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Discussione: MARX 3 fine

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    Predefinito MARX 3 fine

    OMNIA SUNT COMMUNIA

    Lo spettro dell'era globale


    Ciò che resta di Marx. Ultima tappa di un viaggio nel marxismo italiano
    La sconfitta della classe operaia nel Novecento si sta trasformando nella sua scomparsa politica, nonostante in Cina, India e Corea aumentino il numero di operai. Ma per Mario Tronti la riflessione marxista continua ad essere indispensabile per restare in piedi in un'epoca tragica, sospesa tra la necessità di una rivoluzione e l'impossibilità di vederne una all'orizzonte.
    Il dialogo a distanza tra l'opera del filosofo di Treviri e gli studi postcoloniali. Uno strumento per orientare la bussola nello sviluppo di un capitalismo mondiale e nella riflessione sui movimenti globali, espresioni di singolarità che accettano di cooperare ma non di essere ridotte a sintesi unilaterali. Mentre alcuni filosofi vedono nell'incontro tra Marx e Foucault l'origine di una «nuova politica»

    ROBERTO CICCARELLI

    Subito dopo la firma per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, in un'intervista concessa al quotidiano La Repubblica, il filosofo italiano Mario Tronti ha sostenuto che, se nel Novecento la classe operaia è stata sconfitta, ora è in via di esaurimento. Ed è da questa tesi sulla scomparsa del soggetto che doveva rovesciare il mondo che inizia la sua riflessione su ciò che resta di Marx. «Dal punto di vista quantitativo, in Cina, in India o in Corea, non si può dire che questo declino esista. Ma secondo me questa constatazione non basta - afferma l'autore di Operai e Capitale e de La politica al tramonto, entrambi pubblicati da Einaudi il primo nel '66 e nel '98 il secondo -. Nel senso che la crescita della classe operaia non si può misurare quantitativamente. Non basta la sua concentrazione in alcuni luoghi per farne un elemento soggettivo di antagonismo. Per me la nozione di classe diventa un fatto politico quando passa ad un livello di coscienza di classe e poi quando questa coscienza si esprime in una forma organizzata. Se non esistono questi passaggi la quantità delle figure operaie non fa il salto verso la qualità. In Occidente il passaggio dalla centralità alla marginalità operaia è evidente anche dal punto di vista empirico. In Oriente questo elemento quantitativo, almeno ad oggi, non mostra di passare alla qualità». Un passaggio che, a parere di Tronti, è maturato nella storia politica del Novecento, il secolo grande e terribile che ci ha lasciato una piccola storia, quella del riformismo. «C'è un limite nella figura operaia che non ha permesso al movimento operaio di emergere come soggetto alternativo, antagonista, capace di sostituire il capitale nella gestione della società - argomenta -. Mentre la figura del capitalista era radicata su una tradizione lunga di classe egemone dotata degli strumenti culturali per capire il mondo e capace di gestire la società e di dotarsi di una cultura, che nasce dal XVI secolo, e produce scienza, arte, tecnica. La figura operaia non ha avuto dietro di sé questa genesi, è un prodotto che nasce nella rivoluzione industriale del Settecento e ha mantenuto una lunga storia di classe subalterna». La mitologia dell'uomo nuovo Né Marx, né il marxismo, hanno quindi sviluppato un'antropologia politica «operaia» come invece hanno fatto le grandi filosofie del XIX e XX secolo per quella «borghese». «L'"uomo nuovo" che si voleva costruire nel socialismo - continua Tronti - non era credibile perché non veniva da una precedente analisi scientifica della figura operaia. Tanto è vero che il lavoro è stato equivocato all'interno di una mitologia positiva. Purtroppo non è stata elaborata una mitologia negativa. Quando nella stagione operaista abbiamo iniziato a parlare del rifiuto del lavoro, della lotta dell'operaio contro il lavoro oltre che contro il capitale - aggiunge Tronti - noi avevamo capito che il suo vero nemico era proprio il lavoro». L'odio del lavoro salariato poteva essere quindi la carta vincente della forma organizzata della classe operaia, ma il movimento operaio non l'ha capito. «Questa incomprensione prosegue anche oggi in cui la figura operaia sparisce di fronte al processo automatizzato della produzione capitalistica ». La durezza del bilancio trontiano non impartisce tuttavia a Marx una condanna definitiva. Al contrario, quello di Marx «è l'unico pensiero che ci permette di rimanere dritti nella corrente di un'epoca che si preannuncia tragica - sostiene Tronti -. Sospesa