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    Predefinito Come mai le economie più dinamiche del mondo sono socialiste?

    Bielorussia, Cina, Vietnam sono le economie più dinamiche del mondo. Di seguito posto una analisi dell'ex dissidente sovietico Roy Medevev sulla Bielorussia e un dibattito tra marxisti americani sul socialismo di mercato in Cina. Il socialismo di mercato è la formula magica che è stata adottata da questi tre paesi.

  2. #2
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    Predefinito

    Il fenomeno bielorusso

    Roy Medvedev*

    16 marzo 2006


    Tradotto dal russo in spagnolo per Rebelion da Josafat S. Comin e Andrés Urruti



    *Roy Medvedev, eminente storico marxista russo, è noto in Occidente soprattutto per le posizioni critiche assunte negli anni ’70 nei confronti della dirigenza del PCUS, dal quale fu espulso per aver firmato insieme ai fisici Sakharov e Turchin il cosiddetto Manifesto dei tre scienziati e per aver partecipato alla formazione del Comitato sovietico per i diritti dell’uomo.

    Studioso in particolare del periodo staliniano, Medvedev è autore di diverse opere, alcune delle quali sono state pubblicate anche in Italia. Ricordiamo in particolare Lo stalinismo (1972), Ascesa e caduta di Lysenko (1971) e La Rivoluzione d’ottobre era ineluttabile? (1976).

    All’indomani del golpe eltsiniano del 1991 fu tra i primi ad opporsi alla restaurazione capitalistica, dando vita ad un piccolo partito di orientamento marxista. Oggi è tornato alla sua attività di studioso, pur continuando ad aderire alle battaglie della sinistra russa.

    La versione originale del saggio che proponiamo è apparsa pochi giorni prima delle elezioni presidenziali in Bielorussia in Sovetskaja Rossija giornale molto vicino alle posizioni del Partito Comunista della Federazione Russa.



    La critica occidentale alla Bielorussia



    Come è risaputo, i politici occidentali e la stampa occidentale non risparmiano i mezzi per screditare e criticare la situazione attuale della Bielorussia. Durante il suo incontro a Vilnius (Lituania) con un gruppo di attivisti dell’opposizione bielorussa, Condoleeza Rice ha in pratica incitato apertamente a rovesciare Aleksander Lukashenko “l’ultimo dittatore in Europa”. Già al momento della presa di possesso dell’incarico di Segretaria di Stato degli USA, dichiarò che considerava la Bielorussia come “baluardo della tirannia in Europa”. Il giornalista statunitense Peter Savodnik ha descritto la Bielorussia come un “regime surrealista di stampo stalinista, che si regge unicamente sulla paura, la fame e il culto della personalità. Lukashenko ha già distrutto tutto il settore privato dell’economia. Il popolo vegeta in mezzo alla povertà e alla mancanza di denaro, dal momento che persino l’erogazione di salari e pensioni dipende dalla volontà del presidente”. L’unico modo per ottenere la democrazia in Bielorussia – secondo Savodnik – passa attraverso il rovesciamento di Lukashenko. “Per ottenerlo bisognerà ricorrere a tutto: aiutare economicamente l’opposizione, creare difficoltà agli investimenti nel paese, fare tutto ciò che è necessario, fino a non escludere la fornitura di armi alla resistenza. L’Europa Occidentale pensa di non poter spingere i bielorussi all’uso della forza per ottenere la democrazia. Ma se si vuole veramente aiutare la rivoluzione bielorussa a raggiungere ciò che è già stato realizzato in Serbia, Georgia e Ucraina, l’Unione Europea dovrebbe cominciare a togliersi i guanti di pelle” (Wall Street Journal. 11/02/05. “Slate”. USA 16/02/05).



    I politici europei e specialmente gli economisti e gli uomini d’affari europei sono più prudenti nelle loro valutazioni in merito alla Repubblica Belarus, uno stato pacifico e tranquillo nel cuore dell’Europa che dà buoni guadagni nello scambio commerciale con l’Europa Occidentale. Solo nello scorso 2005, l’Olanda ha incrementato l’acquisto di articoli di fabbricazione bielorussa di 3,3 volte e la Francia di 3,8. Anche gli Stati Uniti hanno aumentato le importazioni dalla Bielorussia del 50% ( “Moskovskie Novosti” 25/11-1/12/2005).



    Il Fondo Monetario Internazionale nel raffronto delle sue tabelle degli indici di sviluppo ha constatato con una certa sorpresa, che già nel 2005 il volume del PIL pro-capite della Bielorussia praticamente era il doppio di quello ucraino e superava di un 15-20% quello del Kazakhstan e della Russia. Il FMI sa perfettamente che gli investimenti stranieri e i crediti dei centri finanziari internazionali non sono alla portata della Bielorussia. Come sono possibili allora questi ritmi di crescita che sembrano contraddire tutte le leggi dell’economia?



    Nell’estate del 2005 il FMI ha pubblicato un rapporto speciale: “La crescita economica bielorussa, un miracolo o no?”. L’inchiesta mostrava come l’economia bielorussa si sia sviluppata con sufficiente successo negli ultimi 10 anni e come, secondo molti indicatori, superi i livelli non solo dei paesi della CSI, ma anche di Polonia, Lituania, Ungheria, Bulgaria, Romania e altri paesi dell’Europa Orientale. Naturalmente gli esperti del FMI non hanno potuto spiegare i motivi di questa rapida crescita. Non hanno potuto menzionare fattori quali la ferma, stabile e competente direzione dell’ “ultimo dittatore d’Europa” oppure il recupero in Bielorussia dei principi sovietici dell’economia pianificata.



    Per molti anni, sia i media occidentali che quelli russi , hanno cercato di imporre l’immagine di una Bielorussia arretrata, indigente, misera, con un popolo dimenticato e passivo.



    Ma vediamo quali sono le impressioni su Minsk del giornalista russo Andrei Bogdanovich, che in passato aveva scritto in modo poco lusinghiero sulla situazione in Bielorussia. “I viaggiatori provenienti da Mosca sono ricevuti nel nuovo edificio della stazione, di cristallo e metallo, con risplendenti scale mobili e ascensori. La città sorprende per la sua pulizia. Le ampie vie sono perfettamente pulite, non ci sono barriere pubblicitarie e neppure brutte insegne al neon. Minsk infonde l’impressione di una città sovietica da modello, con ampie strade, con pochissime ostruzioni, con un predominio del trasporto pubblico, con un asfalto eccellente, con strisce verniciate di recente e con edifici residenziali molto curati, come se fossero stati appena ristrutturati. Man mano che ci avviciniamo alla periferia vediamo più blocchi di abitazioni di vari piani, di nuova costruzione. A volte incontriamo quartieri interi, dove solo cinque anni fa c’erano campi e poderi incolti. In città la metropolitana continua ad ampliare le sue linee a gran velocità, e si costruiscono nuove strutture sociali. Dopo il Palazzo del Ghiaccio, è stato costruito un nuovo centro sportivo, è ora si sta terminando la costruzione di una nuova Biblioteca Nazionale. In generale, le sensazioni che lascia Minsk sono molto gradevoli. Lo stesso possiamo dire dell’insieme del paese. Poca gente lo sa fuori dalle frontiere del paese, ma la Bielorussia possiede una delle economie che più stanno crescendo in Europa. Nel 2004 il PIL è cresciuto dell’11%. Nel 2005 si spera che sia dell’8,5% e per il 2006, le previsioni parlano di un 8%”.



    Bogdanovich conclude dicendo: “si, l’economia bielorussa cresce a ritmi serrati, nonostante l’attiva intromissione dello stato. Non c’è alcun miracolo. La crescita del ruolo del capitale privato nella vita economica del paese è inevitabile”. (“Export”, 12-18/12/2005).



