Boris Kagarlitsky


LA RIVOLTA IN FRANCIA: UN ’68 ALLA ROVESCIA




La Francia è ancora una volta tornata al centro dell’attenzione. Prima di tutto, la Costituzione Europea è stata seppellita dal popolo, poi i giovani immigrati sono insorti nelle periferie, ora gli studenti della Sorbona, molti dei quali ormai sono tutto meno che dei benestanti, hanno acceso la miccia alla ribellione, invitando i giovani immigrati delle periferie ad unirsi a loro. Così è andata in pezzi l’immagine dei mass-media che cercavano di dipingere i giovani delle periferie solo come degli estremisti islamici che volevano minacciare l’intera civiltà europea.

I nostri giornalisti non hanno nulla da offrire se non ripetere le triviali allusioni agli eventi del 1968. E ciò non avviene solo per ignoranza dei commentatori, ma per la logica che li accomuna secondo cui il conflitto verrebbe dal nulla, ma che piaccia o no, bisogna commentarli. Non gli importa di sapere cosa sta succedendo, non hanno tempo per approfondire. Fare degli accenni, sottolineare qualcosa, dare un’occhiata in superficie e raccontarlo, tanto gli basta. Qualche mese fa c’erano gli “islamici”, ora un nuovo “1968”. Sembra che gli eventi politici si ripetano, un po’ come le stagioni…

Le misure prese dal governo in Francia, non sono isolate. Sono state adottate in molti paesi della Comunità Europea. La destra in Svezia sta proponendo qualcosa di simile nella campagna elettorale (la campagna elettorale si sta accendendo proprio sulla questione dei diritti dei giovani). Nella neolingua postmoderna orwelliana i governanti europei chiamano tutto ciò “opportunità di occupazione per i giovani”.

Bene, tuttavia le politiche neoliberali stanno veramente creando nuovi posti di lavoro utilizzando misure di mercato “sulla carne umana”. Si espande la libertà dell’imprenditore e contestualmente si diminuisce la sicurezza sociale dei lavoratori. C’è dunque maggiore libertà, sì, ma per i padroni: costoro vogliono sempre di più noleggiare i lavoratori e gettarli via quando non gli vanno più bene. Sono lavori a bassa qualifica, con salari da fame, che non garantiscono neppure la minima sicurezza di continuità lavorativa. In prospettiva questa sarà la realtà non dei lavoratori sotto i 26 anni, ma dei lavoratori in generale. Questa legge, come il complesso delle politiche liberiste, sono rigettate dalla maggioranza della popolazione o almeno della sua parte più attiva.

E qui cominciano i problemi. Perché le politiche rigettate dalla maggioranza della popolazione, le politiche di classe, sono diventate l’orizzonte culturale di tutti i partiti influenti e “seri”, sia di destra che di sinistra. Tutti costoro propugnano politiche rigettate dalla maggioranza della gente. Il “senso di responsabilità” in politica oggi presuppone il completo disinteresse per le aspirazioni e degli interessi degli “elettori”. La democrazia, per funzionare, ha bisogno di escludere completamente la gente dalle decisioni che contano.

Tutto quanto qui sostenuto crea una situazione in cui la gente non ha altra alternative che rivoltarsi per mettere in luce i propri punti di vista, per mettere il fiato sul collo dei politici. Il referendum sulla Costituzione Europea ha rappresentato anch’esso una forma di rivolta, seppure in forma elettorale. La sconfitta elettorale ha messo in guardia i politici occidentali: sta forse arrivando il momento di evitare di chiedere il consenso per le loro scelte?

Torniamo ora alla pietosa comparazione tra gli eventi attuali e quelli del 1968. Ciò che colpisce a prima vista sono le contraddizioni più evidenti. Gli studenti del 1968 erano assai più radicali, ma più isolati dalla maggioranza della popolazione. Oggi sono la punta avanzata di un più vasto movimento.

Nel 1968 le forze di sinistra erano più forti ed influenti, ma non rappresentavano il punto di vista della maggioranza. Quando ebbe la possibilità di esprimersi, il filisteo francese, la “maggioranza silenziosa”, votò per i gollisti. Oggi una sinistra degna di questo nome in Francia non esiste. I socialisti lo sono solo di nome mentre le loro politiche sono più di destra di quelle di Chiarc. I gruppi che si definiscono comunisti sono divisi in molti gruppi che rivaleggiano tra di loro e sono, francamente, disorientati. Ma la società è assai più di sinistra di quanto lo era negli anni Sessanta.

La vita politica francese degli anni Sessanta con le sue spaccature nette tra destra e sinistra (più destra che sinistra, in realtà) rifletteva in modo più o meno preciso le aspirazioni e i sentimenti di quella società. Ora la politica è una sorta di specchio rovesciato della realtà. Allora, nel 1968, la lotta politica rifletteva le contraddizioni della società, ora invece vediamo a occhio nudo la contraddizione flagrante tra politica e vita.

“Contraddizioni” di questo tipo sono la conseguenza naturale di una certa realtà socio-economica chiamata Unione Europea. L’Unione Europea è un istituto volto alla abolizione della democrazia per come l’hanno interiorizzata gli stupidi europei nell’ultimo secolo. Non sorprende, in questo contesto socio-economico, che la povera gente, quella oltraggiata tutti i giorni, venga esclusa con la forza dai processi decisionali politici. E non sorprende che tenti allora di resistere con qualsiasi mezzo alle ingiustizie. Le insorgenze di oggi sono solo il prologo di conflitti ben più seri che diverranno inevitabili nei cosiddetti Stati democratici. Mettendosi alla testa di queste rivolte, la Francia ha dimostrato ancora una volta la correttezza della tesi di Marx secondo cui il paese transalpino è il “lo Stato classico” della lotta politica.