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  1. #1
    nafplio,golfo di nauplia
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    Predefinito ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    allora è proprio cme ho smepre pensato, la mafia, , la camorra, la ndrangheta, sono quattro sbruffoncelli , che le forze dell'ordine conoscono bene, ma che per un motivo o per l'altro, no sono in grado di arrestare e di bloccare; e il motivo per cui non sono in grado di arrestare questi sbrufofncelli , è che mancano le leggi efficaci e che diano maggiori poteri ai magistrati;mancando queste leggi efficaci, questi quattro sbruffoncelli, si allargano sempre di più e diventano sempre più spavaldi, dal momento che nessuno gli và a fermare ; rest sempre più sconcertato dal fatto che tuti sappiano chi sono e cosa fanno i vari pesce, bellocco ecc. ecc., lo saano anche i magistrati e le forze dell'ordine , a volte sanno pure dove abitano, ma non c'è nessuna legge che gli permetta di di andargli a prednere uno per uno, di bloccare tutti i componenti della famiglia , metterli sotto stretta sorveglianza, o metterli anche in galera per alcuni periodi , quando avvengono fatti criminali e ci sono forti indizi o sospetti; poi, laprima cosa da fare, sarebbe controllare se queste famiglie o loro prestanome vicini, hanno delle proprietà, proprietà immobiliari o di attività varie, si và a vedere se c'è una giustificazione legale a tali proprietà, e magari anche piuttosto consistente, se manca tale giustificazione, si deve confiscare immediatamente a titolo definitivo ,s enza posisbilità d'appello e li si deve sbattere subito in carcere con pene pesanti ,di almeno dieci anni ;
    ma come è possibile che tutti conoscano le malefatte di quela o di quell'altra famiglia, e questi continuano a circolare liberamente, a fare liberamente affari di ogni genere, gestire attività , imprese , addirittura muoversi liberamente per il paese o all'estero e addirittura, trasferirsi in altre citttà ad esmepio al nord,senza che nessuno li fermi ? ma ocme è possibile una roba del genere? ma stiamo scherzando? quando qualcuna di queste famiglie diventa un pò troppo chiacchierata e conosciuta come mafiosa, immediatamente si deve ritirare il passaporto a tutti membri, impedirgli di ucire dla paese , impedirgli di uscire dalla propria città e andare a controllare tutte le proprietà che hanno e procedere alla confisca immediata nel caso manchi la giustificazione legale alla proprietà; non devono più respirare; questi devono avere il terrore di diventare famosi e conosciuti ; come è evidente, mancano proprio le leggi e questo per volontà dei politici in parte criminali e mafiosi

  2. #2
    nafplio,golfo di nauplia
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    Scacco matto alla 'ndragheta
    Bellocco tramava da Granarolo
    Il capoclan che due anni fa si è trasferito in Emilia dirigeva le operazioni della sua 'ndrina nei giorni degli scontri a Rosarno
    di Carlo Gulotta

    Carmelo BelloccoIl ragazzotto che faceva il capopopolo nella rivolta contro gli immigrati a Rosarno non è un "figlio di nessuno" e ha un nome importante: Antonio Bellocco, 30 anni, è il nipote di Carmelo, potente capoclan della "ndrina" calabrese che fa soldi con la droga e le estorsioni e che l´anno passato s´era trasferito con moglie e figli a Granarolo, nel ventre della ricca Emilia. Un capoclan a Bologna, ufficialmente in prova ai servizi sociali, al lavoro in un´azienda ortofrutticola di un parente.

    Un "Signore delle ndrine" che mentre era in prova ai servizi sociali dopo un arresto per droga, da Bologna curava gli affari di famiglia in Calabria, aveva una calibro 38 in casa e stava organizzando una risposta armata a un clan rivale che aveva osato sfidarlo sotto il suo tetto. L´indagine della Mobile di Bologna e della Procura di Reggio Calabria, che ha arrestato 14 persone per associazione a delinquere di stampo mafioso, rivela ancora una volta la capacità di penetrazione della ndrangheta nel tessuto economico del norditalia e la sua vocazione ad eliminare i rivali.

