce ciò che invece il reale e giusto giudizio, una volta svincolatosi dalle pulsioni animiche, deve poi attivare in fase di punizione da parte dei dottori della legge, o i ministri della religione che dir si voglia. Nella valutazione, nel giudizio, e nella punizione non c'è assolutamente traccia di nessuna comprensione e in altrettanti termini nessun pacifismo misticheggiante, chi sbaglia paga, e si paga espiando, e si espia morendo!
Nella vera e autentica religione cattolica [come nell'Islam] non esiste democrazia o relativismo alcuno. Altresì c'è la netta e ferma presenza della configurazione dell'assoluto, e cioè delle leggi di Dio, il regno quindi delle affermazioni sovrane e delle negazioni assolute.
Nell'Islam invece il concetto di guerra o Jihad ha una valenza religiosa e fondamentale per ogni musulmano. Difatti il Jihad corrisponde ad uno dei pilastri della religione al quale nessun credente deve rinunciare. li Jihad si divide in grande e piccolo.
Il grande Jihad (letteralmente significa sforzo e non guerra) va combattuto dentro noi stessi, contro quelle pulsioni e affezioni dell'anima che tendono a farci sviare da un cammino di rettitudine spirituale; in secondo luogo come ordine di importanza c'è il piccolo Jihad, o meglio quel combattimento che va operato all'estremo contro i miscredenti e le forze del male, al fine di far affermare e trionfare la verità di Dio.
La guerra è uno dei pilastri della religione islamica. AI tal proposito vi sono molti richiami nel Corano che ammoniscono il credente al fine di rammentargli il rispetto della volontà Divina: «Vi è prescritta la guerra, anche se ciò può spiacervi; infatti può darsi che vi spiaccia qualcosa che è invece un bene per voi, e può darsi che vi piaccia qualcosa che è invece un male per voi, ma Dio sa e voi non sapete» [Sura 2,216].
Come nella Bibbia, così anche nel Corano la lotta tra i giusti e gli empi è vista come riflesso terreno dell'eterna battaglia tra il partito di Dio (hizb Allah, come lo chiama il Corano) e il partito di Satana (hizb al-Shaytan). «Coloro che credono combattono sulla via di Dio, e coloro che rifiutano la fede, combattono sulla via dei demoni; combattete dunque gli alleati di Satana, che l'insidia di Satana è debole insidia» [Sura, 4, 76].
L'Islam quindi non si discosta per nulla dalla teologia cattolica riguardo il concetto di guerra Santa, caso mai ne fa un pilastro dei doveri del credente.
Un capitolo a parte all'interno della religione mussulmana merita l'Islam Sciita. Qui la visione del martirio in combattimento raggiunge uno stadio ed una sublimazione di livello assoluto. Gli sciiti hanno origine attorno alla figura di Alì (nome completo Alì ibn Abi Talib), cugino del Profeta Maometto. Egli fu il quarto califfo dell'Islam e la sua figura è di fondamentale importanza sia per lo Sciismo (di cui a ragione è considerato il fondatore) che per tutta la teologia e l'insegnamento mussulmano in genere. In Alì la prescrizione alla guerra si unisce e cammina di pari passo con l'esempio del martirio, che viene predicato ed insegnato come via di liberazione assoluta dai ceppi della materialità, per il raggiungimento poi della regione dell'assoluto e dell'incondizionato.
L'insegnamento di Alì e di tutta la teologia sciita risente di una profonda natura metafisica ed esoterica, che da sempre ha caratterizzato gli sciiti, ponendoli su di un piano differenziato e qualitativamente maggiormente elevato rispetto a molte, se non a tutte le altre, correnti sunnite all'interno dell'Islam. Affermava infatti Alì riguardo il superamento dell'esser condizionato e della sua cagionevole e mutevole natura: «Qual è la vostra condizione? Vi sentite soddisfatti di quello che vi siete assicurati in questo mondo, trascurando il mondo futuro, dei cui beni vi sentite privati? Le misere cose di quaggiù vi danno grande pena e ciò traspare dai vostri visi e dalla mancanza di sopportazione per qualsiasi cosa che vi sia tolta, sebbene questo mondo sia considerato da voi permanente dimora e sebbene la sua ricchezza sia da voi apprezzata!».
La guerra e il combattimento sono una via tracciata da Alì per far realizzare all'interno di noi stessi quell'opera alchemica che conduca allo scioglimento di un composto (l'uomo borghese è assopito ad ogni richiamo del trascendente) fino a giungere al rinsaldamento di una nuova realtà totale e assoluta, e che armonicamente dipenda da Dio e di questi rispetti la sua volontà.
L'uomo nel momento in cui riconosce il suo fine, comprende l'assolutezza di Dio dal quale la sua limitatezza è compensata e riassorbita. Caso contrario, quando l'uomo assolutizza se stesso come Dio del proprio io (disconoscendo quindi il suo Signore), anzichè attingere la sua energia dalle forze della luce, cerca la sua forza nell'assenza di luce, o meglio nelle tenebre, e, quindi, in Satana.
La guerra ed il martirio, come pensa questa sub-umanità a noi presente, non sono un castigo di Dio, tutt'altro!
È un dono che il Signore lancia ai più meritevoli e ai più puri.
Chi vive nelle tenebre non ha bisogno di purificarsi, perchè non serve il martirio come ricompensa. Casomai necessita la morte per condanna come purificazione!
AI martirio si va volontari e con il cuore ricolmo di gioia, alla morte per giudizio ci si giunge per colpa e con l'animo tetro e ricolmo di terrore. La guerra santa, lo si rileva sia nell'Islam che nel Cattolicesimo, è combattimento guerriero sulla via di Dio, da parte di una Militia ascetico-guerriera disposta ad immolarsi per far trionfare la giustizia e la verità di Dio contro il regno di Satana e dei suoi servi.
In conclusione, permettetemi di apportare una particolare annotazione ad un ambiente umano, «politico e spirituale», che di tali insegnamenti (religiosi ed esistenziali) doveva farsi carico; un ambiente umano che avrebbe dovuto rappresentare la Legione della Luce contro gli antri delle tenebre, e fra le due parti ha scelto la seconda.
Molti di costoro (non tutti, per fortuna) sono divenuti servi «delle gioie di questo mondo», esseri senza più dignità ed onore. Concludo, quindi, indicando a questi signori cosa li può attendere, se non in vita, almeno nel post mortem in premio per il loro tradimento e la loro infame esistenza: «Si avvicina per gli uomini la resa dei conti, ed essi se ne distolgono neghittosi, e ogni ammonimento nuovo che giunge loro dal Signore lo ascoltano scherzando e divertendosi in cuor loro» [Sura 21,1,3].
«Gli empi tramarono insidie e noi pure tramammo insidie, mentre non s'avvedevano di nulla. Però mira qual fu la fine della loro trama: li sterminammo, loro e il popolo loro, tutti: ed ecco vuote le loro case, per l'iniquità loro. E certo in questo v'è un segno, per gente che intende. E salvammo coloro che credettero, e temevano Dio!» [Sura 27,50-53].



Massimiliano De Simone