Maurizio Blondet
22/03/2006
CINA - Vladimir Putin è in Cina per una visita di Stato.
E per inaugurare «l’Anno della Russia», una serie di manifestazioni che durerà un anno intero, col dichiarato scopo di «migliorare le relazioni culturali» fra i due popoli.
Le relazioni politico-militari sono già forti.
Nel luglio 2005 Putin e Hu Jintao emanarono una dichiarazione congiunta in cui rigettavano il tentativo di «qualunque Paese» di «monopolizzare gli affari mondiali» e di «imporre modelli di sviluppo sociale» ad altri Paesi.
Non è difficile intuire a quale «Paese» Mosca e Pechino alludessero: erano i mesi in cui le rivoluzioni colorate pagate dal Congresso USA impazzavano dall’Ucraina al Kirghizistan.
Il giorno prima della partenza di Putin per Pechino, Russia e Cina hanno bloccato un pronunciamento del Consiglio di sicurezza ONU contro l’Iran.
Mosca e Pechino partecipano anche alla Shanghai Cooperation Organization (SCO), che riunisce gli staterelli post-sovietici dell’Asia centrale con l’evidente scopo di sottrarli all’influenza americana.
Il 5 luglio 2005, dopo una riunione dello SCO in Kazakstan, l’Uzbekistan annunciò che gli USA non possono usare la base aeronautica che hanno affittato nel Paese a Karshi-Khanabad per operazioni diverse dal supporto logistico in Afghanistan.
Pochi giorni dopo, Taskent dichiarava terminato il contratto d’affitto con gli americani.
Poi, in agosto, ci sono state le prime manovre militari congiunte della storia, «Missione di Pace 2005»: grandi spiegamenti di truppe e mezzi aeronavali, per mostrare i muscoli agli USA e agli staterelli che potrebbero essere tentati di diventare loro satelliti nell’area.
Nell’occasione, Putin ha venduto ai cinesi altri sistemi d’arma, specie caccia Su-27 e Su-30.
Altre grandi manovre sono previste per il 2007 per «sviluppare la capacità congiunta di contrastare la minaccia del terrorismo»: avranno luogo in Russia, nel distretto federale meridionale, ossia a ridosso del Caspio - l’oggetto delle avidità americane.
Anche i rapporti economici sono sempre più intensi.
Il commercio bilaterale ha raggiunto nel 2005 i 30 miliardi di dollari (+37 % in un anno), e i russi ritengono che quest’anno toccherà i 36 miliardi.
La Russia soddisfa attualmente l’8 % dei bisogni energetici della Cina.
Il greggio trasportato in Cina con la Transiberiana è aumentato in un anno del 42 %.
Ora, la visita di Putin servirà a discutere l’ampliamento delle forniture.
I cinesi premono per nuovi oleodotti e gasdotti.
La Gazprom e la sua controparte cinese, China National petroleum Corporation, si sono accordate in linea di massima per un gasdotto che dovrebbe raggiungere il Xinjiang.
E’ in discussione un oleodotto tra la Siberia e la Cina nord-orientale, fino alla coste del Pacifico: il cliente da servire è, per Mosca, il Giappone.
Ma la Cina vuole una pipeline separata, o almeno una bocchetta aperta dell’oledotto a Daqing, per approvvigionarsi di 30 milioni di greggio, mentre altri 50 milioni proseguirebbero fino al terminal di Perevoznaya per rifornire la clientela asiatica.
Fino a ieri Mosca nicchiava a consentire investimenti cinesi nel proprio settore energetico.
Ora, le cose cambiano: evidentemente la comune minaccia percepita accelera la cooperazione.
Proprio pochi giorni fa, in un incontro cui hanno partecipato i quattro Paesi affacciati sul Caspio - Iran, Azerbaijan, Kazakstan e Turkmenistan - il ministro russo degli esteri, Sergei Lavrov, ha accusato «gli sforzi di certi Stati estranei alla regione di infiltrare il Caspio politicamente e militarmente con scopi non chiariti… è facile invitare truppe straniere, ma difficile poi ottenere che si ritirino».
E’ un richiamo all’Azerbaijan, a cui Washington chiede una base nel Paese, offrendo in cambio il rammodernamento della marina azera.
Lavrov ha aggiunto di non essere a favore della demilitarizzazione completa dell’area.
«La smilitarizzazione del Caspio non corrisponde alle realtà d’oggi», in cui Stati del Caspio «sono davanti a nuove minacce».
Il problema - o almeno uno dei problemi - è la delimitazione della suddivisione delle acque territoriali di questo mare interno, che sono fieramente contese perché sotto c’è il petrolio.
Lavrov ha auspicato un accordo onnicomprensivo che stabilisca «regole per le attività militari, il transito e le condizioni per gli oleodotti subacquei», problema che resta «non risolto».
Nell’aprile 2002, un vertice sul Caspio tenuto a questo scopo è fallito.
Da allora Mosca sta cercando di stringere una serie di patti bilaterali con ciascuno dei cinque Stati litoranei. Kazakstan e Azerbaijan hanno già firmato un accordo con la Russia.
Un vertice annunciato nel 2004, che doveva tenersi a Teheran, è stato rimandato indefinitamente: pare di vedere qui un’ambigua posizione dell’Iran; oggi di fronte alla minaccia americana, può darsi che Teheran accetti una sistemazione giuridica dell’area.
Ma non mancano i sospetti, in Iran come negli staterelli, per la forte presenza militare navale della Russia.
La flotta russa del Caspio è la più potente di tutte: e Putin in cinque anni ha raddoppiato le forze navali nel Caspio, che ora comprendono due fregate, 12 grosse navi-pattuglia e altri 50 vascelli minori, con base ad Astrakan e 20 mila uomini di equipaggi.
Maurizio Blondet
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