Quando Schifani faceva l’autista

“IO, RENATO, TOTÒ CUFFARO E QUEGLI INCONTRI AL BAR”
di Marco Lillo

Per capire chi è Massimo Ciancimino bisogna passeggiare con lui
tra il Pantheon e piazza di Spagna, dove ha abitato con il padre
quando don Vito era agli arresti domiciliari. Le migliori boutique, da
Cenci a Car Shoe, se lo contendono. I vip e i politici, magari un po’
sfuggenti ora che è famoso, lo salutano. Nei ristoranti alla moda,
come Maccheroni o Riccioli Caffè lo accolgono come un’autorità e lo
abbracciano chiedendogli del piccolo Vito, il bambino che porta il
nome del famigerato nonno sindaco mafioso e assessore all’urbanistica
del sacco di Palermo.
Massimo Ciancimino, prima di essere arrestato nel 2006 con l’accusa
di aver riciclato il tesoro del padre era un rampollo della “Palermo
bene” che lo apprezzava proprio per le stesse ragioni per i quali i pm
volevano arrestarlo. Nonostante il padre fosse stato condannato per
mafia, gli avvocati in cerca di clienti e le belle figliole in cerca
di sistemazione mormoravano al suo passaggio: “Il padre gli ha
lasciato un patrimonio di centinaia di milioni di dollari in Canada”.
Lui non faceva nulla per smentire la leggenda e parcheggiava il suo
Ferrari sul molo per poi salire su un fuoribordo Itama 55 con il quale
incrociava tra le Eolie e le Egadi. Democristiani e forzisti lo
consideravano un amico. E ora lui sta riversando ai magistrati tutto
quello che ha visto e sentito in tanti anni passati a cavallo tra
mafia e politica. Davvero imperdibile il verbale del 22 dicembre
scorso nel quale Ciancimino jr racconta ai pm come ha conosciuto
Cuffaro e Schifani: “Nel 2001, avevo incontrato l’Onorevole Cuffaro a
una festa elettorale.... poi mio padre mi ha ricordato che faceva
l’autista all’ex ministro Calogero Mannino quando pure io accompagnavo
mio padre alle riunioni. Poi ho ricollegato: quando accompagnavo mio
padre dall’onorevole Salvo Lima (prima in rapporti con i boss e poi
ucciso nel 1992 dalla mafia, secondo i pentiti Ndr) spesso rimanevamo
io fuori dalla macchina e c’era Renato Schifani che guidava la
macchina a La Loggia (non Enrico ma il vecchio Giuseppe, importante
politico Dc eletto presidente della Regione Sicilia e poi deputato
Ndr). Io rimanevo con mio padre e Cuffaro guidava la macchina a
Mannino. Diciamo i tre autisti erano questi. Oggi ovviamente gli altri
due hanno fatto ben altre carriere, io no. Andavamo a prendere cose al
bar”. E poi la chiusa da attore consumato: “C’è chi è più fortunato
nella vita!”. Non c’è da scandalizzarsi se, come ha raccontato Lirio
Abbate, è stato proprio il figlio di don Vito a consigliare ad
Angelino Alfano quando non era ancora ministro ed era ancora calvo, un
professore in grado di restituirgli la chioma con un trapianto. Il
fatto è che Massimo Ciancimino è simpatico e maledettamente sveglio.
Con un padre padrone che dava ripetizioni a Provenzano al mattino e lo
legava alla catena alla sera per frenare la sua irrequietezza, ha
dovuto tirare fuori presto la sua personalità. Mentre il fratello più
grande studiava per il concorso in magistratura (fallito all’orale),
lui pensava a fare soldi. Quando lo arrestano aveva appena ceduto la
quota ereditata dal padre nella società che si occupava della
metanizzazione in Sicilia (con la benedizione dei boss). L’altra socia
era la nuora di un procuratore antimafia. E molti politici di Forza
Italia avevano ottenuto finanziamenti grazie a quella società. Dopo
l’arresto tutti lo mollano. Il giovane Ciancimino si sente tradito e,
dopo la condanna in primo grado, comincia a raccontare una parte di
quello che sa
. Si dice che la parte più interessante dei verbali sia
ancora coperta da omissis
. E che lì si parli anche di un certo Silvio
Berlusconi.

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