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    Predefinito La (s)fortuna è comunista?

    LA STAMPA 12 aprile 2006
    La fortuna è comunista?
    di Luca Ricolfi

    Stupiti, vero?
    Straordinaria rimonta di Berlusconi, deludente risultato dell'Unione, rischio di ingovernabilità in almeno uno dei due rami del Parlamento. Effettivamente ha dell'incredibile che una legge elettorale concepita per bloccare l'Unione finisca per conferirle una maggioranza di seggi a dispetto di un risultato che è di perfetto pareggio in termini di voti. E' proprio vero che Romano Prodi è «nato con la camicia».

    Eppure, personalmente, sarei rimasto molto più sorpreso se i sondaggi avessero trovato una conferma nelle urne. Anzi, voglio confessare che negli ultimi dieci giorni prima del voto mi sono sempre svegliato con lo stesso fantasma nella mente: Nanni Moretti che strappa il microfono ai politici del centro-sinistra e grida alla folla: «Con questi dirigenti non vinceremo mai!». Avevo paura che, alla fine, ci saremmo tenuti Berlusconi ancora per cinque anni.

    Il mio fantasma morettiano si fondava su tre cose che da tempo, da molto tempo, si sapevano sull’elettorato italiano. La prima è che le vittorie del centrosinistra nelle elezioni «di second’ordine» (Europee, Regionali, Comunali) erano in buona misura la conseguenza della bassa partecipazione, ovvero della latitanza, dell’elettorato di centrodestra negli appuntamenti elettorali intermedi: era ingenuo aspettarsi che l’elettorato della Casa delle Libertà se ne stesse a cuccia anche in vista del decisivo appuntamento con le elezioni politiche. La seconda è che, dall’inizio del 2002, ossia da tantissimo tempo, l’elettorato italiano dà un giudizio dell’opposizione ancora più negativo di quello che dà sul governo. La terza e ultima ragione è che «questi dirigenti» dell’Unione hanno fatto di tutto per perdere le elezioni.

    Sapevano che Prodi non era il loro leader più popolare, eppure hanno imposto lui. Sapevano che in tanti avrebbero voluto veder nascere il Partito democratico, eppure ne hanno ancora una volta rimandato la nascita. Sapevano che quattro regioni erano in bilico, e nondimeno hanno bloccato ogni tentativo di farvi nascere liste civiche. Sapevano che l’elettorato rimprovera al centrosinistra soprattutto l’assenza di concretezza, eppure hanno scritto il programma più lungo e astratto che la storia repubblicana ricordi. Sapevano che gli italiani sono preoccupati per l’economia, eppure li hanno spaventati con ogni sorta di annuncio e contro-annuncio sulle tasse. Sapevano che sul fisco, sullo Stato sociale, sulla legge Biagi, sui Pacs, agli italiani sarebbe piaciuto conoscere le vere intenzioni del futuro governo prima del voto, eppure hanno preferito rimandare tutto a dopo, tenendosi le mani libere. Sapevano che a molti elettori piacerebbe conoscere in anticipo il nome del futuro ministro dell’Economia, e invece l’unica cosa che hanno fatto intendere è che sul nome di Mario Monti ci sono veti e perplessità di ogni specie. Sapevano che in tanti aspettavamo un grande motivo per votarli, eppure l’unico motivo che hanno saputo indicarci è il fumoso slogan della «serietà al governo».

    Se oggi di tutto questo si parla poco è solo perché, alla Camera, la dea bendata - palesemente comunista anche lei - ha assegnato all’Unione lo 0,07% di seggi in più. Ma che cosa faremmo e penseremmo oggi se quel pugno di voti fosse cascato dall’altra parte, o se una verifica delle schede dimostrasse che ha vinto la Casa delle Libertà? Più che di un pareggio politico, quella del 10 aprile è stata una doppia disfatta. Berlusconi è stato sicuramente bravo a recuperare, a rimobilitare il suo elettorato, ma se ce l’ha fatta è anche perché il volto dell’Unione, specie da quando ha cominciato a parlare di tasse, è stato così inquietante e foriero di incertezza da convincere molti a tornare alle urne nonostante la delusione per il quinquennio berlusconiano. Come ha osservato ieri Piero Ostellino in una disincantata analisi della geografia del voto, la realtà è che il Nord produttivo e antistatalista ha preferito tenersi Berlusconi piuttosto che rischiare con Prodi, mentre il Sud assistenziale e statalista ha preferito puntare sul Professore, e sulla sua promessa di nuove e maggiori tutele, piuttosto che rischiare con la devolution e il federalismo fiscale. In questo senso il voto del 10 aprile, con la riconquista del Nord da parte della Casa delle Libertà, è stato anche la riscoperta della «questione settentrionale».

