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    Predefinito M. Fini 25 aprile, il grande equivoco

    il Gazzettino Martedì, 25 Aprile 2006



    IL GRANDE EQUIVOCO

    di MASSIMO FINI

    È giusto e comprensibile che gli italiani, col 25 aprile, festeggino la liberazione dal nazifascismo. È del tutto improprio che se la attribuiscano. Improprio e controproducente. La nostra Repubblica nasce infatti su un equivoco: che a liberare l'Italia siano stati i partigiani e non gli angloamericani.

    Che gli italiani cioè si siano liberati da soli. In realtà la Resistenza è stato un fatto del tutto marginale all'interno di quel gigantesco evento che fu la seconda guerra mondiale.

    Vale come riscatto morale per quelle poche decine di migliaia di uomini (e di donne) coraggiosi che vi parteciparono, ma ebbe una incidenza del tutto secondaria nella liberazione del nostro Paese e, soprattutto, non riguardò la stragrande maggioranza del popolo italiano che, come sempre, stava a guardare come sarebbe andata a finire per schierarsi col vincitore.

    L'equivoco della Resistenza ha consentito agli italiani di far finta di aver vinto una guerra che invece avevano perso, e nel più ignominioso dei modi, e gli ha impedito di fare fino in fondo, a differenza dei tedeschi e dei giapponesi, i conti con se stessi. Semplicemente gli italiani si trasformarono da un giorno all'altro da tutti fascisti, o quasi, quali erano stati, in tutti antifascisti.

    Ma poiché non si erano conquistati la libertà con le proprie mani, ma sulle canne dei fucili altrui, divennero antifascisti in modo fascista. Cioè con la stessa intolleranza e faziosità.

    Ciò che fece dire a Mino Maccari nel dopoguerra la famosa frase: "I fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti".Gli italiani non capirono che l'antifascismo non è un fascismo di segno contrario, ma il contrario del fascismo.

    Nacque così un antifascismo di maniera e di parata che paradossalmente ma non troppo, divenne sempre più intollerante e truculento man mano che ci si allontanava dai fatti e non c'era praticamente nessuno che non potesse inventarsi patenti "resistenziali".

    Non c'è chi, nella generazione che ha preceduto la mia, non affermi di essere stato come minimo "staffetta partigiana".È incredibile il numero dei messaggi che si sarebbero scambiati quei pochi che veramente combatterono in montagna.Quell'antifascismo intollerante raggiunse il suo acme - anche perché serviva alle classi dirigenti di allora a deviare altrove i malumori popolari - col Sessantotto e dintorni ("Uccidere un fascista non è reato"; "Fascista, basco nero, il tuo posto è al cimitero" e via delirando).Sul mito della Resistenza si basò poi, in larga misura, anche il fenomeno delle Brigate Rosse.

    L'equivoco della Resistenza ha avuto quindi conseguenze molto concrete e drammatiche, di cui il "terrorismo rosso" è solo uno degli aspetti.

    Ma la cosa più grave, i cui effetti risentiamo ancora oggi, come dicevo, sta nell'aver consentito agli italiani di non prendere piena coscienza delle proprie responsabilità, come popolo (l'adesione in massa al fascismo, alle leggi razziali, alla guerra) come se quei fatti potessero essere imputabili al solo Mussolini e pochi altri.

    Ricordiamo pure, quindi il 25 aprile, ma se volessimo essere una volta tanto sinceri con noi stessi, più che come una Festa dovremmo viverlo come una celebrazione penitenziale.

    Massimo Fini

  2. #2
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    Predefinito

    Concordo con Fini.
    Poi di buono sui giornali a proposito del 25 Aprile
    c'era una risposta di Sergio Romano sul Corriere
    titolata " Pizzoni, protagonista dimenticato della Resistenza "
    A pag. 31 e sempre di quel giorno a proposito di quel giorno
    Nicholas Farrel su Libero " Vi abbiamo liberato noi inglesi ",
    a pag. 9.

 

 

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