Maurizio Blondet
19/04/2006


ISRAELE - Dalla sua ultima foto, Samir Hamad sembrava un bravo bambino, mite, forse studioso.
Per il mondo, è la belva umana, il «terrorista islamico» che s’è fatto saltare a Tel Aviv portando con sé una decina di israeliani.
Ma quando si è palestinesi e si hanno 16 anni, la scelta di Hamad è ragionevole: meglio morire in un attimo, con l’illusione di combattere, che di fame, che umilia giorno per giorno.
Perché a Gaza, la «cura dimagrante», (1) imposta dai malvagi giudei ad un intero popolo colpevole di aver votato Hamas, sta procedendo con successo.
Nel giorno in cui l’Occidente e i suoi media deprecavano il «terrorista» sedicenne, solo 15 autocarri con generi alimentari sono stati fatti passare dai malvagi, attraverso l’unico varco lasciato aperto da Israele verso Gaza, quello di Kerem Shalom.
Invece degli oltre 300 che dovrebbero rifornire Gaza ogni giorno, dice Christer Nordahl, il responsabile locale dell’UNRWA, l’organismo dell’ONU per il soccorso.
Anche prima dell’attentato, l’arrivo dei cibo era ridotto al minimo.
«I valichi sono chiusi sei volte su dieci», dice Nordahl.
Israele ha lasciato solo tre valichi con Gaza, ed ora li sta riducendo a due.



Chiuderà in modo permanente il passaggio di Karni, da cui potevano entrare a Gaza le merci importate dai palestinesi attraverso il porto israeliano di Ashdod, che si trova a sei chilometri di distanza.
Chiuso quel varco, ai palestinesi non resta che far arrivare le merci che comprano ai porti egiziani - Port Said o Alessandria - che distano l’uno 200, l’altro 400 chilometri, con aggravio enorme di spesa.
Vogliono costruire una banchina portale a Gaza, ma il malvagio Israele glielo vieta.
Gli vieta anche di riattare l’aeroporto di Gaza, distrutto per ordine di Sharon (2).
I primi segni di una catastrofe umanitaria sono visibili a Gaza, ha detto giorni fa David Shearer, che dirige l’Ufficio di Coordinamento di Aiuti dell’ONU, informandone il ministro degli Esteri israeliano.
E l’UNRWA ha stilato un rapporto d’emergenza per spiegare la situazione.
Nell’esigua striscia di Gaza si ammassano 1,2 milioni di persone: una densità superiore a quella di Hong Kong.
Ma ad Hong Kong non infuria una disoccupazione al 40%, né il 44% degli abitanti deve campare con due dollari al giorno.
Il fatto è che di quei 1,2 milioni di palestinesi, 986 mila sono profughi scacciati, dai malvagi, dalle loro terre, che dipendono da qualche forma di aiuto alimentare dell’UNRWA.



L’ente dell’ONU distribuisce pacchi a 137 mila famiglie; ma ora non sa come provvedere ad altre 25 mila, il cui capo-famiglia, impiegato dall’autorità palestinese, non riceve più lo stipendio.
Perché quasi la sola attività possibile a Gaza è alle dipendenze dell’Autorità, che distribuisce 140 mila salari, i quali sostengono oltre un terzo della popolazione.
Ma Israele ha deciso di tagliare i fondi all’Autorità, perché la guida - essendo stato eletto dal suo popolo - Hamas.
Il malvagio regime israeliano trattiene - cioè ruba - i 50 milioni di dollari mensili che spettano ai palestinesi come corrispettivo dei dazi sui beni che l’Autorità Palestinese importa attraverso (forzatamente) i porti israeliani.
E la malvagia lobby ha fatto di più: ha facilmente indotto gli USA a negare la sua parte di aiuti destinati alla Palestina.
Servile e intimidita, l’Unione Europea si è piegata alla sua lobby e fa altrettanto dal 7 aprile. Nell’insieme, sono 800 milioni di dollari che non arrivano più alla popolazione.
L’UNRWA fa quel che può, ma manca di fondi per l’emergenza.
E la denutrizione avanza.



