Sfilano i camerati in camicia nera. In scena la seconda marcia su Roma
Saluti fascisti, corteo in furgone e Capitan Harlock come colonna sonora. Romagnoli (Fiamma Tricolore): una goliardata, è esuberanza giovanile
ROMA - E’ mezzogiorno. Piazza Bologna, quartiere Nomentano. Tra la folla in coda alla Posta e quella seduta nel caffé al centro della piazza, sfila un corteo di furgoni e jeep nere scoperte. Bandiere nere con fiamma. Militanti vestiti di nero. Uno grida al megafono: «Vota lo Stato sociale, vota fascismo, vota Fiamma tricolore!». Un altro saluta romanamente, sperando in una reazione. Due clienti del bar scattano in piedi e rispondono al saluto. Altri scrollano il capo, a qualcuno viene da ridere. Una signora si avvicina, chiede se danno qualcosa, spiega che ieri sono passati sulle macchinine elettriche quelli della Democrazia cristiana, « </B></I>quelli de Pippo Franco </B>», e regalavano le colombe pasquali: « </B></I>Ma ’a so magnata stammatina a colazzione, ’a colomba, era pure bbona </B>». Purtroppo dai furgoni non lanciano dolci ma volantini con foto di squadristi, quelli veri, con teschi in campo nero, fez, manganelli e tutto. Slogan: «Sostieni la SQUADRA del cuore». Insomma, stanno giocando alla marcia su Roma. Il riso sarebbe irrefrenabile, se non venisse da pensare ai discendenti dei ventidue morti ammazzati (solo nella capitale: lo ricostruisce il saggio di Giulia Albanese appena pubblicato da Laterza), o agli extracomunitari che dalla Posta osservano un poco in ansia. In ogni caso, il saluto romano sarebbe reato. Reiterato il pomeriggio, in piazza del Popolo, la piazza già di Almirante e di Fini che invece sta parlando a Santi Apostoli, sede dell’Ulivo. Chiude la campagna della Fiamma tricolore il segretario, Luca Romagnoli. I «cari amici, cari camerati» sono un centinaio. Molti di più gli agenti chiamati a sorvegliarli e proteggerli: undici blindati dei carabinieri, due pullman della polizia, più elicottero, pattuglie sparse e agenti in borghese. Lo stereo sui furgoni alterna l’Inno a Roma («Sole che sorgi libero e giocondo») e la sigla del cartone animato Capitan Harlock («Un pirata tutto nero che per casa ha solo il ciel/ ha cambiato in astronave il suo velier»): nostalgie dell’Impero e dell’infanzia, con qualche accelerazione rap, tipo «Marciare, per non morire/ marciare, per non marcire». Ginnastica rivoluzionaria, mimesi del 28 ottobre. Il leader Romagnoli è molto soddisfatto.
«Non ne sapevo niente, sono appena arrivato dall’Abruzzo, mi hanno fatto una sorpresa. E che c’è di male? Una goliardata! Una cosa spiritosa! Esuberanza giovanile! Chieda a un genitore se preferisce un figlio goliarda o un figlio no global che sfascia le vetrine e brucia le macchine. Prodi ha il Tir? Noi abbiamo il furgone. Non siamo miliardari come gli altri, per la campagna abbiamo 150 mila euro in tutto, dobbiamo pure inventarci qualcosa, no? Io non sono Caruso, sono un docente universitario, insegno geografia alla Sapienza, siedo all’Europarlamento. Veniamo da lontano, abbiamo una storia, non siamo dei rinnegati. Lo statuto del partito ripropone l’articolo 1 dello statuto del Msi». Romagnoli è attento a non nominare mai il fascismo: non può, «c’è una legge». Il comizio è tutto contro gli alleati, Fini e il suo «spinello giamaicano», Casini «che spende mezzo milione di euro al giorno per esporre sui manifesti il suo faccione», Bossi «condannato per la tangente Enimont come Cirino Pomicino». L’unico che gli piace è Berlusconi.
«L’ho visto due volte. La prima in un colloquio privato, la seconda quando abbiamo concordato il programma. Mi è sembrato molto simpatico. Nella sua coalizione ci stiamo obtorto collo, per portare un contributo sociale. Ad esempio l’abolizione dell’Ici sulla prima casa è una nostra proposta. </B></I>A Veltro’ </B>: meno notti bianche, più asili nido; meno Benigni, più asfalto per non cadere dal motorino». Rauti? «Un dolore, una delusione profonda. L’ho seguito per trent’anni, gli ho dato la mia vita, e quando divento segretario del partito lui si impunta su certe miserie, la proprietà del quotidiano e altre cose che aborro nominare. Ha fatto pure la brutta figura di chiedere un posto in lista a Berlusconi, invano». La Mussolini? «Dissentiamo nel merito e nel metodo. Noi non siamo femministi e abortisti. Non abbiamo mai fatto cinema ma politica».
La Mussolini è il nome. Loro rivendicano i simboli, la tradizione. «Il nostro riferimento è la Carta del Lavoro - dice Romagnoli -. I no global sbagliano a sfasciare le vetrine ma fanno bene a opporsi al mondialismo. I Ds invece sono diventi liberali. Per questo l’Unità, il giornale di Soros e Bill Gates, ci insulta tutti i giorni: è il richiamo dell’allodola; le siamo utili per frenare l’emorragia dei diessini che voterebbero Rifondazione». La finta marcia su Roma in effetti potrebbe non rivelarsi utile all’alleato Berlusconi. Chiude il comizio Giuliano Castellino, segretario della Fiamma nella capitale. «Salutiamoci con un grido dal sapore antico: a chi l’Italia?». Scattano le braccia tese: «A noi!» Dall’altro lato della piazza la giovane in costume di Winnie the Pooh, che posa per la foto con una scolaresca, e il finto centurione in cerca di turisti giapponesi, insomma le maschere concorrenti, sobbalzano. Dal furgone parte rock duro ma autarchico, molto apprezzata «Non deporremo mai le nostre spade». Altro ritornello: «Non puoi fermare un fiume in piena/ ci riesci a malapena/ puoi anche farti male/ finire in ospedale». Attoniti poliziotti e carabinieri, gli agenti in borghese con la radiotrasmittente ridono del collega che è venuto con capelli lunghi e orecchino, «hai sbagliato piazza». Volantini con squadristi del 28 ottobre come se piovesse. Sono gli stessi pubblicati sull’ultimo numero di Micromega, accanto alla lapide che Calamandrei dettò per la stazione di Cuneo, «Ora e sempre Resistenza». Viene in mente una citazione meno magniloquente, la risposta del partigiano Johnny, eteronimo di Beppe Fenoglio, al fascista che gli chiede: «Che farete ragazzi dell’Italia?». «Una cosa alquanto piccola, ma del tutto seria». Sessant’anni dopo, si può riconoscere che l’obiettivo è completamente mancato.
Aldo Cazzullo
Corriere della Sera, 7.4.06