    Questa conclusione non sembra avere una logica, dal momento che l’economia bielorussa cresce da 10 anni consecutivamente, e la ragionevole intromissione dello stato rappresenta uno dei fattori importanti del suo successo. Non a caso Vladimir Putin si è felicitato nel gennaio di quest’anno con il presidente Alexander Lukashenko per i successi economici bielorussi.


    La Bielorussia avanza



    In quanto parte dell’Unione Sovietica, la Bielorussia si considerava una delle repubbliche più sviluppate in campo economico, occupando il secondo posto dopo la Federazione Russa in quanto a livello del PIL pro-capite e agli indici del livello di vita. Il terzo posto era occupato dall’Ucraina, che seguiva da vicino Russia e Bielorussia. Il Kazakhstan era incluso tra le repubbliche che ricevevano sussidi e di solito occupava il sesto o settimo posto nelle tabelle che riflettevano il livello di sviluppo dell’economia. (“Questioni di economia” n°4-6, 1992). Questo rapporto è variato già nel 2000, continuando a farlo negli anni seguenti. In cinque anni (2001-2005) il prodotto interno lordo della Bielorussia è aumentato del 42%. Negli ultimi 10 anni il PIL della Bielorussia è raddoppiato. (“Republica”. Minsk. 24/12/2005). Per i suoi livelli di PIL pro-capite, la Bielorussia occupa il primo posto nella CSI, il che è stato riconosciuto anche dagli esperti del FMI.



    Secondo dati dei centri di analisi del FMI e tenendo conto della parità della capacità di acquisto delle divise nazionali nel 2001, il PIL pro-capite è cresciuto nel 2000-2003:



    In Ucraina………da 4’75 a 5’85 mila dollari;

    In Russia.………da 6’75 a 7’75 mila dollari;

    In Kazakhstan….da 6 a 7’8 mila dollari;

    In Bielorussia….da 7’25 a 8’7 mila dollari.

    (“Economia mondiale e relazioni internazionali”. N°2, 2004)



    Nei due anni seguenti la Russia ha incrementato il proprio PIL del 13,8%, l’Ucraina del 14,3%, il Kazakhstan del 19,2%, la Bielorussia del 20,2% (“Principali indici macroeconomici dei paesi della Comunità degli Stati Indipendenti”, M., 2005)

    La Bielorussia guida la CSI per quanto concerne le produzioni tecnologiche nell’insieme dell’economia, in primo luogo nel settore automobilistico e della fabbricazione di macchinari. La Bielorussia è anche in testa alle statistiche pro-capite quanto a fabbricazione di televisori, frigoriferi, tessuti e calzature. Supera di 3 volte la Russia e l’Ucraina nella produzione di carne e di 7 volte il Kazakhstan. Nei prodotti caseari, formaggio e latte, la Bielorussia supera di 2-3 volte Ucraina e Russia e occupa il primo posto nella produzione pro-capite di zucchero, patate, frutta e uova. E’ superata solo dal Kazakhstan nella produzione di grano e da Ucraina, Russia e Kazakhstan in quella di oli vegetali. La Bielorussia costruisce 2,5 – 3 volte più metri quadrati abitativi ogni 10 mila abitanti, dell’Ucraina e del Kazakhstan e 15-20% più della Russia. (“Comunità degli Stati Indipendenti”, M., 2004).



    Potremmo continuare con questi raffronti citando molti altri indici di produzione industriale e agricola.

    La Bielorussia è la prima nella CSI per i tempi di crescita del commercio estero. La bilancia commerciale nel 2005 si avvicinava ai 30 mila milioni di dollari, con un avanzo positivo di 700 milioni. Per un paese di 10 milioni di abitanti, dipendente per l’energia, è un risultato molto buono.



    La Bielorussia lotta per aprirsi un varco nei mercati. Mantiene relazioni commerciali con quasi 70 paesi e migliora costantemente il livello e la qualità dei suoi prodotti. La struttura del suo commercio estero corrisponde a quella di un paese europeo industrialmente sviluppato: la sua produzione è quella dell’industria di trasformazione non quella di un produttore di materie prime. La Bielorussia è uno dei leader mondiali nella produzione di trattori e di camion. Il 36% del totale delle esportazioni della Bielorussia è indirizzato verso la Russia. Sono anche cresciute molto le esportazioni verso la Cina. Meno di un terzo delle esportazioni è rappresentato da concimi minerali e derivati del petrolio. In entrambi i casi, si tratta di prodotti elaborati e non di materie prime, grezze.



    L’opposizione a Lukashenko ha scritto e scrive molto circa il basso livello di vita in Bielorussia. Ma i raffronti non vengono fatti con Ucraina e Russia, e neppure con le vicine Polonia, Lituania e Lettonia, ma direttamente con la Germania. Questi raffronti non reggono. Dobbiamo paragonare la Bielorussia del 2005 con quella del 1990, o con le attuali Ucraina e Russia. Così per esempio, la pensione media in Bielorussia ammonta a 104 dollari, la più alta della CSI se calcoliamo in dollari e ancora di più se teniamo conto della capacità d’acquisto, in virtù dei prezzi più che accessibili per i prodotti di prima necessità.



    In Bielorussia, al giorno d’oggi abbiamo la migliore struttura di approvvigionamento alimentare della CSI e il “paniere della spesa” più conveniente, tanto per l’infanzia quanto per la terza età. Si hanno inoltre le migliori condizioni di accesso alla casa della CSI. Certamente l’aspettativa di vita dei bielorussi è scesa dai 71 anni del 1990 ai 69 del 2005. In Russia, troviamo un’aspettativa di vita alla nascita più bassa, 65 anni. Il salario medio in Bielorussia è di 250 dollari al mese, che rappresenta 80 dollari in più dell’Ucraina e 30 meno della Russia. Il bilancio russo non è oggi certo carente di entrate. In Bielorussia, però non registriamo le differenze salariali o di reddito che si registrano in Russia, sia tra le regioni, che nei settori della produzione. Il salario medio nel settore statale è di 225 dollari al mese (“Republica”. Minsk. 24/12/2005)

    Naturalmente tali cifre sono molto modeste in rapporto alla Germania e alla Francia. Certo qui è più importante concentrare l’attenzione sulla dinamica della crescita. Raddoppiato in 10 anni (1996-2005) il proprio PIL, la Bielorussia si propone come obiettivo di triplicarlo per il 2010. Non esiste una simile dinamica né in Europa né nella CSI.



    Logicamente l’opposizione bielorussa conosce tutte queste cifre, sebbene le spieghi a modo suo. Uno dei leader dell’opposizione, Aleksander Lebedko ha scritto recentemente nel principale giornale di opposizione della repubblica: “Dove sta il senso della vita? Nella verità. E la verità è questa. Nei suoi 11 anni di governo, Lukashenko ha creato un sistema basato sull’inganno e sulla paura. Un sistema che non è efficiente. Che funziona solo con la frusta del carrettiere. Che non dipende dalla gente che vive nelle regioni. E’ qualcosa che il dirigente bielorusso e i suoi sostenitori sono stati obbligati a riconoscere pubblicamente” (“Narodnaya volia” n° 226, 24/10/2005).


    Il modello bielorusso



    Negli anni 1992-1993 in Bielorussia non fu applicata alcuna “terapia shock”. Il potere era debole e diviso, ma la direzione dell’economia non era esercitata da una squadra di consiglieri stranieri, ma dall’ultimo governo sovietico, capeggiato da Viacheslav Kebich. Questo governo cercò di portare a compimento alcune prudenti riforme. Alla fine del 1993 furono privatizzate nel paese alcune centinaia di piccole e medie imprese.



    La legge permise la libertà totale di commercio a prezzi di mercato, sebbene leggi come queste non provocassero l’entusiasmo tra la popolazione, dal momento che alla fine del 1992 i prezzi dei principali articoli di consumo avevano subito un aumento di 11 volte. Mentre la produzione si era ridotta nel 1992 di un 26% e nel 1993 di un altro 11%. (P.G. Chigrinov, “Storia di Belarus”, Minsk. 2004). Ciò dimostrava la drastica caduta del potere d’acquisto e del livello di vita della popolazione. Centinaia di migliaia di persone della fino allora prospera Bielorussia andarono ad ingrossare le liste dei disoccupati.