Come non bastasse, l’allarme per l’influenza aviaria ha azzerato l’allevamento dei polli, la più importante fonte di proteine a Gaza.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 30 mila contadini hanno dovuto abbattere tutto il pollame (250 mila volatili), attività con cui sostentavano 200 mila familiari.
L’italiano Luigi Damiani, che conduce in loco il Worlf Food Program dell’ONU, fa presente che la pesca potrebbe fornire le proteine mancanti: ma il malvagio Israele vieta ai palestinesi di pescare al largo della costa della loro Gaza, nel loro mare.
E la chiusura del passo di Karni ostacola l’arrivo di rifornimenti, e ne provoca il rincaro.
La situazione a Gaza, dicono a mezza bocca i funzionari ONU, è l’equivalente di quella del ghetto di Varsavia sotto occupazione tedesca.
E in Cisgiordania, di cui si parla anche meno, la stretta non è meno crudele.
Il governo Olmert continua il progetto Sharon, la costruzione del Muro, che occupa e ingloba il 35 % del territorio che dovrebbe restare ai palestinesi, che là sono due milioni.
Ma anche nel territorio che il malvagio padrone ha lasciato loro, non sono a casa propria.



Le truppe israeliane vi hanno steso in permanenza 400 posti di blocco, che interrompono l’intera rete di strade e di trasporti, e rendono un supplizio andare da un paesetto all’altro; chi è stato lì, e conosce le distanze minime di quella piccola terra - che Gesù percorse a piedi - sa cosa vuol dire.
E tutto questo avviene sotto gli occhi dell’Occidente.
Anzi, con la sua deliberata collaborazione, che gli è imposta dalla lobby, dai nostri padroni.
Che siano i nostri padroni è un fatto evidente: ho letto un’intervista in cui Piero Fassino si è precipitato a scusarsi coi malvagi, per una frase di Prodi che poteva parere di appoggio, o di compassione, per i palestinesi.
Perciò mi pare necessario fare un appello al Santo Padre.
Detesto farlo e temo che sarà inutile, visto che la nuova Sua Santità chiama «fratelli» i persecutori. Ma farlo è dovere cristiano.
Santo Padre, quello che sopra viene descritto ha un solo nome possibile: genocidio.
O almeno, «punizione collettiva» di un popolo da parte dell’occupante: che è, come saprà, definito «crimine di guerra» dalla Convenzione di Ginevra.
Israele ha freddamente progettato l’affamamento di un popolo, che da troppo tempo umilia, deruba e perseguita, per far cadere il governo di Hamas, la formazione che ci ha costretto tutti a dichiarare «terrorista».



Ma questo è solo il fine dichiarato.
L’altro, è spingere i palestinesi ad andarsene, ad emigrare, sì da restare soli ad occupare tutta la Terra Santa.
Ma più a fondo, inconfessato, è il proposito di ridurre la dignità del popolo palestinese a quella di bestie affamate.
A farne belve umane pronte a farsi saltare, a fare stragi, per disperazione: sì da poter dire poi che «con le bestie umane non si può trattare».
E questo sta già succedendo.
Dopo cinque anni di tregua, quello del sedicenne Hamad è il primo attentato suicida.
Santo Padre, lei non può non sapere queste cose.
E’ impossibile che i missionari, i francescani e il nunzio di Terra Santa non la tengano informata di questa atrocità continua e crudele.
Santo Padre, lei che ci invita a vigilare contro il razzismo e il nazionalsocialismo, prenda coscienza: quello che viene fatto ai palestinesi, configura quel pericolo da cui ci mette in guardia.
Contro questo che si esercita in atrocità sotto i suoi occhi, non contro quello storico e finito, è il momento di parlare.
I «fratelli» ebrei non cessano di rimproverare i presunti «silenzi» di Pio XII: se lo tenga per detto, Santo Padre, e non stia in silenzio davanti al crimine della nostra epoca.