tra la necessità di tornare a pensare la rivoluzione e l'impossibilità di vederne una all'orizzonte ». Marx è quella grande forza soggettiva che «affronta la forza oggettiva della produzione, della circolazione, dello scambio e del consumo del capitale». Oggi che i confini tra oriente e occidente sono sempre più sfumati e il mondo capitalistico ha ormai assunto una dimensione globale, in che modo si ricostituisce quella forza soggettiva? E su quali basi antropologiche? E Marx può essere utile per orientare la bussola per comprendere lo sviluppo della società capitalista? Lo abbiamo domandato a Sandro Mezzadra, docente di Storia del pensiero politico contemporaneo e Studi coloniali e postcoloniali all'Università di Bologna e direttore della rivista «Studi culturali» pubblicata da Il Mulino. «Il riferimento marxiano al mercato mondiale come orizzonte strutturale del modo di produzione capitalistico è essenziale per la definizione del campo degli studi postcoloniali, indipendentemente dalle critiche che sono state rivolte al modo in cui Marx intende la dimensione globale del capitale. Questo non significa che c'è un'adesione acritica al marxismo. Ad esempio, molti autori postcoloniali hanno criticato lo storicismo di Marx presente nei suoi scritti giovanili sul colonialismo inglese in India. Quello che mi sembra significativo, e meno occasionale, è però il tentativo di riprendere la visione globale marxiana mettendo in evidenza che la dimensione globale del capitalismo sin dalle origini è fortemente segnata da caratteri di eterogeneità. Uno dei temi fondamentali che ritorna in questo dialogo a distanza tra studi postcoloniali e opera marxiana è il tema della transizione. Nei subaltern studies indiani, come ad esempio quelli di Gayatri Spivak e Dipesh Chakrabarti, la transizione è studiata come elemento strutturale del modo di produzione capitalistico. In questa analisi emerge l'idea che la transizione è un "fenomeno" destinato a ripetersi ogni giorno». Insorgenze eterogenee Sulla transizione si sono incrociate le penne di almeno due generazioni di studiosi di Marx, dando vita a discussioni e a conflitti che ancora oggi trovano eco su molta pubblicisticamarxista. Conflitti che non tornano invece nel ragionamento di Mezzadra. «Per me - afferma lo studioso - il problema centrale nella transizione è il confronto e scontro tra omogeneità del tempo e dello spazio del capitale e l'eterogeneità delle relazioni sociali che il capitale sussume». Un confronto/scontro che si ripropone continuamente nel funzionamento quotidiano del capitalismo: un'acquisizione critica della riflessione marxiana che gli studi postcoloniali ci invitano a proiettare sull'analisi del capitalismo globale contemporaneo. Si potrebbe dire che i postcolonial studies, i subaltern studies e i cultural studies sono i luoghi dove Marx è una bussola per orientarsi nel mondo. Anzi, paradossalmente sono i luoghi che hanno innovato e continuano ad innovare la riflessione marxiana sul presente. «Per quanto riguarda il presente - continua Mezzadra - va detto con chiarezza che i movimenti globali presentano una composizione segnata da elementi di eterogeneità ». Per Mezzadra, le lotte contadine, operaie, delle popolazioni «tribali», dei senza casta, lotte estremamente radicali portate avanti da donne e femministe in India, come in tutto il Sud est asiatico, dove si è registrato negli ultimi decenni un impetuoso sviluppo capitalistico, sono la rappresentazione di questa eterogeneità: «Tracciare una mappa delle lotte sociali più significative della realtà indiana ci pone di fronte a una pluralità di insorgenze parziali che mette in discussione ogni possibilità di ricomposizione attorno ad una centralità sociale e politica: è un bel rompicapo per il pensiero critico, ma anche una sfida che occorre raccogliere. In questo senso il concetto di moltitudine, inteso come insieme di singolarità che rifiutano di annullarsi nel processo di costituzione del collettivo, può tornare utile per comprendere e articolare politicamente l'eterogeneità di queste lotte. Il rapporto tra queste singolarità, che acquistano la propria connotazione politica nella contingenza della loro collocazione sociale parziale e tuttavia comune, può essere riassunto col concetto marxiano che io trovo straordinariamente attuale: l'"individuo empiricamente universale"». A dispetto dell'estensione quantitativa della classe operaia, in quei paesi dove il Pil svetta e la ricchezza prodotta segue il ritmo ascendente dei bilanci delle multinazionali, oggi non è in formazione una classe operaia fordista egemone. Se Tronti vede