    La mancanza di controllo e la crisi dominavano. All’inizio del 1994 fecero la loro apparizione 2.500 fattorie private. Però il loro peso specifico sul totale della produzione del settore agrario rappresentava appena l’1%. L’opposizione liberale esigeva la liquidazione di tutti i kolkhos e i sovkhos, sebbene nelle campagne bielorusse fossero pochi quelli che appoggiavano tali richieste. In Bielorussia non esistevano neppure proposte serie di privatizzazione delle grandi imprese industriali. Come si sa, in una Bielorussia relativamente povera di risorse naturali, negli anni sovietici si erano sviluppati con grande successo molti settori dell’industria di trasformazione, in primo luogo la costruzione di macchinari. Molti economisti soprannominavano la Bielorussia “l’officina di assemblaggio dell’URSS”. Decine di sue imprese per la produzione di macchinari, così come per la produzione di televisori, frigoriferi, elettrodomestici, attrezzature mediche, completavano il ciclo tecnologico che iniziava in Russia o Ucraina. L’economia bielorussa per l’80% era formata da imprese dell’ultimo ciclo, dipendenti per i materiali e con sbocchi in mercati del mercato generale dell’Unione (“L’economia mondiale e le relazioni internazionali”). Ciò presupponeva l’esistenza di una grande percentuale di lavoro altamente qualificato e ben retribuito e una parte importante del valore del prodotto creato. La maggioranza di queste imprese era dipendente dall’Unione, e non poteva essere privatizzata senza che venisse alterato lo sviluppo naturale della produzione. Evidentemente, la sparizione dell’URSS aveva distrutto il funzionamento normale dell’industria bielorussa.



    Molte fabbriche non furono solo costrette a tagliare la produzione. Dovettero anche trattenerla. I magazzini erano pieni. Non c’erano nuove commesse, né fornitura di pezzi, di materie prime e neppure di energia. In Bielorussia non era molto forte il desiderio di acquisire l’indipendenza rispetto alla Russia, come nelle repubbliche baltiche, disposte a qualsiasi sacrificio per l’indipendenza. Inoltre i nazionalisti radicali bielorussi avevano poca influenza, non disponevano di un programma economico. Le loro preoccupazioni principali si concentravano attorno al problema della lingua. Nella maggior parte disprezzavano il loro popolo, che secondo loro aveva dimenticato il proprio idioma e i simboli degli antenati.



    In tale congiuntura, la vittoria di Lukashenko nelle prime elezioni presidenziali fu qualcosa di logico. In seguito si è dato avvio ad una nuova politica economica, basata sul pragmatismo, sul senso comune e sul recupero dei legami economici e di cooperazione con la Russia. In Bielorussia è stata reinstaurata l’economia pianificata di tipo sovietico, con compiti prefissati in un arco da uno a cinque anni.



    Il primo piano quinquennale sviluppato sotto la direzione di Lukashenko, “Principali direttrici dello sviluppo socio-economico della Repubblica Belarus per gli anni 1996-2000”, fu approvato a Minsk dall’Assemblea Popolare Bielorussa e venne convertito in legge.



    Alla fine dell’anno 2005 più dell’80% degli attività, nelle città e nelle campagne di Bielorussia, facevano riferimento alla proprietà statale e cooperativa. Non esistono oligarchi, e non sono presenti grandi corporazioni private. Però le imprese bielorusse, i kolkhos e i sovkhos, funzionano, in generale, meglio che nell’epoca sovietica, poiché oggi devono competere nel mercato russo e mondiale. Nell’economia bielorussa sono mantenute, in sostanza, le forme di organizzazione economica (di direzione amministrativa) sovietiche, e lo stato sostiene anche molte imprese deficitarie. Ma in Bielorussia non c’è un partito unico dirigente, bensì un gruppo di partiti che appoggia il presidente, e un altro gruppo di partiti che forma l’opposizione. La Bielorussia non persegue lo status di paese con economia di mercato, ma costruisce una società di giustizia sociale, impiegando relazioni di mercato, che si correggono secondo le necessità. Così, per esempio, in Bielorussia si sostiene, mediante sussidi, il mantenimento di prezzi bassi per i prodotti di prima necessità, i servizi abitativi sociali e i trasporti pubblici. Aleksandr Lukashenko ha dato in molte occasioni una chiara definizione del modello bielorusso: “L’essenza del modello socio-economico di sviluppo del nostro stato “, ha detto Lukashenko in una conferenza stampa, il 23 novembre 2005, “consiste nel creare uno stato per il popolo. Costruiamo uno stato orientato al sociale. Non abbiamo percorso la strada della distruzione, ed abbiamo anche rinunciato alla parola “riforma”, che ha intimorito le nostre genti, in Russia come in Bielorussia. Noi non parliamo di riforma, ma di perfezionamento. Non percorriamo la precedente strada della distruzione. Partiamo da quello che abbiamo, mettiamo in piedi ciò che veramente vale la pena, e iniziamo a perfezionare tutto questo. E fondamentalmente ci appoggiamo alle fondamenta che sono state create in Unione Sovietica, qui, in questa terra, ed innalziamo un edificio economico normale, che oggi ci fa conseguire il risultato definito. Costruiamo un modello che tiene conto, prima di tutto, dell’essere umano. E unicamente in questo si trova la base della forza del presidente e del nostro stato, nel fatto che mai perderemo di vista gli interessi del cittadino (“Republica”, 25/11/2005).



    L’opposizione ad A. Lukashenko critica in modo risoluto queste modalità di costruzione del socialismo di mercato su basi sovietiche (“Narodnaya volia”, 5/01/2005). E’ certo comunque, che nessuno dei leader dell’opposizione è stato capace, fino a questo momento, di proporre alcun altra strategia economica o una concezione socio-politica diversa.


    Bielorussia e Russia



    La repubblica di Bielorussia è il socio e amico più importante della Federazione Russa nella CSI e in Europa. Ai confini tra Russia e Bielorussia non ci sono posti di blocco e controlli di frontiera. I cittadini della Russia possono andare e lavorare in Bielorussia senza visti né permessi, e i cittadini della Bielorussia possono fare la stessa cosa in Russia. Nei nostri paesi esiste un unico spazio di difesa rispetto all’ovest, che mantiene e sviluppa l’infrastruttura sovietica. I nostri paesi hanno un sistema comune di organizzazione e di distribuzione dell’area di difesa e della produzione di tecnologia militare. La lingua russa è, insieme al bielorusso, idioma ufficiale in Bielorussia. La Bielorussia non è mai stata una colonia della Russia, e il popolo bielorusso non ha quei complessi antirussi, che hanno cercato di instillargli i nazionalisti radicali, dichiarando “decadente” il proprio popolo. Il più vicino alla realtà è stato proprio A. Lukashenko, quando ha affermato, con una battuta, che “i bielorussi sono russi, ma con un marchio di qualità”. Tra Russia e Bielorussia non ci sono mai stati, nel corso della storia, inimicizia e conflitti, e proprio questo, ha determinato la scelta finale dell’elite bielorussa nel suo orientamento verso la Russia dopo la dissoluzione dell’URSS. Come ha scritto recentemente A. Lukashenko, “il popolo bielorusso ha analizzato serenamente la situazione e ha fatto la sua scelta, nel senso che ha voluto dimostrare la propria incorruttibile lealtà alla fraternità slava. L’adozione di un orientamento verso la Russia, aperto e consapevole, è stato un passo molto responsabile. Era la mia posizione di principio, perché credo fermamente nella forza creatrice dell’unità dei nostri popoli” (“Nash Sovremennik” N° 12, 2005).