Non so se le crei imbarazzo il suo essere tedesco, un tedesco che denuncia i crimini di Israele, oppure le faccia velo la moda giudaizzante che impera nella burocrazia teologica clericale.
Ma francamente, mi pare che tutti gli imbarazzi e le reticenze diventino, a questo punto, sordità morale davanti a un genocidio in corso, e complicità morale con gli assassini del potere.
Cosa le occorre per riconoscere in Israele il nuovo nazionalsocialismo della nostra generazione?
Israele dà la cittadinanza solo a gente che possa dimostrare di avere discendenza ebraica per parte matrilineare: è dunque uno stato razzista, fondato su diritto del sangue.
Israele pratica la discriminazione razziale.
I rabbini di Israele predicano apertamente che gli altri uomini sono «animali parlanti», razze inferiori da dominare col terrore biblico.
Ciò che Israele fa oggi ai palestinesi, lo farà domani anche a noi.
Israele pretende che Hamas la riconosca; ma Israele non ha mai riconosciuto il diritto dei palestinesi il diritto ad avere uno Stato (3).
Israele continua ad occupare territori altrui, espande le colonie, distrugge le case degli altri, uccide a volontà nei territori occupati e in quelli in cui ha confinato i palestinesi.
Israele vieta ai palestinesi l’accesso ai loro campi, e poi si impadronisce dei campi dichiarandoli terreni abbandonati dai proprietari.
Israele ha spinto gli USA alla guerra in Iraq, per eliminare un suo potenziale avversario, ed ora spinge ad una nuova guerra contro un altro avversario solo potenziale, l’Iran.



Per vivere sicura, Israele pretende di crearsi un «lebensraum», uno spazio vitale di caos e destabilizzazione per migliaia di miglia attorno.
Israele è la seconda o terza potenza militare del mondo, con 2-300 bombe atomiche, e una dottrina militare sul loro uso che mantiene segreta: una minaccia contro ogni Stato, non solo arabo.
Israele fida solo nella forza e disprezza il diritto.
E questa potenza minacciosa verso tutti, ha quinte colonne in ogni governo e in ogni Paese.
Israele obbliga a tacere i nostri giornali e i nostri politici.
La sola cosa che distingue una simile realtà dal nazionalsocialismo storico, è questa: i nazionalsocialisti tedeschi, almeno, non piagnucolavano dicendosi perseguitati e messi in pericolo «nella loro stessa esistenza» dal mondo intero.
In Israele esistono gruppi e persone che si oppongono come possono alle atrocità e alle menzogne del regime: il 10 aprile Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli Esteri nel governo Barak, si è appellato alla comunità internazionale perché non tagli i fondi all’Autorità Palestinese.
Nessuno dei nostri media ne ha parlato.



Santo Padre, non si unisca anche lei a questo silenzio.
Dia voce a quei coraggiosi che, dentro il popolo ebraico, parlano e non sono ascoltati.
Chiami questi «fratelli», quelli che mostrano compassione o ragionevolezza, non i fanatici genocidi e razzisti.
E’ questo che la storia chiede al suo Papato, qui ed ora: altrimenti la storia la ricorderà come il Papa che chiamò fratelli dei genocidi, nei giorni in cui commettevano il genocidio.
E dal suo silenzio, la Chiesa non si solleverà mai più.

Maurizio Blondet




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Note
1) Come ha rivelato Haaretz, è stato un piano deliberato quello di affamare i palestinesi per spingerli a rovesciare Hamas, che avevano appena votato. Il primo ministro Weissglass, a colloquio
per mettere a punto il progetto con la ministra degli Esteri Tzipi Livni, il direttore dei Servizi Segreti e il capo di Stato Maggiore, disse la battuta spiritosa: «manderemo i palestinesi dal dietista,
li faremo dimagrire» (confronta in questo sito, «Le risate della squadra di Hamas», Gideo Levy,
25 febbraio 2006).
2) Dean Andromidas, «Gaza: humanitarian catastrophe looms», EIR, 21 aprile 2006.
3) Sulla presunto rigidità di Hamas, di recente Efraim Halevy, capo del Mossad al tempo dei fatti,
ha fatto una rivelazione che la smentisce. Nel 1997 Hamas propose ad Israele una tregua di 30 anni, che fu avanzata attraverso i buoni uffici di re Hussein di Giordania. Pochi giorni dopo, il Mossad rispose tentando di assassinare il capo di Hamas, Khalid Meshal. L’attentato fallì perchè i giordani catturarono due dei quattro attentatori. Re Hussein si irritò tanto, da minacciare un’azione militare - notevole coraggio, vista la disparità di forze. Fu allora che Sharon e Netaniahu decisero,
per rabbonirlo, di rilasciare lo sceicco Ahmed Yassin, guida spirituale di Hamas, che detenevano. Evidentemente, lo scopo dell’attentato era di mandare a monte la proposta di tregua di Hamas,
o un tentativo di non riceverla. Nel 2004, lo sceicco Yassin - paraplegico, in sedia a rotelle - rilanciò la proposta di tregua. Sharon, allora capo del governo, lo fece prontamente ammazzare.




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