Nel 1999 Prodi sostituì, con qualche mese di anticipo, il Presidente in carica della Commissione Europea. Il suo predecessore, il lussemburghese Jacques Santer, fu costretto a dimettersi prima della scadenza naturale del suo mandato perché era stato sfiduciato dal Parlamento europeo, dopo essersi reso protagonista di uno scandalo istituzionale. Infatti, né gli europarlamentari né i mass media gli avevano perdonato che una componente della sua Commissione, Edith Cresson, Commissario all’Educazione e alla Ricerca,fosse finita sotto inchiesta per aver elargito, a spese dell’Unione, un contratto di lavoro al suo ex dentista. Proprio per questo, nel suo debutto a Strasburgo come Presidente della Commissione nel luglio 1999, Romano Prodi si prodigò in una requisitoria moralistica degna di Catone il Censore, proclamando di adottare, come cardini del suo mandato, la tolleranza zero sulle frodi e la trasparenza. In quello stesso discorso Prodi pretese ancora di più: in caso di ulteriori irregolarità ed illeciti, la Commissione tutta e i singoli Commissari avrebbero dovuto assumersi fino in fondo la responsabilità politica delle loro azioni e lasciare l’incarico, proprio per garantire il massimo del rigore rispetto ai cittadini. “Ho chiesto a tutti i Commissari di darmi, sulla loro parola d’onore, le dimissioni in mano qualsiasi evento nuovo capiti, qualsiasi fatto non conosciuto”1, annunciò Prodi, con eccessiva enfasi. Peccato che non andò proprio così. Infatti, qualche mese più tardi, si cominciò a vociferare di dubbie consulenze che riguardavano l’Eurostat, l’istituto europeo di statistiche. Dopo le prime generiche indiscrezioni, iniziarono ad emergere dettagli preoccupanti. Si parlò chiaramente di “consulenze d’oro” e della creazione di “fondi neri”. Venne fuori persino una ricerca pagata 570mila euro, lunga appena una pagina e mezzo2. Per non parlare poi dei funzionari della Commissione sospettati di essere anche proprietari di alcuni studi di consulenza che lavoravano con l’Eurostat3. A questo punto scoppiò lo scandalo, tanto più grave perché a finire sotto inchiesta fu proprio l’Istituto europeo di statistica. Ma che cos’è Eurostat? L’Eurostat non è un ufficio come un altro, uno dei tanti gangli della burocrazia europea. Si tratta invece di un istituto che, per il suo lavoro di rilevazione statistica, è di fatto il garante del Patto di Stabilità: verifica l’applicazione dei parametri di Maastricht e quindi concorre a determinare le politiche economiche e finanziarie degli Stati membri, vincolando gli Stati a politiche di rigore, che spesso si traducono in tagli ai bilanci o al welfare. Proprio perché ha un ruolo di vigilanza sui conti pubblici degli Stati europei, l’Eurostat non può essere nemmeno lontanamente sfiorato da dubbi o sospetti sulla trasparenza e sulla correttezza dei suoi atti. Lo scandalo Eurostat fu, quindi, assai più grave di quello che aveva travolto la Commissione Santer, perché questa volta non si trattò solamente di nepotismo o di episodi di corruzione, ma di un’azione sistematica finalizzata alla creazione di fondi neri. Tra il 2002 e il 2003 il caso Eurostat diventò di dominio pubblico. L’inchiesta penale della Magistratura francese sull’Eurostat, scaturita dai rilievi della struttura europea antifrode (Olaf), trovò le prove di un’ampia organizzazione di truffe ai danni dell’Unione. Due importanti dirigenti dell’Eurostat finirono nell’indagine, sospettati di aver organizzato un sistema che sottraeva denaro pubblico e lo convogliava in un conto bancario segreto in Lussemburgo. Inevitabilmente si innescò una polemica furiosa anche contro la Commissione. Tutti cominciarono a reclamare una risposta chiara. Prodi si affrettò a negare tutto, dichiarando di non saperne nulla. Ma la stampa internazionale sostenne subito il contrario. In particolare, il Financial Times accusò Prodi di aver appreso molte informazioni sullo scandalo e di non esserne perciò affatto all’oscuro5. Subito il portavoce della Commissione europea liquidò l’articolo del giornale londinese definendolo “pura spazzatura”6. Intanto una pattuglia di deputati, che sin dall’inizio si erano occupati del caso, dimostrarono che Prodi non poteva non sapere, esibendo tutta una serie di documentazioni, tra cui più di cento interrogazioni, che chiedevano, a partire dal 1999, spiegazioni su presunte irregolarità che riguardavano l’Eurostat. Si scatenò un assedio mediatico, politico ed istituzionale. Prodi e la sua Commissione finirono nell’occhio del ciclone. Iniziò così uno psicodramma istituzionale che coinvolse tutti, nessuno escluso: il Parlamento, la Commissione, la Corte dei Conti e l’Olaf si impegnarono in una serie infinita di riunioni, pubbliche e “a porte chiuse”; furono elaborate decine di documenti riservati e un numero incalcolabile di note ufficiali, per non parlare poi degli innumerevoli piani di azione eternamente rimandati. “Il mio gruppo ne ha fin sopra i capelli dei piani di azione. Noi vogliamo i risultati, abbiamo già visto tonnellate di piani di azione”7, si sfogò un deputato dei comunisti europei, in uno dei tanti dibattiti a Strasburgo. Nel gennaio 2004, in una lunghissima Risoluzione8, il Parlamento europeo arrivò ad accusare la Commissione di “diffusa cultura della segretezza”, sottolineando che nessun Commissario si era assunto “la responsabilità politica delle irregolarità avvenute presso Eurostat”, e si rammaricò che la Commissione non avesse agito “tempestivamente di fronte all’emergere di sempre maggiori prove di una gestione finanziaria irregolare”9. Ad un certo punto spuntarono fuori anche i “whistle-blowers”10, tradotto letteralmente “ventilatori di sussurri”, in poche parole “spioni”. Questi collaboratori di giustizia, come si dovrebbe dire in termini tecnici, informarono le Autorità competenti sui fatti di Eurostat in cambio di protezione e anonimato. Una vera e propria “spy story”. Dopo alterne vicende lo psicodramma culminò con una mozione di censura contro la Commissione Prodi11, discussa in Parlamento nell’aprile 2004. Alla fine l’esecutivo di Bruxelles confessò che effettivamente c’erano state frodi per più di cinque milioni di euro, liquidando, però, il fatto come “un’eccezione deplorevole”, nel tentativo di autoassolversi12. La Commissione se la cavò emanando un presunto “codice di condotta”, che avrebbe disciplinato i rapporti tra i Commissari e i loro servizi. Propose anche il “rafforzamento dei circuiti di informazione”, il “costante aggiornamento dei Commissari sull’attività dei Ma la giustizia deve trionfare. Qualcosa alla fine doveva pur succedere, tutti se lo aspettavano. Qualcuno alla fine doveva pur pagare. E infatti, qualcuno pagò. Ma il bilancio fu ben deludente. Qualche trasferimento d’ufficio e due dirigenti indagati dalla giustizia francese. Paradossalmente il prezzo più caro lo pagò un imprevedibile capro espiatorio: fu il giornalista autore di un’inchiesta su Eurostat, apparsa sul settimanale tedesco “Stern”, l’unico ad essere arrestato, con tanto di perquisizione in redazione ed a casa e congelamento dei conti bancari16.Il finale tragicomico di questa pietosa vicenda supera, così, la più fervida delle immaginazioni.