    Ma il lavoro degli uomini del dirigente Fabio Bernardi getta anche una luce diversa sulla "rivolta" di Rosarno: l´arresto del giovane Antonio, nei giorni scorsi durante i disordini in Calabria, suggerisce che la ndrangheta probabilmente quei disordini li ha "gestiti". Forse perché la manodopera dei clandestini non serviva più. E´ la stessa logica "di guerra" che la famiglia Bellocco stava cercando di mettere in campo nello scorso giugno, quando a Granarolo finirono in carcere Carmelo, la moglie Maria Teresa D´Agostino, i figli Umberto e Domenico, un nipote e il fratello. Cercavano forse un´altra Duisburg, i sei morti nella pizzeria "Da Bruno" nel Ferragosto 2007 per una guerra fra clan.

    Allora c´era da rispondere all´affronto di alcuni uomini del clan rivale degli Amato, che avevano avuto l´ardire di venire a parlare proprio con Carmelo, da Reggio Emilia al mercato ortofrutticolo del Caab, buttando lì una fase sibillina. «Ci devi due vite, siamo venuti a riprenderle». Il riferimento è a due "soldati" degli Amato scomparsi vent´anni prima. Da Bologna, il vecchio Carmelo ha continuato a gestire gli affari del clan ben nascosto sotto l´etichetta dell´affidamento ai servizi sociali. Ma le intercettazioni scoprirono che nella casa di Granarolo s´era tenuto un consiglio di guerra per vendicare l´offesa. «Rosarno è nostra - ha "spiato" una cimice in casa - A questo punto ce la vediamo noi, siamo capaci di intapparne (fare violenza fino all´omicidio, ndr.) cento al giorno». «Rosarno è nostra». Pare di ascoltare le parole del giovane Antonio Bellocco, filmato dalle tv a Rosarno mentre si scaglia contro un immigrato e aggredisce i carabinieri. (13 gennaio 2010)


    ecco qua cosa avviene tranquillamente in italia, questi sono noti criminali e mafiosi e in tutta tranquillità, se ne possono andare dal loro paesino o città e possono andare a vivere in altre città , in cui andare ad allargare i propri traffici e interessi criminali; tutto tranquillamente sotto gli occhi dei cittadini , dei magistrati e delle forze del'ordine, e non oslo pososno cambiare il paese ,la città in cui vivere ma addirittura la provincia e addirittura spostarsi aal nord a centinaia di kiilometri di distanza;
    ma qui stiamo veramente scherzando; questa spazzatura, non deve più potersi muovere dal loro paesino o città per prima cosa; nessuno della loro famiglia deve più potere andare ad abitare in altre province e quando si voglion spostare , devono chiedere il permesso alle autorità; ma stiamo veramente scherzando in questo paese del cavolo; tutti quelli che appartengono a famiglie note come mafiose e che vivono fuori dalla loro città e provincia e in particolare al nord, vanno immediatamente presi, e rispediti a casa loro e quando si vogliono spostare anche solo pe ru giorno,d eovno chiedere permesso; intanto iniziamo da qui ;
    pericolosi boss della ndrangheta, ma và a cagher

  3. #3
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    Ci vogliono leggi che permettono l'arresto di tutti i boss mafiosi, senza obbligo di requisiti.
    E soprattuto lavoro, e protezione da parte dello Stato.
    Ultima modifica di Jared; 13-01-10 alle 23:26

  4. #4
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    31/1/2010 (71) - ANNO GIUDIZIARIO - OMBRE E LUCI

    Il procuratore: "La 'ndrangheta è ormai ovunque"

    L'allarme del procuratore Pignatone al presidente Schifani
    GUIDO RUOTOLO
    INVIATO A REGGIO CALABRIA

    «Se non si fanno le riforme, l’Italia dall’essere culla rischia di diventare bara del diritto». Che sapore sinistro ha quella frase che rimbomba nell’Aula dove si sta svolgendo l’inaugurazione dell’anno giudiziario, scandita dal presidente della Corte d’appello di Reggio Calabria, Luigi Gueli.

    Si respira un’aria pesante attorno al capezzale. Il moribondo è la giustizia, che è in coma ormai da almeno un ventennio. Organici ridotti, poche risorse, un sistema «giustizia» che fa acqua da tutte le parti, leggi e riforme che spaccano politica e magistratura. E chi ne fa le spese sono i cittadini, vittime della malagiustizia, dei suoi tempi biblici. Ma qui, a Reggio Calabria, la giustizia è anche sotto attacco della ‘ndrangheta. O meglio deve fare i conti con la criminalità organizzata, neutralizzarla perché in gioco è la convivenza civile e democratica.