    In Russia e Bielorussia esiste un modesto, ma comune, Stato federato, con un parlamento congiunto, un consiglio dei ministri, un Consiglio superiore di stato e un bilancio che nel 2006 ammontava a 3.000 milioni di rubli (ndt: circa 100 milioni di euro). Più di mille funzionari, diretti da Pavel Borodin, lavorano a Minsk nel Segretariato esecutivo di questo Stato federato, che presto dovrà stabilire il suo Atto costitutivo. Proseguono i preparativi per l’introduzione di una divisa comune per i due paesi, sulla base del rublo russo. Naturalmente, esistono anche problemi. E’ facile verificare che quasi tutte le principali iniziative di integrazione negli ultimi 10 anni sono partite non dalla Russia, ma dalla Bielorussia. Su molte delle iniziative economiche e politiche della Bielorussia cala il silenzio o si tergiversa, non solo in una parte significativa della stampa russa, ma anche nelle informative che arrivano al presidente della Russia. E’ risultato strano ascoltare le parole di V.V. Putin circa al fatto che tutta l’economia della Bielorussia corrisponde a un 3% di quella della Russia, come pure alcune conclusioni derivanti da queste sbagliate comparazioni.



    La popolazione della Bielorussia corrisponderebbe a un 7% della popolazione della Russia, ma l’economia della Bielorussia corrisponde all’8% dell’economia della Russia. Nell’insieme dell’economia della CSI, nel 2003, la Russia apportava il 61,5% del Prodotto Interno Lordo (PIL) della Comunità, e la Bielorussia il 4,8%. Nel mondo esistono già molti sistemi di integrazione, ma Russia e Bielorussia devono trovare la propria variante di Unione, che tenga conto della nostra storia e delle nostre realtà. La Bielorussia deve raggiungere l’integrazione, conservando la propria sovranità nazionale e statale, è questa è una posizione comprensibile e ragionevole. Le nostre economie sono totalmente compatibili, ma l’economia della Russia, al giorno d’oggi, include sufficienti elementi irrazionali, che giustificano la cautela della Bielorussia.


    I problemi della democrazia in Bielorussia



    I problemi della democrazia in Bielorussia possono essere esaminati sotto distinti angoli di visuale, che, pertanto, portano alla descrizione di quadri molto differenti, nella loro maggior parte, molto soggettivi. Ma la stessa cosa potrebbe essere detta per ogni paese occidentale, con “esemplari”, a detta di molti, regimi democratici. Sarebbe meglio parlare delle istituzioni reali del potere e dei fatti. E’ assolutamente evidente che il presidente della Bielorussia possiede, in accordo con la Costituzione del paese, enormi poteri, molto maggiori di quelli del presidente della Francia, degli USA o della Russia. Il presidente bielorusso coordina e dirige l’attività di tutti i poteri dello stato, esecutivo, legislativo e giudiziario. I decreti del presidente della Bielorussia sono considerati leggi provvisorie. Il parlamento bicamerale bielorusso è, in larga misura, un organo rappresentativo e tecnico, più che politico. Non è una tribuna per dichiarazioni politiche e lotte dei partiti, che esistono in quantità in Bielorussia, ma che non sono grandi, in quanto ad influenza, e non sono in grado di costituire un’alternativa di potere.

    E’ chiaro che, messo a confronto con l’ordine sovietico in Bielorussia, non solo ai tempi di Brezhnev, ma anche a quelli di Gorbaciov, la Bielorussia attuale è un regime democratico molto più avanzato. Qui è limitata, ma non proibita la stampa dell’opposizione, e neppure sono oscurate le emittenti occidentali. E’ possibile professare qualsiasi religione o aderire a qualsiasi dottrina filosofica.



    Aleksandr Lukashenko è arrivato al potere nel 1994, in seguito ad elezioni pienamente democratiche. Senza appoggiarsi a nessun partito, e senza avere alcun sostegno finanziario solido, ha vinto le elezioni grazie, in primo luogo, al suo eccezionale talento oratorio, all’intelligenza naturale, alla forte volontà e all’onestà, qualità di cui tutti allora poterono convincersi. In quelle condizioni di malgoverno e di disordine, senza poter contare su una forte equipe professionale, sconfisse concorrenti molto più potenti di lui in vari contesti, ottenendo l’81% dei voti nel secondo turno. Il suo programma principale si condensava nella frase: “Non sto né con quelli di destra, né con quelli di sinistra; sto con il popolo”. Questo tema è ancora quello dominante nel programma elettorale del 2006.



    Sarebbe strano e assurdo dare la colpa della debolezza della società civile in Bielorussia ad Aleksandr Lukashenko, e non all’opposizione bielorussa. Esattamente come nel 1991, oggi, troppi leader ambiziosi e gruppi politici dell’opposizione si prendono a spintoni, ostacolandosi l’un l’altro in uno scenario politico molto piccolo. In Russia, Vladimir Zhirinovsky e Aman Tuleyev si presentarono alle elezioni presidenziali contro Eltsin, gia nel 1991, e Ghennadij Zjuganov, dal 1996. In Bielorussia non esistono figure simili. Qui, all’opposizione di “prima linea”, si sostituì, a metà degli anni ’90, l’opposizione di “seconda linea”, e, fino all’anno 2001, quella di “terza linea”. Una simile rapida successione di persone e gruppi ha confuso anche i patrocinatori e i consiglieri occidentali, che hanno richiesto, sebbene solo in occasione delle elezioni del 2006, l’unione di tutti i movimenti oppositori, “dagli anarchici ai monarchici”, e la presentazione, per fronteggiare Lukashenko, di un candidato unico. A questa proposta si sono associati anche i liberal-democratici, i nazionalisti e i comunisti del Partito dei Comunisti di Bielorussia. I più “ortodossi” comunisti del Partito Comunista di Bielorussia, al contrario, hanno appoggiato il governo.



    Il Congresso unificato delle forze democratiche si è costituito a Minsk, il 2 ottobre 2005, nel Palazzo della Cultura della fabbrica di automobili di Minsk. Si sono riuniti più di 800 delegati di 8 o 9 partiti. Tra i 70 invitati stranieri si trovavano l’ex presidente della Polonia, Lech Walesa, e quello della Repubblica Ceca, Vaclav Havel. Dei democratici russi (così vengono abitualmente definiti in Russia, gli esponenti della destra ultraliberista e filo-occidentale, nota del traduttore),sono arrivati a Minsk I. Kakhamada, B. Nemtsov e N. Belij. Si sono svolti due turni di votazione. Alla seconda votazione ha vinto Aleksandr Milinkievich, professore di 58 anni, fisico di professione, della città di Grodno. Il fino allora poco conosciuto politico di provincia, era stato, in passato, attivista del Fronte Popolare di Bielorussia, ma non dei più radicali. Nel febbraio 2006 è stata avviata un’attiva campagna elettorale, dentro e fuori i confini della Bielorussia. I risultati di questa campagna politica li conosceremo il prossimo 19 marzo. Le elezioni presidenziali in Bielorussia si celebreranno una settimana prima delle elezioni per la Rada Suprema (parlamento nazionale) dell’Ucraina. Saranno due avvenimenti molto importanti, non solo per questi due paesi, ma per tutta l’Europa.



    Particolarità del panorama elettorale bielorusso



    Per i leader dell’opposizione bielorussa sarà molto difficile condurre la lotta con Lukashenko in qualsiasi ambito o “campo di battaglia” elettorale, ragion per cui stanno già affermando che il loro obiettivo principale è quello, come nei Giochi Olimpici, non di vincere, ma di partecipare. Nessuno dei leader oppositori prepara tende o cucine da campo per un “maidan” bielorusso (dopo le elezioni, gli sponsor imperialisti dell’opposizione hanno in ogni caso spinto a fare anche questo, mandando allo sbaraglio poche centinaia di manifestanti, tra cui molti provocatori stranieri. La provocazione c’è stata comunque, malgrado le previsioni di Medvedev, che probabilmente non metteva in conto un simile livello di avventurismo, nota del traduttore). Persino i giornali dell’opposizione e i gruppi di indagine sociologica, mobilitati nella vicina Lituania, avvertono: “Lukashenko riceverà nelle elezioni dal 55% al 60% dei voti, ma ci dichiarerà una cifra del 75-80%”. E’ esattamente la stessa cosa che ha detto Aleksandr Milinkievich in un’intervista alla televisione russa.