    Resta, naturalmente, da capire perché i sondaggi hanno sopravvalutato la forza del centrosinistra e perché in tanti abbiamo creduto ai sondaggi. La ragione è relativamente semplice. I sondaggi, anche quelli fatti con decine di migliaia di interviste, danno sempre risultati distorti perché nessun campione di cittadini può essere veramente rappresentativo: perché lo fosse occorrerebbe che tutti gli elettori fossero egualmente accessibili ed egualmente disponibili all'intervista. Ma in certi periodi a questa ragione generale di inattendibilità se ne aggiunge un’altra: l’effetto winner, o «previsione del vincitore». Quando nell’opinione pubblica si forma la credenza che un certo schieramento vincerà le elezioni, si verificano quasi sempre due fenomeni, ben noti alla psicologia politica: il primo è che una parte dell’elettorato indeciso «salta sul carro del vincitore», e lo vota semplicemente perché preferisce non stare dalla parte dei perdenti; il secondo è che una parte degli intervistati, nonostante sia seriamente intenzionato a votare il perdente, preferisce non dichiararlo nelle interviste.

    Quel che è successo in Italia in questi anni è che una serie di vittorie amministrative della sinistra ha costruito nella stampa e nell’opinione pubblica la falsa credenza di un Paese che si sarebbe spostato a sinistra. Questa falsa credenza è stata sorretta da una narrazione unilaterale della storia di questi anni, e ha finito per alimentare la previsione di un’ampia vittoria del centrosinistra alle elezioni politiche. A sua volta la scommessa su una vittoria dell’Unione ha spostato (realmente) verso sinistra una parte degli indecisi, e ha indotto una frazione degli elettori «sondati» a non rivelare la loro vera preferenza politica quando questa li qualificava come perdenti. È normale, è già successo in passato, succederà di nuovo in futuro.

    Per questo Berlusconi si è opposto in tutti i modi alla proliferazione di sondaggi che davano nettamente vincente la sinistra. E, alla luce di come sono andate le cose, non saprei come dargli torto.

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da Felix
    LA STAMPA 12 aprile 2006
    La fortuna è comunista?
    di Luca Ricolfi

    Stupiti, vero?
    Straordinaria rimonta di Berlusconi, ...
    Luca Ridolfi dimentica l'accozzaglia di partiti, cosche politiche e movimenti vari che hanno permesso a Prodi di avere qualche speranza di vincere. Diversamente non c'era partita. Gli errori della sinistra sono stati solo una conseguenza inevitabile. Gli errrori più grossi, che potevano essere evitati, sono stati fatti dal centro destra e ammessi dallo stesso Berlusconi: lasciare la sinistra, di fatto, padrona della comunicazione (il presidente della camera va ringraziato), la modifica, chiesta da Casini per i suoi interessi di bottega, della legge elettorale (con la vecchia legge probabilmente avremmo vinto senza problemi), lasciare ad un povero vecchio nostalgico la gestione degli italiani all'estero e, soprattutto, le beghe interne alla coalizione (grazie a Fini e Casini). Le fortune della sinistra sono state: la crisi economica mondiale, la guerra in Irak e infine un Bossi paralizzato. Le prime due le hanno permesso di strumentalizzare spudoratamente tutte le difficoltà dell'Italia, un Bossi in piena forma probabilmente avrebbe fatto guadagnare almeno un paio di punti alla CDL e quindi la vittoria.

 

 

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