http://www.repubblica.it/2005/b/rubr...annabouna.html

Anna e Bouna, africani
e il razzismo del "no tu no"


Secondo il rapporto annuale dell'Unar (l'Ufficio antidiscriminazioni razziali del ministero delle Pari opportunità) il 16 per cento delle denunce giunte al numero verde 800.90.10.10 riguarda "trasporto pubblico", "spazi pubblici", "erogazione di servizi da parte di pubblici esercizi". Si tratta dei luoghi dove la nostra idea dello straniero s'incontra con la nostra idea del diritto e dove l'atto discriminatorio si mimetizza. Al punto che spesso non è percepito come tale dal suo autore: chi grida "sporco negro" è perfettamente consapevole di pronunciare un ingiustificabile insulto razzista, chi dice "no tu no" ha, o ritiene di avere, delle ragioni. Infatti, il "no tu no" non è gridato ma esposto, illustrato, anche con modi corretti e cortesi.

E' la zona grigia dove l'intolleranza può prendere le sembianze del senso comune e dove il luogo comune assume un valore normativo. Tra i casi segnalati all'Unar due chiariscono bene il problema.

Primo caso, l'assicurazione. Anna, una signora di nazionalità italiana deve assicurare la sua automobile. Prende contatto con una compagnia e rapidamente si raggiunge un accordo sul costo della polizza, settecento euro. Arriva il momento della stipula e l'assicuratore prende nota dei dati anagrafici. Quando arriva al luogo di nascita, s'interrompe: "Kenya?". Sì, conferma la signora. Che poi spiega d'essere nata là, nell'Africa centro-orientale, ma di avere la cittadinanza italiana. Imbarazzato, l'assicuratore - che evidentemente applica, o ritiene di applicare, disposizioni superiori - comunica che l'accordo raggiunto non vale più. Il prezzo aumenta di quasi il cinquanta per cento: non più settecento ma mille euro.
La signora fa presente che, per stabilire il rischio, sarebbe opportuno prendere in considerazione il suo curriculum da guidatrice anziché la latitudine dei suoi natali: "Ho la patente da tre anni ma non ho mai avuto un incidente". Niente da fare: mille euro, prendere o lasciare.

Secondo caso, la discoteca. Bouna, ivoriano, e due suoi connazionali si presentano al cancello di una discoteca all'aperto. Hanno saputo che l'ingresso è gratuito e questo, naturalmente, è stato un motivo in più per scegliere proprio quel locale. Ma ecco la sorpresa: "Dovete pagare quindici euro a testa", dice uno dei guardiani. Strano: non solo il volantino pubblicitario parla chiaramente di "free entrance" ma tutti gli altri ragazzi entrano liberamente. Bouna, benché già l'abbia intuita, chiede una spiegazione. Ed è quella che temeva: "L'ingresso gratuito è per gli italiani".

In questo caso, i gestori del locale erano così convinti di esercitare un loro diritto che non hanno cambiato atteggiamento nemmeno quando le vittime della discriminazione si sono rivolte ai carabinieri. La verità era l'esatto contrario: un caso manifesto, spiega l'Unar, di quella che la legge definisce "discriminazione diretta". I ragazzi ivoriani non solo avevano diritto ad entrare gratis, come tutti gli altri, ma avrebbero anche potuto chiedere tutela giurisdizionale agendo in sede civile per ottenere il risarcimento del danno subito.

Accade raramente. Il più delle volte le vittime delle discriminazioni lasciano perdere. Come se - per i modi formalmente corretti del loro manifestarsi - queste discriminazione vengano avvertite "tollerabili". Non è un caso che la segnalazione di entrambe le vicende sia giunta al numero verde dell'Unar non direttamente dalle vittime ma dai loro partner italiani: il marito di Anna e la giovane compagna di Bouna.

(glialtrinoi@repubblica.it)

(19 marzo 2006)