    Su che tesi costruire la campagna? A questo proposito, persino gli osservatori occidentali hanno difficoltà a dare consigli. In Ucraina, nell’autunno del 2004, il principale tema per Juschenko e Timoshenko era la corruzione. Ma il regime bielorusso non è corrotto, e la popolazione del paese lo sa. Qui non c’è un potere debole, e neppure ricchi oligarchi. E’ difficile accusare Lukashenko di sottomissione a Mosca o di rinuncia alla sovranità bielorussa. Anzi, sono i politici russi che alcuni dei loro colleghi bielorussi tentano di spaventare con la tesi della supposta eccessiva influenza che Lukashenko e il KGB bielorusso starebbero acquisendo a Mosca e in Russia.



    E’ anche molto difficile criticare la politica socio-economica di Lukashenko, poiché i suoi successi sono evidenti. I proclami secondo cui l’attuale regime bielorusso non starebbe costruendo nulla e vivrebbe “delle rendite sovietiche” e della ricchezza accumulata ai tempi dell’URSS, sono ben poco convincenti. La Bielorussia ha costruito molto da sola negli ultimi 5 anni, ha rinnovato i propri impianti e la propria tecnologia. Il famoso scienziato e figura pubblica bielorussa, Ghennadij Grushevoy, uno degli organizzatori dell’azione per i “Bambini di Chernobyl”, simpatizza totalmente per l’opposizione, ma la mette in guardia dal farsi illusioni: “L’elettorato – dice – vota non per il sistema politico che ha creato Lukashenko e neppure per il suo modello economico, vota per la sua politica sociale. Se noi ora gli diciamo che bisogna distruggere tutto questo sistema sociale (dovremmo dimostrare che rappresenta una forma di corruzione primitiva del popolo), non troveremo sostegno. Non riceveremo nulla, tranne che il disprezzo, dall’elettorato”. (A. Feduta. “Lukashenko. Biografia politica”, M. 2005).



    Ma come dimostrare che la politica sociale di Lukashenko è una forma di corruzione del popolo, e non un sincero desiderio di aiutare la gente a preoccuparsi del miglioramento della sua vita? Di fatto, la politica sociale di Lukashenko deriva in modo naturale dalla sua ideologia, che è oggi l’ideologia dello stato bielorusso. L’ideologia statale bielorussa non si basa sui dogmi del marxismo-leninismo, ma neppure respinge le idee e i principi del socialismo, in quanto società di giustizia sociale. In tutte le strutture del potere della Bielorussia ci sono sezioni di lavoro ideologico, e nell’amministrazione del presidente esiste una direzione dell’ideologia. A. Lukashenko ha esposto la sua essenza nella forma più concisa nel suo messaggio ai cittadini in occasione della festa dell’Ottobre. “La storia lo testimonia in modo convincente: la Grande Rivoluzione Socialista d’Ottobre, il cui principale obiettivo era la costruzione di una società di giustizia sociale, libera dalla disuguaglianza e dall’oppressione, era dotata di un’enorme forza creatrice. L’energia dell’Ottobre ha ispirato la vittoria nella Grande Guerra Patriottica, la conquista del cosmo, le realizzazioni del lavoro del popolo sovietico, fatti riconosciuti in tutto il mondo. La rivoluzione d’Ottobre ha cambiato il destino della Bielorussia, ha dato un potente impulso alla rinascita sociale e spirituale del nostro popolo. I bielorussi hanno ottenuto il loro stato, hanno creato un’industria ad alta tecnologia, un’agricoltura moderna, una cultura e una scienza d’avanguardia. La repubblica di Bielorussia è uno stato sovrano che gode di stima e di prestigio nella comunità internazionale. I tratti distintivi della Bielorussia moderna sono la stabilità politica ed economica, la concordia civile e la preoccupazione per la gente. Il nostro paese marcia in modo deciso sulla strada dello sviluppo scelta dal popolo, alla cui base si trovano gli ideali di pace, libertà, uguaglianza e giustizia dell’Ottobre” (“Sovietskaya Belorussija”, 6/11/2005).



    Le elezioni in Bielorussia saranno osservate con la massima attenzione, non in Occidente, né in Russia, ma piuttosto nella vicina Ucraina. Facendo una comparazione tra i prezzi dei prodotti alimentari nelle città di Ucraina e Bielorussia, dove sono due volte più convenienti, e, inoltre, dove i salari e le pensioni sono più alti, un giornalista ucraino ha esclamato: “Noi non abbiamo mai avuto questi prezzi! No, e sarebbe necessario chiedere ad Aleksandr Lukashenko, dopo la fine del suo mandato presidenziale, di lavorare un paio d’anni da noi a beneficio dei pensionati! Ci libereremmo immediatamente dal peso del nostro consiglio dei ministri. Con che cosa ci può consolare il potere? Forse solo con parole vuote sul fatto che in Ucraina c’è democrazia e in Bielorussia no? E con quale metro valutare e soppesare questa nostra democrazia o la “scelta europea”? Cos’è più importante per una persona comune: una famiglia ben nutrita o dare soddisfazione ai “guardiani della democrazia” di Washington e dell’UE? E, in generale, chi è un patriota del suo paese? Colui che mette ordine, dà lavoro e pane ai suoi cittadini, o colui che parla di “onore e nazione”, senza rendersi conto di come gli oligarchi e i loro “compagni di lotta” saccheggiano il paese? E allora guardate come i bielorussi non hanno subito la nostra sorte. Non hanno oligarchi. E neppure milionari. In cambio hanno di che e con che comprare” (“2000”, Kiev, 16/12/2005). Questo articolo, scritto dalla città ucraina di Zhitomir, è stato pubblicato in uno dei migliori settimanali ucraini “2000”, nella sezione “Libertà di espressione”.



    Certamente, la democrazia è un bene molto prezioso, e bisogna lottare per difenderla, ma non come intendono molti politici a Kiev o a Tbilisi. Nella seconda metà del marzo 2006 sapremo cosa pensano in merito i popoli ucraino e bielorusso.

  3. #3
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    Tesi a confronto sul "socialismo di mercato"

    A proposito di un libro di Bertell Ollmann, docente all’Università di New York
    di Patrick Theuret


    “Market socialism, the debate among socialists”, edito a cura del professor Bertell Ollmann, ha la caratteristica di esser costruito come un autentico libro-dibattito, con contraddittorio, articolato in quattro parti.

    1. Due contributi alla sezione “pro” (ossia “a favore del socialismo di mercato”): uno di David Schweickart, docente di filosofia presso l’Università Loyola di Chicago, e autore di una tesi di matematica, l’altro di James Lawler, docente di filosofia all’Università di Buffalo, New York, presidente della Società per lo studio della filosofia marxista, intitolati rispettivamente “Socialismo e mercato: una difesa”,(pp.2-22) e “Marx, socialista di mercato“ (pp. 23-54).

    2. Due contributi alla sezione “contro”, di Hillel Ticktin, autore di una tesi presentata all’Univer-sità di Mosca, specialista di questioni russe ed est-europee, presidente del Centro per lo studio della teoria e dei movimenti sociali a Glasgow, e di Bertell Ollman, docente di scienze politiche all’Università di New York, inventore del gioco “Lotta di classe”, intitolati rispettivamente “Il problema è il socialismo di mercato” (pp.55-80) e “La mitizzazione del mercato nella società capitalistica ed in quella socialista di mercato” (pp. 81-124).