in questo frangente la possibilità di un ritorno del conflitto tra le potenze a livello globale, proprio come accadeva in Europa tra il XIX e il XX secolo, Mezzadra si concentra invece sull'eterogeneità sociale in movimento nei paesi del capitalismo globale. Entrambi però sostengono che - dagli anni Sessanta - c'è stato un cambiamento che può essere interpretato come il passaggio dall'omogeneità della forza lavoro, fondata sull'identità comunitaria di classe e sull'organizzazione fordista della produzione, all'eterogeneità di una soggettività non più ancorata ai percorsi tradizionali dell'identificazione sociale (la famiglia «naturale», l'identità sessuale ad esempio); della singola appartenenza culturale o religiosa (il cristianesimo, l'occidente) o della centralità di un unico soggetto sociale (la classe operaia). «È in questi anni - afferma Roberto Nigro, docente di filosofia al Philosophy and European Cultural Studies Department dell'Università americana di Parigi e autore di ricerche su Foucault, Marx e Nietzsche - soprattutto negli Stati Uniti che le lotte sociali vanno in direzione della soggettività di genere, ma anche della vita degli individui. Uno sviluppo prevedibile in una società in cui è forte lo spirito individualista. Questo nuovo approccio alla soggettività ha acquistato una dignità accademica negli anni Ottanta con lo sviluppo dei gender studies che coniugavano lo studio del pensiero di Michel Foucault con le rivendicazioni della comunità gay negli Stati Uniti. Oggi possiamo dire che le lotte per la soggettività hanno soppiantato il vecchio soggetto umanista ed operaio della tradizione marxista, allargando la politica alle pretese di una maggiore cultura dell'individuazione ». L'incontro con Foucault È proprio dall'incontro-scontro tra Foucault e Marx che negli Stati Uniti e, di rimando in Europa, si è diffusa l'idea che la «nuova politica » è quella della «soggettività». Ci sono interpreti estremamente rilevanti, e radicali, come ad esempio la femminista americana Judith Butler, che hanno colto alla perfezione l'importanza di questo incontro. «Foucault - continua Nigro - compie un'operazione estremamente chiara. Rifiuta le forme del marxismo umanista; critica quel sapere che definisce "freudo-marxista"; condanna un certo gauchisme. È sufficiente per dire che Foucault sia antimarxista? Probabilmente sì. Ma la risposta è del tutto insufficiente e non coglie il problema». Foucault non cessa, in realtà, di lavorare intorno a questioni che costituiscono il cuore del marxismo. «Foucault critica l'inefficacia delle pratiche di lotta, scopre e verifica nuove forme dell'insorgenza rivoluzionaria. La sua critica antimarxista si riconnette, quindi, ad alcuni degli aspetti più rivoluzionari della teoria marxiana: la teoria funziona solo laddove essa scopre il terreno di una nuova insorgenza soggettiva. Ed è su questo punto che occorre innovare e creare una scienza nuova». La lotta contro lo sfruttamento del lavoro non può essere scissa da quella contro il potere che istituisce una gerarchia sociale, epistemica o economica. «È nella forma del rapporto di potere, di ricatto, di gerarchia - conclude Nigro - che lo sfruttamento si concretizza. A queste nuove forme di potere bisogna rispondere con nuove forme di insorgenza rivoluzionaria o con nuove pratiche di libertà». Solo limitandoci alla linea «occidentale» dello sviluppo di questa politica, dall'Italia alla Spagna, sino a San Francisco, la lotta per questi diritti - definiti di «quarta generazione » dopo quelli civili, politici e sociali - assistiamo al consolidamento del primato di una cultura dell'individuazione che si confronta con una cultura improntata all'egualitarismo alla quale si sono rifatti molti percorsi democratici, riformisti o rivoluzionari del Novecento. Se poi si solleva lo sguardo verso l'orizzonte- mondo, le lotte eterogenee per la soggettività esprimono la parte più interessante di una politica che si rivolge alla condotta singolare della vita degli uomini e delle donne, alla molteplicità delle appartenenze culturali e religiose, alla diversità delle lotte nello sviluppo capitalistico che ha da tempo investito latitudini prima relegate all'economia della sussistenza. Alla conclusione di questo breve e parziale viaggio nel marxismo italiano, emerge con forza che stare dentro e oltre i limiti di Marx significa vivere in un mondo in ebollizione e che l'opera marxiana serve ancora a conoscere il mondo. E a trasformarlo.

    (3/fine. Le puntate precedenti sono state pubblicate il 24 e il 28 marzo)


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