“ De bello apuano “
(193-180 a.C.)

Al termine della II Guerra Punica i Romani conservano quasi certamente la fascia costiera sino al Portus Lunae, che è unito a Roma da una veloce strada (sono sufficienti 4 giorni per recare le notizie alla capitale), l’Aurelia nova prosecuzione della vetus da Pisa, costruita attorno al 200.
Marco Porcio Catone *, console nel 195, staziona con una flotta di 25 navi nel Portus Lunae dove attende l’arrivo delle truppe via terra destinate alla spedizione in Iberia.
Ma la grande confederazione dei Liguri Apuani, la più potente e fiera tra le popolazioni liguri rimaste indipendenti, che si è ritirata tra le montagne della Val di Magra, della valle del Serchio e dell’Appennino orientale, si sente ormai circondata da Roma e si prepara alla guerra.


Nel 193 a.C. “coniuratione per omnia conciliabula universae gentes facta”[Liv. XXXIV,56,1 ] 20.000 Apuani attaccano la piana di Luna, 10.000 Piacenza e ben 40.000 si accampano sotto Pisa.
Accorre il console Quinto Minucio Termo da Arezzo e salva Pisa da sicura distruzione, ma non osa attaccare in campo aperto i Liguri che continuano a devastare l’agro pisano. Anzi, caduto in un’imboscata, è salvato dall’intervento della cavalleria numida .
Solo alla fine del 192 a.C. riesce ad affrontare gli Apuani in campo aperto e riporta una schiacciante vittoria: sul campo rimangono 9.000 Liguri .
Sbaragliati i nemici, le sue truppe entrano in territorio apuano e “castella vicosque eorum igni ferroque pervastavit “. Ma la sconfitta non ha fiaccato le forze degli Apuani, tanto che l’anno successivo attaccano improvvisamente le truppe romane che riescono a respingerli a costo di notevoli perdite.
Dopo tre anni di guerra nel 190 a.C. Minucio** ritorna a Roma ma non ottiene il trionfo, segno che le sue campagne non sono riuscite a porre un freno all’aggressività dei Liguri.
Pisa è salva ma sono interrotte le comunicazioni via terra con il Portus Lunae perché gli Apuani hanno ormai occupato la fascia costiera e minacciano l’Etruria del nord, appoggiati dai loro alleati Friniates che scendono dall’Appennino verso la Val d’Arno.
Per frenare tali incursioni nel 188 a.C. il Senato invia contro i Liguri il console Marco Valerio Messala che però non ottiene risultati apprezzabili.
E’ organizzata, l’anno successivo, una operazione su più larga scala impiegando tutti e due gli eserciti consolari: quello di Caio Flaminio insegue lungo le valli appenniniche che scendono verso l’Arno e sconfigge prima i Friniati e poi gli Apuani, che avevano devastato l’agro vicino a Pisa e a Bologna;
l’altro al comando di Marco Emilio risale la valle del Serchio saccheggiando la terra degli Apuani costringendoli a ritirarsi nei monti più alti fino a Suismontium (forse la rocca di Bismantova nel reggiano ), ma poi li vince in battaglia in campo aperto.
Proseguita la campagna contro altri gruppi di Friniati li costringe in pianura e, giunto a Bologna, dà inizio alla costruzione della via Aemilia.