    La situazione è davvero critica se il procuratore di Reggio, Giuseppe Pignatone, abbandona la sua cautela e lancia l’allarme: «La ‘ndrangheta è sempre più potente, ricca e pericolosa. Nell’ultimo decennio ha consolidato un’opera di condizionamento degli enti e delle aziende pubbliche e il controllo delle pubbliche assemblee». Insomma, in questo gennaio di riflessione sulla potenza militare della ‘ndrangheta e sulle sue iniziative di sfida alla Stato, il procuratore Pignatone corregge il tiro, invitando a guardare nell’«area grigia» delle collusioni con «esponenti della politica, dell’imprenditoria, delle istituzioni, delle professioni con legami massonici». E ancora, per non essere frainteso: «La ‘ndrangheta che si sta sempre di più internazionalizzando, contemporaneamente sta portando avanti sul territorio originario il devastante condizionamento delle principali strutture pubbliche con particolare riguardo ai comparti della sanità, delle opere pubbliche, del commercio e del credito privato».

    C’è anche il presidente del Senato, Renato Schifani, in Aula. Ed è per questo, per il rispetto istituzionale nei confronti della seconda carica dello Stato, che il grappolo di toghe nere presenti tra il pubblico ha deciso di non uscire quando prende la parola il rappresentante del governo. Apprezza Schifani, quando a nome dell’Anm Rodolfo Palermo lo ringrazia per la sua presenza. E ricambia: «Mi sforzo quotidianamente di richiamare tutte le parti alla politica dell’ascolto». I magistrati, però, sono solidali con le ragioni delle proteste dei loro colleghi che sono usciti dalle aule dei Tribunali quando hanno preso la parola i rappresentanti del governo.

    «In questo clima politico tra escort e trans, caratterizzato da un cupio dissolvi - insiste il presidente della Corte d’appello Gueli - la riforma è desiderata solo sulla carta». Parla di «intollerabilità della situazione istituzionale generale», e accende i riflettori sulla bestia nera che è la ‘ndrangheta, che è «braccata» dalle forze di polizia. Però la «vittoria» dello Stato non è ancora «all’orizzonte». Se il procuratore generale Di Landro parla di «strategia della tensione mirata», di «obiettivi» non scelti a caso (l’attentato alla procura generale e la lettera minatoria al pm Lombardo), il presidente della Corte d’appello non si sbilancia: «Non so qual è la vera ed effettiva motivazione che ha indotto la ‘ndrangheta ad alzare il tiro, compiendo il primo attentato, nella sua storia, contro un ufficio giudiziario del distretto».

    Lo stato dell’arte della giustizia amministrata sulla punta dello Stivale è un quadro desolante. Organici insufficienti. La procura, per esempio, dovrebbe avere 24 sostituti, ne ha 19. Eppure, ricorda il procuratore Pignatone, il suo ufficio ha 13.860 indagati per mafia e 14.044 per reati legati alla droga. E le misure patrimoniali, i sequestri e le confische dei beni, la nuova frontiera per mettere all’angolo la mafia: 17 proposte di misure patrimoniali per un totale di 235 beni da sottoporre a sequestro e confisca. I dati non sono negativi come pure i risultati della caccia ai latitanti fanno ben sperare: 48 nel 2009, tra questi i Giuseppe De Stefano, gli Antonio Pelle e i Pietro Criaco. Sono nove quelli che facevano parte della lista dei 30 latitanti più pericolosi.

    La 'ndrangheta e l’attacco alle istituzioni. E’ passato quasi un mese, ormai, dalla bomba alla procura generale. Con l'inizio di febbraio, magari lo Stato potrebbe passare al contrattacco.

    Il procuratore: "La 'ndrangheta è ormai ovunque" - LASTAMPA.it

    Calabria = 'ndrangheta

    Uccidere i mafiosi non è reato.
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

  5. #5
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    Invece stanno facendo leggi che mandano liberi i delinquenti se entro due anni la scassatissima macchina della giustizia non li condanna, che impediscono alla polizia di fare intercettazioni se non si è sicuri che siano mafiosi (ma se non li intercetti come fai a saperlo prima?) che impediscano ai giornali di pubblicare fatti che riguardano processi in corso, perché non si deve sapere.
    La ndangheta è più debole quando agisce fuori dalla calabria, perchè non è protetta dall'omertà.
    Guardati intorno. Tutte queste macerie sono il risultato di 8 anni di PDL e di 2 di PD al governo. Il porcellum gli garantisce il posto a vita. Mandiamoli a casa! Vota chiunque ma non questi porci.

