Vittoria di Prodi o vittoria di Pirro?
di Luciano Santilli
11/4/2006
Sul palco in piazza S.S. Apostoli è giunto il candidato premier Romano Prodi che ha annunciato: "Abbiamo vinto"
In democrazia vince il governo che riesce a portare avanti il programma per cui si è impegnato. La domanda del giorno è dunque: come farebbe? Non si potranno varare i pacs, non si potrà svuotare la legge Biagi, non si potrà ripristinare la tassa di successione, né aumentare quelle sui rendimenti di Bot, Cct, azioni, fondi, non si potrà finanziare il taglio di 5 punti degli oneri del lavoro... »
In democrazia vince chi prende un voto in più, però non si governa con un voto in più (o meglio: 25.224 mila su oltre 40 milioni di elettori). La spettacolare rimonta del Polo delle libertà oscura l’esigua maggioranza di consensi conquistata dall’Unione alla Camera. Quanto al Senato, il centrosinistra può superare il centrodestra solo una volta conteggiati i voti espressi dagli italiani residenti all’estero; e bisogna tener conto dell’atteggiamento dei senatori a vita. La domanda del giorno dopo l’emozionante testa a testa è perciò: vittoria di Prodi o vittoria di Pirro?
In democrazia vince il governo che riesce a portare avanti il programma per cui si è impegnato davanti all’elettorato. La seconda domanda è dunque: ma come farebbe Romano Prodi se fosse incaricato di formare il gabinetto?
I PROPOSITI
Riepiloghiamo i suoi propositi: riconciliare il Paese lacerato, rifondare su basi condivise le regole sul lavoro (legge Biagi e dintorni), tassare «le rendite», riportare i conti dello Stato entro i parametri di Maastricht riducento il debito pubblico, aumentare il reddito disponibile delle famiglie, modificare le leggi che regolano le relazioni tra privati (pacs), obbligare alla cura dimagrante il polo televisivo privato... Ma l’esito elettorale non permette a Prodi di varare questi punti centrali del programma, ciascuno sponsorizzato da un pezzo della sua alleanza elettorale, a meno di non voler ignorare la voce di almeno mezza Italia.
Non si potranno varare i pacs, visto che nell’Unione si sono detti contrari no Rutelli e C, che non hanno poi tanti meno voti dei Ds.
Non si potrà svuotare la legge Biagi, visto che, fra gli sponsor del centrosinistra, i vertici della Confindustria hanno già fatto il viso all’arme.
Non si potrà ripristinare la tassa di successione, né aumentare quelle sui rendimenti degli investimenti finanziari (Bot, Cct, azioni, fondi), visto che soltanto parlarne è costato chissà quanti voti al centrosinistra. Molti italiani voterebbero nuovamente, in questo caso, e nel modo più brutale: abbandonando i titoli del debito pubblico.
Non si potrà finanziare il taglio promesso alla Confindustria di 5 punti degli oneri del lavoro, a meno di non rincarare le imposte sui redditi, o il prelievo sui lavoratori autonomi, cioè a meno di non voler dare ragione a chi dipinge l’Unione come un’alleanza di esattori.
I lettori possono continuare da soli l’elenco.
QUEL CHE RESTA
Quel che resta del giorno postelettorale è dunque un’ombra lunghissima sull’allenza che ha conquistato la maggioranza dei seggi alla Camera. Non bisogna essere uccellacci di malaugurio per dirselo con franchezza.
MACCHINA DA GUERRA A META’ STRADA
Ancora una volta la gioiosa macchina da guerra si è fermata a metà percorso. La capacità di coalizione permette in un sistema bipolare di agglutinare forze eterogenee solo se c’è un partito forte. Le urne hanno decretato: di questa capacità dispone Forza italia, che nel centrodestra ha quasi il doppio dei voti del secondo partito, An. Nessuno invece prevale nettamente nel centrosinistra: i Ds staccano di pochi punti la Margherita.
CARRO VARIOPINTO
Prodi doveva vincere ampiamente e mostrare nel Paese la sua leadership. Ha invece vinto risicatamente e dovrebbe tenere insieme un carro variopinto in cui figurano seri economisti e comunisti irriducibili, cattolici e rosapugnisti mangiapreti, fini intellettuali e domatori di caimani, amministratori competenti e pseudoecologisti che dicono no ai treni veloci senza preoccuparsi di quanto inquinano i motori.
SOLO 5 DEPUTATI SCELTI PERSONALMENTE
Proprio perché il candidato premier ha vinto appena appena, tutti gli diranno che cosa fare (Prodi dispone di 5 deputati da lui indicati personalmente).
I Ds vorranno spazio, Rutelli cercherà di fermare le spinte anticlericali su temi come la scuola privata, i verdi vorranno azzerare l’alta velocità (senza considerare che i blocchi di fine inverno in Val di Susa sono la causa probabile della vittoria in Piemonte del Polo), i radicali-Rosa nel pugno con un mero 2,5 per cento alzeranno la voce per ottenere unioni gay, norme sulla fecondazione artificiale alla Zapatero (nonostante la debacle al recente referendum) e liberismo per la ricerca sulle staminali fetali, i comunisti vorranno il ritiro immediato dall’Iraq. E tutti vorranno posti (cosa legittima in democrazia: è con il potere di decisione che si raggiungono gli obiettivi politici)... Pessimismo o realismo?
Prodi deve mettere in conto, seguendo il proposito di riconciliazione su cui tanto ha insistito, e lo stile pacato di cui ha fatto mostra in campagna elettorale, tanti no alle forze che l’hanno sostenuto finora.
TEATRINO
Ci sarà il solito stucchevole teatrino delle finte giustificazioni: Berlusconi ha ottenuto la rimonta solo perché «controlla le tv», solo perché «ha varato una legge elettorale avvelenata per rendere ingovernabile il Parlamento», solo perché «ha lacerato il Paese puntando sulla paura». Ma chi può crederci?
A ben vedere, la spregiata legge elettorale è la sola ragione per cui il centrosinistra ha una rilevante maggioranza di seggi alla Camera (341 contro 277 seggi) pur avendo appena 25 mila voti in più.
BRONTOLIO
E il grido della vittoria non può coprire un secondo profondo brontolio che viene da tutte le regioni più avanzate del Paese (Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia), dal Lazio e dalle aree più importanti del Sud (Puglia e Sicilia), tutte a maggiorannza di centrodestra.
COME LA GERMANIA
Non è molto dissimile, l’Italia di oggi, dalla Germania dello scorso autunno, che dopo un’interminabile e «levantina» trattativa ha saputo trovare un equilibrio che ha messo insieme segmenti dei due campi, lasciando fuori le ali. Ma le prime parole di Bertinotti e Bossi sono state: no alla grande coalizione.
Si era previsto: il centrosinistra avrà problemi perché, battuto il Cavaliere, verrà meno il collante dell’antiberlusconismo. Quanto durerà visto che Berlusconi non è stato nemmeno sconfitto?
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