Pur sconfitti, gli Apuani rimangono in armi costringendo i Romani ad organizzare un’altra spedizione militare affidata al console Quinto Marcio Filippo.
Costui al comando di 3.000 fanti e 150 cavalieri romani e 5.000 fanti e 200 cavalieri dei “socii” ,avanza verso la Val di Magra.
I Romani, che si sono imprudentemente avventurati tra boschi impenetrabili, sono accerchiati in una gola e massacrati, subendo la più grave sconfitta di tutte le guerre contro i Liguri. Restano infatti sul campo 4.000 uomini e vengono perse 3 insegne delle legioni e 11 insegne degli alleati, mentre il resto dell’esercito si ritira in disordine “prius sequendi Ligures finem quam fugae Romani fecerunt."
Il luogo dello scontro, passato alla storia col nome di "Saltus marcius”, non è stato individuato con certezza: tra i luoghi possibili sono stati proposti i Cerri di Marzo sul fianco orientale del monte Burello, nel territorio di Torrano nella stretta vallata del Gordana al confine tra i comini di Pontremoli e Zeri, i Mulini di Marzo nel comune di Bagnone e Marciaso nel comune di Fosdinovo.
Resi baldanzosi dalla vittoria gli Apuani riprendono le scorrerie sul litorale versigliese, mentre all’altro estremo della Liguria sulla Riviera di Ponente si sollevano gli Ingauni.

Nonostante il foedus del 201, le vie di comunicazione per Marsiglia e l’Iberia sono rese insicure sia sul mare dagli atti di pirateria da parte degli Ingauni e degli Intemelii della Riviera di Ponente, sia via terra dagli agguati lungo la strada costiera: l’incidente più grave era accaduto nel 189 quando il Pretore Quinto Bebio e la sua scorta diretto in Iberia, erano stati massacrati presso Marsiglia.

Per porre fine alle continue incursioni sulle due riviere e rendere sicure le comunicazioni, i Romani organizzano due spedizioni nel 185 a.C.: una, comandata da Appio Claudio Pulcro, diretta contro gli Ingauni; l’altra, sotto il console Marco Sempronio Tuditano, contro gli Apuani. Sempronio devasta il territorio degli Apuani e raggiunge il fiume Magra e il Porto di Luni, costringendo i Liguri a rifugiarsi sulle montagne. Ma i successi sono effimeri tanto che nessuno dei due consoli ottiene il trionfo.

Durante il consolato di Publio Claudio Pulcro e Publio Porcio Licino nel 184, e di Marco Claudio Marcello e Quinto Fabio Labeone nel 183, non si verifica nessuna azione militare di rilievo pur avendo entrambi i consoli l’assegnazione della Liguria come zona di operazione.
Nel 182 a.C. Lucio Emilio Paolo è impegnato contro le popolazioni liguri che abitano tra Genova e Alberga (forse i Viturii e i Sabates). Giunto ai confini con lo Stato ingauno, probabilmente presso Finale, il suo campo trincerato è assediato a lungo, e messo in grave difficoltà tanto da costringerlo a chiede aiuto alla flotta ancorata a Pisa.
Prima che sopraggiungano i rinforzi, però, con una fortunata sortita riesce a sconfiggere gli Ingauni che lasciano sul terreno ben 15.000 uomini e 2.500 prigionieri.
Tre giorni dopo la loro capitale Album Ingaunum* si arrende. Nello stesso tempo la flotta romana inviata da Pisa al comando del duumviro Caio Matieno sconfigge duramente la flotta ingauna catturando 32 grosse navi pirata.
I Romani, in questo caso, non infieriscono sui vinti per ordine del Senato, che probabilmente mira ad ottenere una solida alleanza e amicizia da parte di questa popolazione ligure marittima più civile e già aperta alla civilizzazione anche in funzione anticeltica. Gli Ingauni sono costretti solo ad abbattere le mura della città e devono rinunciare ad una flotta di navi di grosso tonnellaggio; ma, l’anno successivo, concluso un nuovo foedus con i Romani, in compenso potranno ingrandire notevolmente il loro territorio a scapito dei Montani, gli atavici nemici, sconfitti dal console Postumio.

