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Risultati da 41 a 44 di 44

Discussione: 25 aprile, opinioni

  1. #41
    Assatanata, cogliona & indegna
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    Già cogliona ed oggi anche "indegna di essere italiana"!!!
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    Nessuno di destra osa ritenere che sia una festa da ONORARE???

    Più dell'anniversario della discesa in campo?

  2. #42
    Con Il Popolo Palestinese
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    Nel sondaggio un 39% ha detto che cerca di onorarla nonostante tutto...credo sia già abbastanza.

  3. #43
    Cuore Nero
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    è una festa che celebra il ricordo di una guerra fratricida tra italiani
    è la festa che ricorda la sconfitta nella II guerra mondiale che è stata la sconfitta dei valori e della civiltà dell'europa e dell'Italia.
    è la festa di una sinistra completamente funzionale ai poteri forti, una festa intollerante nei confronti di chi non si riconosce in certi "valori".

    il 24+1 Aprile non è la mia festa.

  4. #44
    Verrà un giorno...
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    "Sono io oppure sei tu la donna che ha lottato tanto perchè il brillare dei suoi occhi non lo scambiassero per pianto"
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    Rileggere la «Resistenza» per avere un'identità ed una memoria condivise



    Come tutti sanno il 25 aprile è il giorno della commemorazione della Resistenza, vale a dire della sconfitta del nazifascismo. Su questa stessa data è ancora in corso una sorta di contesa attorno al quesito se e fin quanto ad essa possa attagliarsi o meno il ruolo di «mito fondativo» della Repubblica. Può rammentarsi come in tale ricorrenza si festeggi l'anniversario della rivolta armata partigiana e popolare contro le truppe di occupazione naziste-tedesche e contro i loro fiancheggiatori fascisti della Repubblica sociale italiana di Salò. Va aggiunto, tuttavia, che la «liberazione» italiana dalla dittatura si realizzò in virtù del sacrificio di tanti eroi (fra cui anche molti giovani) facenti parte di un fronte molto eterogeneo, dai socialisti agli azionisti, passando per i militari monarchici sino ai cattolici. Conditio sine qua non della liberazione italiana fu proprio l'azione degli «alleati», ovvero degli anglo-americani in primis, senza il cui supporto sarebbe stato pressoché impossibile assestare un colpo definitivo al dominio hitleriano in Europa.

    Il nodo da districare è costituito dal ruolo ambivalente delle formazioni comuniste nella Resistenza, e dal loro intento di non traghettare l'Italia verso un regime democratico alleato agli Usa, ma di collocarla sotto l'ombrello del «socialismo reale» dell'allora Unione Sovietica. Va da sé che i gruppi portanti aventi il simbolo della «falce e martello» combatterono con decisione contro il nazifascismo; ma si dà il caso che, a differenza delle altre forze politiche democratiche, liberali, popolari e socialiste, la loro battaglia non volesse culminare con l'instaurazione della Repubblica pluripartitica, ma dovesse proseguire con il compimento e la realizzazione della rivoluzione proletaria. Altra questione non ancora definitivamente risolta è quella delle numerose prove che si hanno circa le vere e proprie rappresaglie operate dai marxisti - nel periodo concomitante e susseguente alla Resistenza - contro non solo i fascisti italiani, ma anche e soprattutto su molti civili inermi, dai preti a persone di particolare posizione sociale, passando per non pochi cattolici e democristiani fino a tutti quei partigiani di estrazione non comunista. Si calcola che ammonti a 15000 circa il numero di persone uccise ad opera dei regolamenti di conti e «vendette partigiane».

    Ciò premesso, va sottolineato come ciò che ancora va frapponendosi come ostacolo al far piena luce sulla nostra storia sia proprio il predominio di quella storiografia antifascista di marca marxista e post-marxista, emblema peraltro dell'egemonia in perfetto stile gramsciano esercitato dalla sinistra nei gangli della società italiana, ossia in molti luoghi di formazione del consenso (scuole, case editrici e mass media). A cagione di una tale egemonia il rischio è quello di avere una memoria monca sui fatti e misfatti di quel periodo. A titolo esemplificativo: non si è mai parlato abbastanza dei fenomeni resistenziali dei cattolici, liberali, socialisti, monarchici, così come dello stesso esercito regio a Cefalonia e del sacrificio dei militari internati nei lager; si occultato il fatto che la Resistenza sia consistita più nella lotta dei militari italiani ed anglo-americani che non, invece, negli scioperi sindacali ed operai del '43; si è sottaciuto il ruolo dei veri leader della resistenza, vale a dire del capo politico Alfredo Pizzoni (presidente del CLNAI) e del capo militare, il Generale Raffaele Cadorna (capo del Corpo volontari della libertà, affiancato da brigate partigiane di vario colore politico); sono caduti quasi completamente nell'oblio i 35000 militari italiani morti nei combattimenti contro i tedeschi, i 78000 morti nei lager nazisti ed i 600000 internati dissidenti con gli invasori; non si è sottolineato come la Resistenza italiana sia più simile a quella francese che non a quella spagnola e tantomeno a quella jugoslava; da ultimo non è stato riconosciuto il sacrificio di chi, anche non in mala fede, appoggiò e combattè nelle fila dei repubblichini di Salò.

    Sulla scorta di ciò, gli intellettuali «liberi» e non allineati alla storiografia sinistrorsa dagli ultimi lustri fino ai nostri giorni sono stati non poco bersagliati e bollati con l'etichetta in senso dispregiativo di revisionisti, quando non addirittura di neo-fascisti: emblematica è la «censura» subìta dallo storico Renzo De Felice. In molti circoli accademici ufficiali e che contano non sono debitamente prese in considerazione le interessanti tesi di studiosi come Nolte, Pipes e Furet (solo per citarne alcuni). Importante è ricordare, per far fronte all'egemonia della storia politicamente corretta ed orientata a sinistra, le opere di «coraggiosi» scrittori come, fra gli altri, Giampaolo Pansa (Il sangue dei vinti. Quello che accadde in Italia dopo il 25 aprile), Ugo Finetti (La resistenza cancellata), Luciano Garibaldi (I giusti del 25 aprile. Chi uccise i partigiani eroi?) e Roberto Beretta (Storia dei preti uccisi dai partigiani).

    In buona sostanza, è da sostenere con vigore la tesi della impossibilità di fondare l'identità di una nazione «in negativo»: l'antifascismo non è sufficiente per dare solide basi alla nostra Repubblica italiana. Occorre, contestualmente, elaborare soprattutto a livello di cultura politica, il superamento di quell'ormai anacronistica «liturgia resistenziale» e «mistica antifascista». Va superato, in altri termini, l'approccio tipico delle correnti del materialismo storico-dialettico che interpretano la storia del Novecento alla stregua di lotta fra il capitalismo reazionario ed il movimento operaio, ossia tra i borghesi fascisti ed i democratici collettivisti e proletari.

    Alle soglie del Duemila e del XXI secolo, è necessario dare impulso ad un approccio storico-culturale ad un tempo anti-fascista ed anti-comunista, in modo tale da porre a fondamento della nostra democrazia i valori liberali, popolari, nazionali, cattolici e social-riformisti. Bisogna, in conclusione, fondare un'identità e memoria condivise nel segno dell'autentica democrazia e libertà, e poi festeggiare l'anniversario della nostra Repubblica alla luce di tali principi.
    Mario Secomandi

 

 
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