La politica di cui urge l'Italia è una vera “Reaganomics” che consenta di abbattere definitivamente i privilegi ed il becero clientelismo che ancora caratterizza la politica italiana.
E dunque la strada maestra per ottenere ciò è una drastica riduzione delle tasse, presupposto indispensabile al fine di eliminare definitivamente gli sperperi di uno Stato che appare sfasato con i protagonisti dell'economia internazionale di oltre 20 anni.
Infatti USA e Gran Bretagna oggi stanno raccogliendo i frutti della politica liberista di Ronald Reagan e di Margaret Thatcher, e non a caso il PIL di USA e Gran Bretagna galoppano al ritmo del 5%. Il resto d'Europa invece stà raccogliendo i frutti velenosi della politica farragginosa ed iperburocratizzata di uno statista statalista che và sotto il nome di Romano Prodi...
La “Reaganomics”
di Massimo Emanuelli
"Con l’avvento alla presidenza di Ronald Reagan iniziava una nuova era per l’America e per il mondo. Gli anni ’70 non erano stati eccezionali per l’America, dallo scandalo Watergate, origine delle dimissioni di Nixon, la crisi petrolifera, e due scialbi presidenti come Gerald Ford e Jimmy Carter. Reagan cambia tutto annuncia una rivoluzione conservatrice che avrebbe creato le condizioni per “a new beginning”, per un nuovo inizio e per un ritorno a quel “rugged individualism” che era alla base del capitalismo americano. Alla politica di Carter, Reagan contrappone un programma che sembra sfidare i principi dell’economia. Esso si propone di azzerare il deficit entro il 1985 riducendo le spese sociali e tagliando le tasse del 30%.
La riduzione delle tasse avrebbe dovuto rilanciare la domanda e gli investimenti, generando attività economiche in misura tale da accrescere le entrate fiscali e da far quadrare i conti fino alla riduzione del deficit. George Bush, futuro vice-presidente e poi successore di Reagan, quando era in corsa per la “nomination” repubblicana in concorrenza con Reagan, la battezzerà “economia della magia”, i sostenitori del presidente le daranno un nome, che ancora oggi rimane, “Reaganomics”, destinata a diventare la dottrina economica ufficiale dell’amministrazione Reagan.
Con la Reaganomics l’economia statunitense venne scossa dal letargo degli anni ’70 creando occupazione e dando il via ad una crescita dei mercati. L’aliquota fiscale sui redditi più elevati fu abbattuta dal 70 al 28%, l’imposta sul reddito delle società fu ridotta dal 46 al 34%, 25 miliardi di dollari furono tagliati dal bilancio federale. Reagan portò a Washington il populismo antistatalista di cui era imbevuta la California, dove era governatore.
La Reaganomics attecchì anche in Europa: in Inghilterra Margareth Tatcher aveva un programma mirante a smantellare settori economici protetti e alla piena restaurazione del liberismo economico, ma influenzerà anche il cristiano democratico tedesco Helmut Kohl, e persino i socialisti François Mitterand, Bettino Craxi, Phelipe Gonzales, Mario Soares e Andreas Papandreu, che adattarono la loro politica riformista alla Reaganomics, constatando il declino della classe operaia e facendosi interpreti delle nuove classi emergenti: colletti bianchi, ricercatori, tecnici, e delle nuove figure professionali della società post-industriale, sia per quanto riguardava una nuova organizzazione del lavoro, che per la creazione di strutture sociali e politiche coerenti con i valori e le aspettative delle nuove generazioni.
Nel 1982 il Pil americano era salito al 4,2%, nel 1983 al 5%, per stabilizzarsi attorno al 4,4% nel 1984. Nello stesso periodo aumentò la produttività e diminuì il tasso di disoccupazione, obiettivo del 1984 era il pareggio del bilancio federale. Riduzione dell’inflazione, aumento dei consumi privati, il prezzo del petrolio si è stabilizzato ed è iniziato a calare. L’industria americana si avvantaggia dei costi calanti, i prezzi delle materie prime sono al ribasso, il dollaro va bene, vi sono capitali esteri attratti dagli alti tassi di interesse, dalla ripresa economica e dall’immagine di un’America più forte e più fiduciosa nelle sue capacità.
La congiuntura favorevole continuerà fino al 1987, confermandosi come una delle più lunghe della storia americana. Grazie all’ottimismo Reaganiano e all’abile sfruttamento della popolarità del presidente, sempre altissima, la gente valuta gli aspetti positivi.
Il 10 novembre 1984 Reagan si ripresenta candidato presidente, il suo sfidante è il democratico Mondale, il successo è di dimensioni eccezionali: trionfo in 49 dei 50 Stati della Confederazione, con il solo Minnesotha (lo stato dell’avversario) e il Distric of Columbia andati a Mondale; 59% del voto popolare a Reagan, 41 a Mondale. Solo Roosvelt nel 1936, Llyndon Johnson nel 1964 e Richard Nixon nel 1972 avevano fatto meglio e per poco. Roba da anni ’80."
http://www.amicigiornaleopinione.191.../192/emma.html