  6. #6
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    Di fatto governo e mafie hanno lo stesso nemico: le procure. Se lo stato desse più fondi e risorse alle procure, i processi alla fininvest non si potrebbero concludere in prescrizioni.
    Guardati intorno. Tutte queste macerie sono il risultato di 8 anni di PDL e di 2 di PD al governo. Il porcellum gli garantisce il posto a vita. Mandiamoli a casa! Vota chiunque ma non questi porci.

  7. #7
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    Ma non l'avete ancora capita? Sono funzionali al sistema, fanno il lavoro sporco che le "facce pulite" istituzioni e holding non possono fare direttamente. Li arrestano a giro, quando un gruppo alza troppo la cresta lo arrestano e danno l'appalto delle porcherie a un altro.
    E i "pentiti" sono dei delatori imbeccati dai giudici. Il sistema funziona così da migliaia di anni e ancora c'è qualcuno che non l'ha capito!

  8. #8
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    Operazioni dei corpi speciali sotto copertura.
    Omicidio sistematico e mirato.
    Iniziando dai fiancheggiatori.
    Figliolo, lei è un asino...
    (D.Pastorelli, cit.)


  9. #9
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    Predefinito Rif: ma allora la ndrangheta sono questi quattro sbruffoncelli

    1/2/2010 (8:22) - OPERAZIONE DELLA POLIZIA

    Preso a Roma il baby-boss di Rosarno

    Domenico Bellocco arrestato a Roma:
    «"Tradito" dall'amore per la Juventus»

    ROMA

    Lo ha tradito il suo amore per la Juventus. È andato a cena in un ristorante di Roma a vedere in tv la partita della sua squadra del cuore e proprio lì è stato bloccato dagli agenti della squadra mobile di Reggio Calabria che da quasi un anno gli davano la caccia. È finita così la latitanza di Domenico Bellocco, di 33 anni, boss emergente dell’omonima cosca di Rosarno, conosciuto come "Micu u longu", ricercato per una condanna definitiva a sei anni e quattro mesi di reclusione per detenzione e commercio di droga e per essere sfuggito all’operazione contro gli affiliati al suo clan denominata "Rosarno è nostra" del 12 gennaio scorso.

    Domenico Bellocco, figlio di Giuseppe e nipote di Carmelo, entrambi in carcere per scontare l’ergastolo, era un emergente all’interno della cosca della quale stava prendendo in mano le redini. Da alcuni mesi si era trasferito a Roma. Un luogo più sicuro per condurre i tanti affari del clan: dal traffico degli stupefacenti e delle armi, alle estorsioni e all’usura, ma soprattutto le infiltrazioni nelle attività del porto di Gioia Tauro. L’attività sicuramente più redditizia. A Roma Bellocco sperava di tenersi fuori dalla mischia. Di sfuggire, cioè, alle manette, ma anche a eventuali problemi con quelli che sono stati gli alleati di una vita, i Pesce, con i quali, ultimamente, i rapporti si erano deteriorati. Una situazione ritenuta non più tollerabile dai boss detenuti, tanto che padre e zio avevano incaricato il rampollo di famiglia di incontrare i capi dei Pesce per chiarire eventuali dissapori.

    La sua presenza nella Capitale, però, non è sfuggita agli investigatori della squadra mobile reggina guidati da Renato Cortese che ne hanno seguito le mosse grazie a intercettazioni e pedinamenti, sino a quando non hanno avuto la certezza che il boss emergente dei Bellocco si trovava nel ristorante "La tana dell’Orso", in via Boccea, alla periferia nord di Roma, e sono entrati in azione. Il latitante ha provato a fuggire, ma senza riuscirci. Il fratello di Domenico Bellocco, Antonio, era stato arrestato nelle scorse settimane per avere tentato di aggredire un immigrato e alcuni carabinieri durante gli incidenti di Rosarno tra extracomunitari e alcuni abitanti del paese. Dopo pochi giorni gli è stata notificata anche un’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione «Rosarno è nostra», la stessa alla quale era riuscito a sfuggire Domenico.

    Preso a Roma il baby-boss di Rosarno - LASTAMPA.it

    BRUCIATELO
    Ultima modifica di Eridano; 03-02-10 alle 10:04
    Rubano, massacrano, rapinano e, con falso nome, lo chiamano impero; infine, dove fanno il deserto dicono che è la pace.
    Tacito, Agricola, 30/32.

 

 

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