    3. La terza parte consiste nella critica di ciascun autore alle tesi contrapposte.

    4. Nell’ultima parte, ciascuno si difende dalle critiche che gli sono state mosse.

    Quest’opera, di duecento pagine fitte, trae origine da un dibattito tenutosi nell’aprile 1995 a New York, in cui gli autori avevano messo a confronto le rispettive ricerche.
    L’obiettivo viene delineato nell’introduzione dal curatore: “Oggi non basta, se mai è bastato, sviluppare la nostra critica del capitalismo. I marxisti devono ora concentrare l’attenzione sul socialismo”, ponendo i quesiti: “Che cos’è il socialismo di mercato? Come può funzionare? Quali problemi tuttora irrisolti potrà risolvere il socialismo? E come? Quale rapporto col capitalismo? Come raffrontarsi alla visione più tradizionale del socialismo? Marx si è pronunciato in merito? E gli altri socialismi in che differiscono?”

    Un socialismo vitale ed auspicabile

    David Schweickart comincia con un paradosso: “In questi tempi, non è molto alla moda difendere il socialismo, comunque lo si intenda” dandosi per scontato che “il socialismo è morto”. Ed invece, “Oggigiorno, l’economia più dinamica del mondo, che coinvolge un miliardo e duecento milioni di individui, è un socialismo di mercato”2. In quest’ambito, intende dimostrare che “a) il socialismo di mercato, o quanto meno una delle sue versioni, è un sistema economico vitale, chiaramente superiore al capitalismo, in base ai criteri adottati tanto dai socialisti quanto dai non-socialisti, e b) è l’unica forma di socialismo che risulta vitale e desiderabile allo stadio attuale di sviluppo dell’umanità”.
    Respinge l’identificazione del mercato col capitalismo come “rovinoso errore”, comune ai conservatori ed agli oppositori di sinistra del mercato. Per i primi, è solo una tattica “far sempre l’apologia delle virtù del mercato e dei vizi della pianificazione centralizzata” per non dover difendere “gli altri due istituti che definiscono il capitalismo (…), lavoro salariato e proprietà privata”. Speculare la posizione di sinistra, giacchè “è altrettanto facile attaccare il mercato in astratto quanto difenderlo, dato che il mercato ha pregi e difetti”.
    Peraltro, la posizione di Schweickart è più sfumata ed empirica che categorica, il che lo conduce en passant a non disprezzare l’economia pianificata3; e tuttavia, Lawler legittima il socialismo di mercato proprio sulla scorta dei limiti della pianificazione, schematizzati “in quattro diversi problemi. Di informazione, di incentivazione, di autoritarismo e di imprenditorialità”.
    Descrive due modelli, quello di John Roemer4 e quello che designa come Democrazia economica, basata su “autogestione operaia e proprietà ugualitaria dei mezzi di produzione.” “Nella Democrazia economica non c’è Borsa perché non vi sono azioni. I capitali fissi del paese sono intesi come proprietà collettiva, ma controllati dalla forza-lavoro che li impiega (…) Un’azienda non è un bene che i suoi lavoratori posseggono, bensì una associazione da essi governata”.
    Seconda caratteristica di questo modello è che il finanziamento degli investimenti non si basa sul risparmio, perché “ogni impresa deve pagare una tassa sui capitali, come un affitto pagato alla società per accedere alla proprietà collettiva della società stessa”. Terza peculiarità è l’esistenza di un mercato di beni e servizi. Ci si chiede se si tratti effettivamente di “socialismo”: “qui bisogna invocare una distinzione marxiana: il socialismo non va confuso con la forma più elevata del capitalismo. Il socialismo sorge dalle viscere del capitalismo e da tale origine è marchiato; non è una società perfetta, bensì un ordinamento economico non capitalistico, che preserva le migliori acquisizioni del capitalismo e ne supera i più gravi difetti”.

    Marx, Engels ed il mercato

    “Un’economia moderna, complessa, non può venir condotta efficacemente a partire da un unico centro di comando.Questa è stata la critica economica classica al sistema economico sovietico”. E James Lawler contrappone al “socialismo di Stato” centralizzato, che ha caratterizzato la sostanza della storia sovietica (e si domanda se si deve chiamarlo socialismo), “il socialismo di mercato decentralizzato e connesso ad istituzioni democratiche e pluraliste”, che ritiene, “contrariamente alle concezioni tradizionali, rappresentare l’impostazione più vicina a quella di Marx ed Engels”.
    Prima di definire “il socialismo di mercato”, ne enuncia contesto e precondizioni: “la classe dominante dev’essere il proletariato, che deve vincere la battaglia della democrazia (…) aziende dello Stato proletariato ed aziende borghesi coesisteranno sul mercato”. Diversamente da quella di Schweickart, la tesi di Lawler cerca dal marxismo più legittimazione che non giustificazione, sulla scorta essenzialmente dello scritto di Engels, Princìpi del comunismo, utilizzato per la redazione del Manifesto del 1848. In quel testo si parlava ancora di “intaccare la proprietà privata”, piuttosto che abolirla.
    Secondo Engels, nota Lawler, “lo Stato proletario svilupperà la sua proprietà in concorrenza con le aziende capitalistiche, il che presume una maggior efficienza della proprietà socialista rispetto a quella capitalistica, per cui la prima dovrebbe vincere la competizione in un mercato onestamente organizzato (…). La rivoluzione proletaria non sopprime immediatamente il mercato. Il socialismo che essa produce è un socialismo di mercato, ancorché di mercato statale”. (…)
    “Il marxismo non è una variante del ‘socialismo nichilista’ – scrive Lawler – Marx concepisce invece il socialismo come una società nuova che sorge all’interno e attraverso la stessa, vecchia, società”. Lawler parla di una lunga transizione, e, arricchendo quell’analisi della transizione che prevedeva le due fasi classiche, trae dalle stesse opere di Marx ed Engels una concezione della transizione in “sei momenti di un unico processo di sviluppo comunista”.
    1) Le leggi sull’industria sono state le “prime reazioni coscienti e sistematiche della società contro la spontaneità di sviluppo del processo produttivo…
    2) I primi germi di questa società sono state le cooperative industriali ed agricole…
    3) La terza fase è un periodo postrivoluzionario di trasformazione dal capitalismo verso il comunismo…, che termina con l’eliminazione della proprietà capitalistica dei mezzi di produzione.
    4) La quarta fase è quella dell’eliminazione finale della proprietà capitalistica. La produzione capitalistica non esiste più, ma i lavoratori non hanno ancora le capacità per dirigere essi stessi, oppure le condizioni di sviluppo tecnologico non hanno consentito una società di cooperazione ampia e diretta5.
    5) Ora, la società comunista si pone come un sistema completo (…) Marx sottolinea la necessità, come riferimento giuridico, del “diritto borghese” nella prima fase del comunismo(…) Come una società capitalistica utilizza istituti feudali(...) perché mai il comunismo, nei primi tempi, non potrebbe utilizzare il mercato?
    6) Infine si raggiungerà una sesta fase di sviluppo comunista pienamente matura, allorché il libero sviluppo di ciascuno divenga condizione del libero sviluppo di tutti.

