L’Islam ci attacca? Ecco la realtà Maurizio Blondet
01/04/2006
Il Presidente Geroge W. Bush il 22 marzo al the Capitol Music Hall ha ricordato con forza la lotta globale al terrorismo
I musulmani aggrediscono l'Occidente?
Piantano bombe fra di noi?
Massacrano cristiani?
Sono questi i motivi suonati sul tamburo da vari giornalisti «cristianisti» in Italia, da Giuliano Ferrara a Socci a Farina.
E all'estero, è lo stesso.
Due studiosi dell'Università di Gand hanno voluto vederci chiaro (1), andando alla ricerca di tutti i dati disponibili sulla montata del terrorismo islamico.
I dati che hanno usato vengono da entità che sarebbe difficile sospettare di filo-islamismo: documenti del Dipartimento di Stato USA (Patterns of global terrorism) e della Rand Corporation, il think tank privato più vicino al Pentagono (RAND Terrorism Chronology, Terrorism Incident Database, ecc.).
Conclusione: «il numero di attacchi terroristici nel 2002-2003 è stato il più basso degli ultimi 32 anni»; e per il 2004-2005 la tendenza al ribasso è ancora più accentuata.
Lo studio di Gand distingue tra terrorismo «internazionale» - in cui terroristi attaccano bersagli fuori del proprio Paese, o bersagli interni al loro Paese associati a Stati esteri , o aerei - e terrorismo «nazionale», dove i terroristi attaccano bersagli interni al loro Paese, in specie avversari politici interni.
Il terrorismo internazionale è quello che ci riguarda, noi occidentali, come vittime potenziali.
Ecco i dati.
Terrorismo internazionale 2002 2003 2004 2005
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Totale dei decessi 970 470 733 443
In Medio Oriente 375 | 327 | 402 | 394
Di cui in Iraq n.p. | 172 | 352 | 321
Sud-Est asiatico 105 30 74 35
America del Nord 3 n.p. n.p. 0
Europa occidentale 0 1 192 0
Come si vede, non solo il numero dei morti per terrorismo è in calo; ma la grande maggioranza degli attentati e delle vittime è avvenuto nel Medio Oriente, dalla Palestina a - soprattutto - l'Iraq, dove gli atti di «terrorismo internazionale» sono di fatto, per lo più, atti di guerriglia contro la potenza occupante.
Nel 2005, notano gli studiosi belgi, «nove decessi su dieci del terrorismo internazionale sono avvenuti in Iraq e in Giordania» (l'attentato di Amman del novembre 2005, sui cui mandanti esistono forti dubbi: le vittime erano cinesi e palestinesi impegnati in colloqui segreti).
In Europa occidentale, a parte il tragico picco del 2004 (Madrid), le vittime per terrorismo sono uno o zero.
Basterebbe fare il confronto con i morti a decine di migliaia per incidenti stradali o per criminalità, per domandarsi: è giustificato il parossistico allarme sociale sul «terrorismo islamico»?
In USA, il Paese più allarmato, gli atti di terrorismo sono ancora meno.
Il solo attentato-strage è avvenuto nel 2001, il fatale 11 settembre: ed è stato con ogni probabilità un auto-attentato.
Cresce invece il «terrorismo nazionale», perpetrato da elementi interni ad una nazione contro bersagli interni.
Terrorismo nazionale 2002 2003 2004 2005
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Totale dei decessi 1793 1877 4333 7041
In Medio Oriente 189 557 2290 5831
(di cui in Iraq) 3 367 2120 5679
In Asia 918 773 803 764
(di cui in Pakistan e Afghanistan) 159 248 396 307
Sud-Est asiatico e Oceania 137 30 192 71
In America del Nord 0 0 0 0
In Europa occidentale 15 6 2 56
Il picco di 56 morti in Europa è dovuto all'attentato di Londra del 7 luglio 2005 (su cui gravano i soliti dubbi).
Per il resto, come si vede, l'aumento del terrorismo nazionale è concentrato quasi esclusivamente nelle zone di instabilità del mondo islamico: instabilità creata dall'intervento USA giustificato (fra le altre quattro o cinque motivazioni) come «lotta al terrorismo globale».