Nella Liguria orientale i Romani si preparano ad una azione risolutiva contro gli Apuani e raccolgono quattro nuove legioni che con i socii raggiungono ben 35.800 uomini. Se si considera che anche Labeone ha ottenuto la proroga del comando, ben tre eserciti consolari gravitano sul suolo dei Liguri dalla costa degli Ingauni alle Alpi Apuane.
Nella primavera del 180 a.C. due di questi eserciti comandati dai proconsoli Publio Cornelio Cetego e Marco Bebio Panfilo marciano contro gli Apuani con l’ordine di risolvere definitivamente il “problema apuano”.
I Liguri sono completamente sorpresi dall’azione dei Romani che sono entrati in campagna prima del consueto, cioè prima che assumessero il comando i nuovi consoli Aulo Postumio Albino e Quinto Fulvio Flacco (suffectus) e sono costretti alla resa in numero di 12.000.
Consultato il Senato, si prende la decisione di deportare 40.000 capifamiglia con mogli e figli nel lontano Sannio in una zona di ager publicus già appartenuto ai Taurasini vicino a Benevento. (I Ligures Baebiani condividono l’antico pagus Aequanus degli Irpini con la colonia di Benevento. Le rovine del loro centro urbano si trovano in un bosco a tre chilometri da Circello.)
Qui vivranno per secoli in isolamento etnico col nome di Ligures Baebiani e Corneliani dal nome dei proconsoli che li avevano sconfitti.
I consoli dell’anno nel frattempo hanno raggiunto Pisa e con le legioni assegnate loro, e proseguono le operazioni militari: Fulvio rastrella il territorio degli Apuani catturando altri 7.000 capifamiglia che sono deportati nel Sannio come i precedenti.

Postumio afronta i Friniati presso il monte Ballista e Suismontium, costringendoli alla resa. Poi, battuti i Montani ad occidente, prende imbarco su una flotta e costeggia il territorio degli Ingauni e Intemelii. Sopravvivono in vallate isolate poche migliaia di Apuani che, dopo molti anni di pace, nel 155 a.C. si ribellano nuovamente: ma sono inevitabilmente sconfitti dai legionari romani comandati dal console Marco Claudio Marcello, che ottiene il trionfo ed una dedica di riconoscenza da parte degli abitanti di Luni.

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E’ molto probabile che lo stesso porto di Luna fosse opera di Catone. In questo porto sostò anche Ennio in quella stessa occasione o forse prima nel 204 a.C. di ritorno dalla Sardegna (Lunai portum est operae conoscere
Cives) .Questa frase è riportata quale motto nel Crest di Maristaeli Luni - Sarzana .

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Forse in questa circostanza Catone pronunciò il celebre discorso “ In Q. Minucium Thermum de falsis pugnis”
Il console, costernato, si allontanò da Roma e morirà in battaglia contro i Traci due anni dopo.

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La base linguistica del substrato mediterraneo “alb/alp” indica una località elevata centro del culto e del compascuo cioè del pascolo comune di diverse tribù liguri.
Anche oggi sulle Alpi e sull’Appennino tosco-emiliano il termine “alpe” [in dialetto lunigianese arpa] non indica il “monte”, ma i pascoli più elevati dove i pastori provenienti da più parti portano in estate le loro greggi, cioè l’alpeggio.
In seguito l’espressione “alba” sarà usata per designare le capitali sinecistiche dei popoli liguri:
Album Intemelium, centro federale degli Intemelii (oggi Ventimiglia); Album Ingaunum, capitale degli
Ingaunii (oggi Alberga); Alba Docilia (Albissola); Alba Pompeia (Alba in Piemonte);
Lo stesso processo portò da mons Albanus ad Alba Longa capitale federale dei populi Albenses del Lazio pre-romuleo, cioè dei Latini (espressione questa, non etnica ma politica).
Dalla stessa base “alb/alp” deriva il nome delle Alpi , del fiume Albula – il fiume dei monti - il più antico nome del Tevere [Aen., VIII, 332], del fiume Elba in Germania, dell’Albania nel Caucaso e nei Balcani, e di Albione intesa a designare dapprima tutta la Britannia e poi la sola Scozia.