Il pensiero antiglobale da Spengler, Jünger, Evola a De Benoist passando per la DR di Andrea Colombo (Libero)
Noglobal? Destra Radicale!
Secondo la vulgata corrente i no global sarebbero i figli degli
hippie, del '68, degli indiani metropolitani. Ma sarà proprio così? O,
piuttosto, le loro idee andrebbero ricercate nei meandri della destra
estrema? In realtà molte tematiche anti-mondialiste oggi sbandierate dai
pacifisti erano già patrimonio comune dei variegati fascismi europei degli
anni '30. Guru come Julius Evola, Oswald Spengler ed Ernst Jünger, nei loro
tomi sul tramonto dell'Occidente e l'avvento dell'uomo nuovo in camicia
nera, anticipavano molti temi della sinistra antagonista di oggi. E non
solo. Gli "impresentabili" a destra di An, come Roberto Fiore e Adriano
Tilgher di Alternativa sociale, sono i figli diretti di questa cultura.
Sarebbe proprio il caso di dire: sono loro i veri no global. A scavare nelle
origini del mondo antagonista ci ha pensato Marco Fraquelli con "A destra di
Porto Alegre" (Rubbettino editore). Leggendo questo saggio scopriamo che i
Protocolli dei Savi Anziani di Sion vanno considerati il primo testo no
global della storia. Scritti dalla polizia segreta zarista alla fine
dell'800
per giustificare i pogrom, sono diventati un classico dell'antisemitismo di
tutti i tempi (tanto da godere attualmente di molta notorietà nel mondo
islamico). I Protocolli, fra le letture predilette di Adolf Hitler,
propugnano l'idea che i banchieri ebrei stiano per conquistare il mondo,
utilizzando strumenti come le metropolitane, l'alcol, la distruzione della
morale, la scristianizzazione. È quello che a destra chiamano "mondialismo".
I black block, mentre sfasciano i bancomat o assaltano i McDonald's,
preferiscono parlare, appunto, di globalizzazione. Poi c'è il nobile polacco
Emmanuel Malynsky. Le sue opere sono tradotte dalla casa editrice Ar di
Franco Freda: oltre ad esaltare il feudalesimo medievale, questo scrittore
cattolico ultrareazionario, mette nello stesso calderone ebrei, massoni,
capitalisti e comunisti. Le forze del caos, secondo il conte, tramano
nell'ombra
e conducono una "guerra occulta", unite per imporre la scristianizzazione ai
popoli cristiani. Per Fraquelli il passaggio dal complottismo anti-ebraico
al concetto di mondialismo avviene a cavallo fra gli anni '70 e '80. In
questo periodo è ormai quasi impossibile distinguere le argomentazioni della
destra radicale da quelle dei pensatori no global come Toni Negri. Come
scrive uno dei fondatori, insieme a Fiore, di "Terza Posizione", Gabriele
Adinolfi: «Ad agire è un intero sistema le cui élite che non corrispondono
alle classi dirigenti democraticamente elette». Tu chiamalo, se vuoi, Wto,
Banca mondiale, Fmi, Ue, Comitato olimpico... Sventola una bandiera
arcobaleno o un bel cartellone no-tav e voilà. Il gioco è fatto. È ancora
Adinolfi a dettare la "linea" nel suo libro intitolato, significativamente,
"Nuovo ordine mondiale": «Con globalizzazione s'intende significare
l'omologazione
tecnologica, economica e culturale del pianeta. Il mondialismo dal canto suo
è soprattutto una cosa: bramosia di uniformità. Esso esalta e incoraggia la
distruzione delle differenze; ciò non solo in ambito socioculturale e
politico ma del quotidiano, in tutti i campi, dalla sfera intellettuale a
quella alimentare... La globalizzazione è essenzialmente l'espansione del
sistema americano a gestione multinazionale». L'avversario è indicato
chiaramente: ed è il materialismo commerciale yankee, ben più delle Armate
Rosse. D'altronde anche Alain de Benoist, il fondatore della cosiddetta
Nuova destra, già nel 1983 aveva individuato "Il nemico principale" (come
s'intitola
un suo best seller stampato dalla Roccia di Erec): non era l'Unione
Sovietica, ma "l'impero a stelle e strisce", gli Usa appunto. Persino il
vitalismo anarchico e disincantato di Corto Maltese, l'eroe disegnato da
Hugo Pratt, accomuna il sentimento dei giovani "antagonisti" a quello di chi
sceglie la "rivoluzione conservatrice". Nella destra radicale si può
rintracciare inoltre anche quella passione per l'Islam, per la "resistenza"
dei popoli arabi, per il terzomondismo che contraddistingue gran parte della
retorica pacifista odierna. Un personaggio, legato alla stagione delle
violenze di piazza negli anni '70, e ora deus ex machina della rivista Orion
e della casa editrice Barbarossa, Maurizio Murelli, non a caso scrive: «Se è
vero che l'Iran è la totale negazione degli attuali valori occidentali, del
mondo pseudo-libero, ebbene ogni vero uomo non può che essere a fianco dei
pasdaran». Ma i redattori di Orion vanno anche oltre. Votano per
Rifondazione comunista (???!!!??? Dove l'ha letto?) e non disdegnano di
elogiare Mao (?) e il Che (Questa è vera). E non si tratta di confondere le
acque, sotto le direttive di loschi servizi segreti deviati. Loro ci credono
davvero. Nazismo e comunismo, dicono, sono accomunati dalla stessa
avversione al "disegno mondialista". Orion è anche disposto a buttare a mare
un classico del pensiero di destra, il razzismo, pur di portare avanti la
battaglia anti-mondialista: «Siamo favorevoli allo Stato multirazziale»,
scrivono infatti. I no global possono trovare nel saggio di Fraquelli un bel
po' di materiale per riflettere. Forse, domani, eviteranno di organizzare
l'ennesima
manifestazione anti-fascista, visto che la loro matrice culturale è così
simile a quella delle camicie nere.