    Niente a che vedere col socialismo

    Da posizioni trozchiste, Hillel Ticktin impugna le precedenti analisi e svolge la sua contrapposizione dividendo la discussione di tutto il secolo XX in due campi.
    Il socialismo di mercato “appare dapprincipio sotto un altro norme, come forma del periodo di transizione tra il capitalismo ed il socialismo negli anni Venti, sotto gli auspici di Bukharin e di Stalin. Venne formulato più rigorosamente negli anni Trenta, e quindi adottato dai socialdemocratici nel dopoguerra e dagli stalinisti verso la fine dello stalinismo.Il fallimento dello stalinismo e della socialdemocrazia potrebbe considerarsi chiaro indizio del fallimento della teoria del socialismo di mercato. Tuttavia, l’apparente vittoria del capitalismo ha portato molti ex-marxisti ad adottare il mercato come caratteristica inevitabile di ogni economia Il presente articolo argomenta che il socialismo di mercato è in pratica impossibile, non auspicabile, e non ha niente a che vedere col socialismo”.
    La tesi opposta è ascritta “alla sinistra di Trockij e Preobrazenskij”, secondo i quali “mercato e pianificazione sono incompatibili (…) a partire dal 1923, con Bucharin e Stalin, piano e mercato coesistettero simbioticamente. Nel 1919 Stalin ruppe con Bukharin e dichiarò guerra al mercato6. Questa tendenza riapparve allorché Gorbaciov riabilitò Bucharin riconoscendovi il proprio precursore”. Questa tesi, il cui miglior sostenitore fu Alec Nove, si basava sulla “intellighenzia” e sulla “essenza della vecchia élite”. Ma la maggioranza dei sostenitori del socialismo di mercato all’Est pervennero a concludere ch’esso era fallito, e che solo il capitalismo integrale era possibile.
    Dopo una definizione marxista del mercato come “sfera di azione della legge del valore”, Ticktin definisce il socialismo come segue: “per un marxista antistalinista, il socialismo si definisce in base al livello di pianificazione di una società. Qui per “pianificazione” si intende una regolazione cosciente della società da parte degli stessi produttori associati. Per un marxista, il socialismo implica l’abolizione della vendita di forza-lavoro, il controllo dei lavoratori tanto sull’economia quanto sulle aziende (…). Spariscono valore e denaro. Insomma, per un marxista, il socialismo di mercato è un controsenso (…) Il socialismo dev’essere un’economia guidata sulla scorta dei princìpi di soddisfazione diretta dei bisogni umani”. “Per un marxista, nelle condizioni moderne il mercato non può sussistere senza il capitalismo, eccezion fatta per situazioni affatto peculiari e per brevi periodi, come nell’odierna Cina. Il mercato non è una tecnica né un meccanismo, ma uno specifico rapporto sociale capitale/lavoro7. Pertanto, la soluzione del mercato socialista non è nemmeno un programma. Esistono dolo due sistemi vitali: socialismo e capitalismo. Vi possone essere molti sistemi non vitali nel periodi di transizione dal capitalismo al socialismo”. Ticktin ritiene il mercato “decadente, corruttore e senza futuro. Non si può combinare il socialismo con una forma moribonda; inoltre, il mercato porta alla burocrazia (…) lo strato dirigente di funzionari è solo un’altra varietà di classe dominante, che gode di una certa autonomia dai governi eletti. (…) Nel corso del periodo di transizione al socialismo, fenomeni burocratici sono inevitabili”. La soluzione: “un regime di transizione può andare avanti purchè sia ugualitario,e quindi sostenuto da tutta la popolazione” 8.

    Smitizzare il mercato

    “Uno dei maggiori pregi delle società centraliste pianificate, per quanto antidemocratiche,comprese quelle che non funzionano molto bene, è la facilità di identificare i responsabili di ciò che va male: coloro che hanno elaborato il Piano. Lo stesso non vale per le economie di mercato, in cui anzi è importante che siano difficilmente comprensibili a quelli che ci vivono”.
    Secondo Ollman, “solo la critica della mistificazione del mercato ci consentirà di prendercela con chi se lo merita, ossia il mercato capitalistico e la classe che lo dirige, e di chiarire al popolo l’esigenza di trovare una nuova via per organizzare produzione e distribuzione della ricchezza sociale (…). Intendo con “mistificazione” una sorta di comprensione totalmente errata, dovuta alla combinazione del carattere occulto delle cose, della sua distorsione, cattiva interpretazione e confusione, ed occasionalmente anche della menzogna”. Per esempio, “i prodotti vengono concepiti come pronti da consumare (…) Non c’è alcun bisogno di sapere che avviene durante la produzione per spiegare la natura del mercato. Invece, grazie al marxismo “stando vicini alla produzione, emerge 1° la natura sociale della vita umana, la nostra condizione comune e le sue caratteristiche, non le differenze e preferenze individuali, che è ciò che risalta in primo piano nel capitalismo. 2°) La divisione sociale del lavoro. 3°) La divisione della società in classi”.
    E citando Marx ed Engels (Ideologia tedesca):”In apparenza gli individui sono più liberi sotto il dominio della borghesia (cioè il mercato) di prima, perché le loro condizioni di esistenza sono ad essi contingenti; ma in realtà sono meno liberi in quanto molto più sottoposti ala violenza delle cose”. Ma l’obiettivo principale di Ollman è dimostrare l’attualità di questa tesi anche sul piano politico, per cui egli denunzia l’illusione di uno Stato che “apparterrebbe ugualmente a tutti i cittadini, che sarebbe un arbitro imparziale di giustizia, (…) il che fa della nostra società, malgrado le sue pretese democratiche, una dittatura, la dittatura della classe capitalistica.
    “Alla strategia del movimento sociale, che si fonda su di una coalizzone di tutti i gruppi oppressi allo scopo di ottenere una più equa divisione della torta”, contrappone, fondandosi su Marx, “la priorità della classe operaia, non perché soffra più delle altre vittime,. Ma perché la forma specifica della sua oppressione (sfruttamento ed alienazione)dà ai lavoratori al contempo l’interesse e, mediante la loro collocazione nella produzione,il potere di sopprimere tutte le oppressioni attualmente associate al capitalismo”.
    In questa lotta, è per lui fondamentale la smitizzazione:”la svolta dei popoli verso il socialismo si opererà solo a partire dal rigetto di ogni rapporto di mercato”. Essenziali sono le dieci critiche che egli muove al socialismo di mercato: ”1) Separazione ingiustificata e rovinosa tra il mercato ed il resto della società, specie la produzione, e tra il socialismo ed i periodi che lo hanno preceduto e seguito immediatamente; 2) la mancanza di trasparenza, propria delle condizioni capitalistiche, viene trasposta nel socialismo; 3) mantenendo il mercato, si protrae la contraddizione principale del capitalismo, quella tra produzione sociale ed appropriazione privata; 4) anche se il socialismo di mercato potesse funzionare, non rappresenterebbe un progresso rispetto alla situazione precedente, perché continuerebbe ad esistere l’alienazione dei lavoratori, comproprietari delle loro aziende, che acquisirebbero qualche forma capitalistica di alienazione; 5) proseguendo la prassi di utilizzo del denaro per razionare i beni, si conserverebbero molte disuguaglianze del sistema attuale; 6) per fortuna o sfortuna, è impossibile il socialismo di mercato come compromesso col capitalismo, giacché i capitalisti, perdenti in tale riforma,lo combatterebbero con ugual tenacia come se fosse socialismo autentico;7) se il socialismo di mercato è impossibile nelle condizioni esistenti, non sarà necessario dopo la rivoluzione socialista;8) la critica mossa dal socialismo di mercato alla pianificazione centralizzata si fonda quasi esclusivamente sull’esperienza, molto poco significativa, dell’URSS; 9) il socialismo di mercato mina la critica di fondo del capitalismo, prerequisito per un’efficace lotta di classe, e semina confusione nel popolo circa il nefasto ruolo del mercato;10) Marx era con tutta evidenza incrollabile oppositore del socialismo di mercato”.