E' la «lotta» che ha provocato il terrorismo.
Il massimo numero di vittime si segnala nello stesso Iraq occupato (o «liberato»), di fatto controllato dagli americani: e nei primi anni è dovuto quasi esclusivamente alle indecifrabili stragi di sciiti dovute all'individuo denominato «Al Zarkawi».
Dal 2004, quando l'opera del cosiddetto «Al Zarkawi» riesce a innescare la guerra civile tra sunniti e sciiti, il numero delle vittime ha una brusca impennata.
Dunque il terrorismo interno è concentrato in una sola regione, il Medio Oriente, che conta l'80% delle vittime; è diretta conseguenza del degrado (forse voluto) della situazione interna irachena, per non parlare della Palestina.
Al secondo posto vengono l'Afghanistan occupato, e il Pakistan, dove prevalgono per gli attentati motivazioni politiche interne.
Il terrorismo, endemico nell'Islam (dove è spesso il solo modo di «alternanza» in regimi dispotici) resta confinato al mondo islamico; e specificamente a quella parte del mondo islamico soggetta ad occupazione e manipolazione da parte di forze occidentali, israeliane e americane.
I due studiosi di Gand concludono: «è difficile sostenere che il terrorismo internazionale rappresenti una minaccia di portata esistenziale, tale da consigliare una 'guerra di lunga durata', secondo l'espressione recentemente introdotta dal Pentagono. Conviene considerare il terrorismo internazionale piuttosto una sfida che una minaccia. Contrariamente a quel che si crede comunemente, non è il terrorismo internazionale, ma quello interno, ad essere il più pericoloso».
Già; dopo aver scorso queste statistiche ci si può domandare: dov'è qui Al Qaeda, la fantomatica rete di dimensione globale, dedicata a distruggere il Grande Satana e i suoi «crociati?».
L'azione di Al Qaeda è una serie di zeri.
E' singolare che le squadre terroriste islamiche, così feroci e agguerrite all'interno dei loro Paesi, non abbiano nemmeno tentato di proiettare le loro forze verso l'odiato Occidente.
«I Paesi occidentali», dicono giudiziosamente i due studiosi belgi, «non sono il bersaglio principale del terrorismo jihadista…i grandi sforzi nazionali e internazionali in materia di anti-terrorismo sono coronati da successo, specie nei Paesi occidentali»: grazie alla polizia, non agli eserciti.
«I musulmani sono le vittime principali del terrorismo perpetrato a nome dell'Islam»: già, guarda caso.
«La guerra in Iraq ha dato un enorme colpo di acceleratore al terrorismo, anziché diminuirlo. Ha fatto di questo Paese l'epicentro del terrorismo» (e chi poteva prevederlo? «Ci accoglieranno a braccia aperte», Wolfowitz dixit).
Più che ad uno scontro di civiltà, aggiungono i relatori, assistiamo a «uno scontro all'interno di una civiltà», l'Islam.
Il fatto che due Paesi musulmani siano occupati, che due altri (Siria e Iran) siano minacciati d'aggressione militare e che i palestinesi continuino ad essere ferocemente umiliati e aggrediti, avrà in qualche modo contribuito a radicalizzare le masse musulmane?
A far sì che guardino ai cristiani con qualche diffidenza e magari con odio?
Non sarà, insomma, che lungi dall'essere l'Islam ad attaccare noi, è l'Islam che è attaccato e anche per giunta provocato, non da ultimo con le famose vignette?
Sono domande che sarà bene rivolgere ai cristianisti.
Almeno, si tranquillizzino un po'.
Maurizio Blondet
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Note
1) Rick Coolsaet, Teun Van de Voorde, «L'évolution du terrorisme en 2005: une èvaluation statistique», 9 marzo 2006. Il primo dei relatori è docente di relazioni internazionali all'università di Gand e direttore del dipartimento «Sécurité et Gouvernance Mondiale» all'Istituto Reale di Relazioni Internazionali di Bruxelles. La seconda è ricercatrice al dipartimento di scienze sociali dell'università di Gand.