Dalla parte mia sto facendo anche tutto il possibile anche per sollevare il mio caso personale anche presso i media di ogni livello (locali, regionali e nazionali) in quanto è un caso tipico della discriminazione e di maltrattamento degli immigrati in Italia. Dopo i fatti di Rosarno una parte della società può essere interessata di capire perché sono successi questi fatti e che davvero gli immigrati subiscono in Italia i maltrattamenti di ogni genere. Voglio arrivare alla verità sulla mia vicenda per poter dimostrare agli immigrati sfruttati che è possibile di far pagare i propri sfruttatori denunciando loro alle autorità. Voglio far arrivare ai politici che per combattere la riduzione in schiavitù, il lavoro in nero e la clandestinità, per prevenire i problemi successi a Rosarno è necessario di consentire rilascio dei permessi di soggiorno per motivi di protezione umanitaria agli immigrati che denunciano i propri sfruttatori.
Vi sto mandando un’articolo uscito oggi (10 gennaio 2010) sul quotidiano LIBERAZIONE (www.lberazione.it).

Storia di Sergiy Sakharov e dei suoi datori di lavoro

«Così ci sfruttano e calpestano i nostri diritti»

«Quando ho sentito dei fatti di Rosarno ho pensato che quella è una storia che mi riguarda, lo sfruttamento di quei lavoratori, le discriminazioni che subiscono, le ho conosciute anche io». A parlare è Sergiy Sakharov, cittadino ucraino residente in Italia, costretto suo malgrado a ricordare i tempi in cui era un "irregolare". Sergiy vive in Italia dal dicembre 1998, trafila comune ad oltre il 70% dei tanti migranti oggi regolarmente soggiornanti: ingresso con visto turistico valido 3 mesi e poi la ricerca di una difficile regolarizzazione lavorativa. «Sapevo già dove andare - racconta - e i primi 90 giorni li ho passati facendo il tuttofare (cameriere, lavapiatti, giardiniere, pulitore ecc…) in una azienda di agriturismo in provincia di Lecce. Lo stipendio era allora di 10.000 lire al giorno, con giornate lavorative che andavano dalle 10 alle 12 ore. Un piatto rotto, un lavoro non eseguito in tempo e la paga veniva decurtata». Ha accettato queste condizioni in cambio della promessa di una regolarizzazione - allora era possibile- e i datori di lavoro avevano in effetti inoltrato le pratiche, tanto che Sergiy è tornato a casa e ad aprile del 1999 è rientrato presentando in tempo i documenti necessari per un permesso di soggiorno temporaneo, valido tre mesi. Ma a questi padroni, l'idea di un contratto regolare non piaceva affatto, quindi rinviavano continuamente l'adempimento alla promessa fatta, nel frattempo arriva la bella stagione, l'azienda si riempie di turisti, le ore di lavoro giornaliere diventano 14- 16, la paga resta uguale. Anzi, dato che la stanchezza faceva compiere a Sergiy altri errori nel lavoro, le decurtazioni crescevano. Gli hanno fatto pagare anche la cena di un funzionario della questura, per facilitare la sua regolarizzazione. Passati 4 mesi, permesso scaduto, l'azienda fa ottenere a Sergiy un altro permesso temporaneo di 3 mesi, ma il contratto non arriva e lui, ottenuti i documenti, se ne va denunciando i gestori dell'azienda all'ispettorato del lavoro. La denuncia viene accolta e il lavoratore viene assunto (post factum) da aprile ad agosto 1999, per quel periodo però non ottiene neanche una lira. Da allora un periodo da ospite - con possibilità di uscire nell'allora Cpt gestito dal famigerato don Cesare Lo Deserto, poi una sistemazione in una casa e la ricerca di una vita migliore. «Ho provato anche a parlare con i miei datori di lavoro - racconta - Li ho avvisati prima di andare da loro, li ho incontrati, padre madre e figlio di 22 anni, più alto e forte di me, e mi hanno proposto di chiudere la questione dandomi 250. mila lire, a condizione di firmare una carta in cui dicevo di non avanzare più pretese nei loro confronti. Mi sono rifiutato dicendo che la somma era ridicola, per tutta risposta hanno chiamato i carabinieri dicendo che mi avrebbero fatto espellere». Ai carabinieri i tre, dichiararono che Sergiy avava proferito minacce dicendo alla proprietaria "ti faccio fuori". «All'epoca il mio italiano non era un gran che - dice oggi Sergiy - ma una frase del genere, da linguaggio malavitoso non l'ho mai detta. Avrò detto "ti faccio pagare", nel senso che volevo i miei soldi, non di più». Anzi pare che la frase in questione "ti faccio fuori" sia stata pronunciata dalla datrice di lavoro e Sergiy l'aveva all'epoca interpretata come un "ti faccio buttare fuori". Il lavoratore, portato in caserma ha denunciato i suoi aguzzini sia per sfruttamento di lavoro irregolare che per le condizioni di schiavitù subite. Sergiy Sakharov dopo pochi mesi ha lasciato la Puglia cercando di dimenticare:«Quello che ho vissuto mi fa ancora male». E se ne è andato in Emilia Romagna. Si è iscritto all'università, lavora decentemente e oggi risiede nei pressi di Ravenna, ma alla fine dell'anno il passato gli è tornato addosso. Una lettera, proveniente dal Tribunale di Lecce in cui gli si ingiungeva di pagare le spese per un processo a suo carico di cui nessuno lo aveva informato. Accusato e condannato per lesioni e minacce di morte - pena prescritta e passata sotto indulto - era stato condannato nell'aprile del 2006. A Lecce aveva lasciato tutti i suoi recapiti alle autorità ma nessuno lo aveva chiamato mai. Ora ha pochi giorni per presentare ricorso, per oltre 3 anni quella sentenza è rimasta fra le scartoffie di un tribunale e oggi ripiomba come una spada di Damocle. Non è la spesa che spaventa Sergiy, è l'indignazione per una ingiustizia subita e sono le preoccupazioni per il futuro. Sta per inoltrare la domanda per ottenere la cittadinanza italiana. Questa sentenza potrebbe risultare ostativa all'ottenimento di un suo diritto. Una persecuzione lunga 10 anni a cui Sergiy Sakharov continua a volersi ribellare.«Continuerò a procedere legalmente contro chi mi accusa - dichiara - avrei dimenticato ma ora non posso più».