    Dibattiti incrociati

    Ai contributi iniziali seguono i dibattiti incrociati. Nella discussione tra Ticktin e Schweickart, questo critica quello, tra l’altro, per la contraddizione tra la sua opzione a una pianificazione totale (che per lui sarebbe sinonimo del socialismo). E inoltre gli rimprovera il suo rifiuto dello stalinismo; l’assenza di un abbozzo di spiegazione delle modalità di una pianificazione non centralizzata che coinvolgerebbe milioni di persone; il trascurare la pianificazione capitalistica, ed una definizione troppo idealizzata del socialismo. Invece, per lui “possono esserci società socialiste buone e cattive”
    Ticktin oppone a Schweickart una triplice controcritica: “dice che la Cina è socialista, presume che il socialismo sia la prima fase del comunismo, ed infine, sembra ritenere che la pianificazione centralizzata non possa mai aver successo, in quanto necessariamente inefficiente”. A suo parere, non Marx, ma Stalin introdusse la distinzione tra socialismo e comunismo, e giudica che la pianificazione socialdemocratica e quella stalinista sono entrambe destinate al fallimento.
    Lawler trova Ollman carente di dialettica, per esempio per il fatto di trascurare le cooperative come forma essenziale, a suo avviso, nella fase di transizione. Invece si complimenta con il suo interlocutore perché questi ammette il concetto di una transizione della durata di 4-5 decenni. A sua volta, Ollman rimprovera a Lawler la caricatura dell’inefficienza del Piano, di cui riconosce qualche successo in URSS, la fede in un mercato addomesticato, l’illusione di un sistema cooperativo che condurrebbe al comunismo, il il carattere di necessità del mercato socialista, e l’invocazione dell’autorità di Marx in proposito. Ma cerca pure punti di accordo9, punti che avvicinano Schweickart, Lawler ed Ollman soprattutto riguardo al concetto di un periodo intermedio postrivoluzionario, in cui si possano far coesistere piano e mercato, periodo più o meno lungo, più o meno armonico, ma per gli Autori auspicabile.

    Note

    1. Bertell Ollman (Ed.): Market Socialism, the debate among socialists.Routledge, New Yotk-London, 1998.
    2. Il bilancio che Ollman trae della Cina è misto di ammirazione per i risultati economici e “le condizioni materiali reali del popolo reale”e di ripudio del sistema politico.
    3. “È assurda l’affermazione secondo cui (…) un socialismo centralmente pianificato sarebbe impossibile. Il fatto stesso che l’URSS abbia edificato un’organizzazione economica che è durata per tre quarti di secolo, pur con la permanente ostilità internazionale e l’invasione tedesca, e che è riuscita ad industrializzare un immenso Paese semi-feudale, dando vitto, vestito, alloggio, educazione alla cittadinanza, e creando una struttura scientifica di livello mondiale, impedisce di parlare di impossibilità. Ma il contrario di impossibile non è ottimale”.
    4. Secondo Schweickart è un modello assai vicino al capitalismo, con cinque eccezioni: le azioni distribuite nell’insieme della popolazione possono venir scambiate ma non vendute; le banche sono nazionali; la direzione aziendale viene nominata da un Consiglio di Amministrazione formato da rappresentati delle banche, salariati ed azionisti; il governo ha un ruolo negli investimenti; le aziende capitalistiche classiche sono autorizzate, ma al di là di una certa soglia vengono immediatamente nazionalizzate.
    5. Engels, nei Principi del comunismo, sottolinea che molto tempo dovrà trascorrere perché i lavoratori diventino capaci di amministrarsi da soli: “L’esercizio comune della produzione non può essere attuato da uomini come quelli di oggi”.
    6. In seguito, Ticktin scrive che “Trockij non negò la possibilità di una soluzione di mercato. Ammise apertamente che poteva aver successo, ma sostenne che poteva rivelarsi antagonistica rispetto al socialismo”.
    7. Peraltro, nota che “Lenin e Trockij giustamente invocarono metodi capitalistici, compreso il taylorismo, per migliorare la produzione. Forme di controllo democratico esistettero fino a poco prima del 1920, e quelle che vi sopravvissero furono soppresse durante la NEP”.
    8. Ticktin ripudia “i paesi stalinisti dalla, Cina a Cuba passando per l’ex-URSS, che hanno poco in comune col socialismo. L’idea di edificare il socialismo in un solo paese, che è l’essenza dello stalinismo, è sempre stata utopistica”.
    9. Ollman cerca di formulare una piattaforma comune in due occasioni. Elenca principi marxisti quali: l’obiettivo del comunismo; il socialismo comre transizione, che comporterebbe elementi del capitalismo; la dittatura democratica del proletariato come forma politica di transizione… Schweickart scrive in merito che “sostenitori ed oppositori del mercato devono conservare un’apertura mentale ed ascoltarsi reciprocamente”.

    (Correspondances Internationales, n.4, 2002)

  4. #4
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow
    Bielorussia, Cina, Vietnam sono le economie più dinamiche del mondo. Di seguito posto una analisi dell'ex dissidente sovietico Roy Medevev sulla Bielorussia e un dibattito tra marxisti americani sul socialismo di mercato in Cina. Il socialismo di mercato è la formula magica che è stata adottata da questi tre paesi.
    forse perchè sfruttano i lavoratori?
    prova a fare lotte sindacali in cina

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da stuart mill
    forse perchè sfruttano i lavoratori?
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    Supermegaquoto

  6. #6
    Giu' la maschera!
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow
    Bielorussia, Cina, Vietnam sono le economie più dinamiche del mondo. Di seguito posto una analisi dell'ex dissidente sovietico Roy Medevev sulla Bielorussia e un dibattito tra marxisti americani sul socialismo di mercato in Cina. Il socialismo di mercato è la formula magica che è stata adottata da questi tre paesi.
    quindi sei d'accordo a mercati finanziari, liberalizzazione di flussi di capitale (inclusi quelli speculativi), liberalizzazione di commercio etc etc? (cio ke sta facendo la cina..)

    ps
    da dove trai i dati, le economie piu' competitive mi parevano Hong Kong, Singapore etc..ovvero economie stra di mercato..fonte WSJ/Heritage
    Mr. Hyde


  7. #7
    Saloth Sâr
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow
    Bielorussia, Cina, Vietnam sono le economie più dinamiche del mondo. Di seguito posto una analisi dell'ex dissidente sovietico Roy Medevev sulla Bielorussia e un dibattito tra marxisti americani sul socialismo di mercato in Cina. Il socialismo di mercato è la formula magica che è stata adottata da questi tre paesi.
    La Cina è un paese socialista !?

    Dai non scherziamo...

  8. #8
    capaneo
    Ospite

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    Gia': ti figuri le "lotte sindacali" in Cina (che è DECISAMENTE un Paese socialista, con buona pace di qualcuno dotato di notevolissima faccia come il c...)?
    Al confronto, i cannoni di Bava-Beccaris sarebbero aiuti umanitari...

    Inoltre, sarebbe onesto considerare (e perciò non lo pretendo da certi "sinistri") che dopo anni di fame e miserie, l'apertura, anche minima, all'economia globalizzata di mercato porti necessariamente a travolgenti crescite economiche.

  9. #9
    Hanno assassinato Calipari
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    Citazione Originariamente Scritto da Red Shadow
    Bielorussia, Cina, Vietnam sono le economie più dinamiche del mondo. Di seguito posto una analisi dell'ex dissidente sovietico Roy Medevev sulla Bielorussia e un dibattito tra marxisti americani sul socialismo di mercato in Cina. Il socialismo di mercato è la formula magica che è stata adottata da questi tre paesi.
    Perchè partono da più indietro e ora si sono aperti alla globalizzazione (anche se a modo loro)?

  10. #10
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    Citazione Originariamente Scritto da stuart mill
    forse perchè sfruttano i lavoratori?
    prova a fare lotte sindacali in cina
    1-La Cina è il paese più sindacalizzato del mondo.
    2-E' vero che i "liberisti-democratici" americani si oppongono all'ingresso, nelle loro aziende situate in territorio cinese, del sindacato in fabbrica, ma il segretario dei sindacati cinesi ha dichiarato che ciò viola la Costituzione cinese.
    3- Il governo cinese fornisce ogni anno le statistiche degli scioperanti: nel 2003 si sono contati 6O mila conflitti che hanno coinvolto 3 milioni di persone.
    4- Lo sciopero in Cina infatti è legale.
    5- Nel 2005 gli stipendi in Cina sono aumentati di più, in proporzione, che in qulasiasi altra parte del mondo.
    6- Secondo il Wall Street Journal un operaio della FIAT di Shangai ha un potere di acquisto pari se non superiore a quello di un dipendente diTorino.

 

 
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