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  1. #1
    I amar prestar aen
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    Predefinito Nella mente E Nella Pancia Di Un Presunto Jihadista

    Pur non trattando strettamente di politica internazionale io forzo la collocazione qua, per aumentare la cmprensione e il dibattito su vari islam.

    Come e perché un uomo qualunque abbraccia il fondamentalismo
    Anteprima del libro intervista a Kamel Arioua, “l’algerino” d’Italia.

    Non sono moderato né integralista,
    né democratico: sono un musulmano
    non bacato”. E’ in questa semplice
    frase che si racchiude l’enigma di Kamel
    Arioua, presunto fondamentalista
    islamico, sospettato di essere membro
    del movimento salafita algerino Al Takfir
    Wal Hijra (Anatema ed Esilio). Il penalista
    Luca Bauccio, specializzato in
    diritto internazionale – dal 1995 ha seguito
    molti dei principali processi di
    terrorismo internazionale in Italia – gli
    ha dedicato un ritratto che arriverà in
    libreria il 3 maggio. Si intitola “Io presunto
    terrorista” (Aliberti editore) ed è
    il resoconto dettagliato di un inusuale
    dialogo fra un avvocato e il suo cliente.
    Un’intervista pensata per scavare nella
    mente di un fondamentalista, che ha
    una breve condanna da scontare (nonostante
    il suo nome sia inserito nella lista
    nera dei terroristi stilata dall’Unione
    europea nel 2001), e quindi può permettersi
    di essere audace e di spalancare
    le porte del suo pensiero per spiegare
    con sincerità disarmante per un
    occidentale che cosa significhi essere
    un musulmano “non bacato”, non deviato
    insomma, che applica letteralmente
    la Sunna e ha una sola missione:
    essere il messaggero del Profeta in occidente.
    L’intento dichiarato di Luca
    Bauccio è stato quello di aggirare le
    contraddizioni che emergono, ogni volta,
    all’interno di un’indagine giudiziaria
    sul terrorismo islamico – e portano
    (quasi) sempre al proscioglimento dell’accusa
    per ragioni di ordine politicogiudiziario
    che spesso impediscono di
    dimostrare le responsabilità individuali
    dei fondamentalisti radicati in Italia
    e in Europa – per far emergere i paradossi
    filosofici, la visione della vita e
    della fede, la Weltanschaung di tutti coloro
    che in diverso modo e grado sono
    passati dal sostegno delle rivoluzioni
    islamiche locali alla guerra globale delle
    idee per costruire la casa dell’islam,
    (dar al islam) all’interno della casa della
    migrazione (dar al higra). Un racconto
    significativo perché, a differenza di
    molti “fratelli” finiti in carcere, magari
    con accuse più rilevanti, Kamel è probabilmente
    un ideologo. Uno che in Italia
    ha frequentato poche moschee, ma si
    è dedicato allo studio e all’osservazione
    della nostra società. Ha letto l’enciclica
    di Papa Ratzinger e i libri di Oriana
    Fallaci, i manuali dell’esercito italiano
    e gli editoriali dei quotidiani. Poi ha
    tratto conclusioni che tratteggiano efficacemente
    l’idealtipo del fondamentalista
    islamico che articola il suo j’accuse
    alla democrazia laica, liberale e cattolica,
    sfidando a colpi di dogma ogni
    nostra certezza, facendo leva sui nostri
    dubbi. “Quale percorso segue un uomo
    qualunque prima di diventare un uomo
    speciale, un presunto terrorista?” si
    chiede Bauccio nelle prime pagine del
    dialogo-intervista con il suo cliente.
    “Kamel non racconta solamente: lui indottrina,
    provoca, argomenta, fa sentire
    l’azzardo. Le sue parole provengono da
    una regione che non è la mia, e di cui
    lui appare un abitante collaudato, stabile,
    felice…”, dice il penalista.
    La storia giudiziaria di Kamel
    Arioua è breve. Nel 1998 è finito in carcere
    per la prima volta: sospettato di
    trafficare armi per sostenere la guerriglia
    islamica in Algeria. Gli inquirenti
    hanno addirittura ipotizzato che stesse
    partecipando a un progetto di attentato
    contro i Mondiali in Francia, ma successivamente
    è stato prosciolto dall’accusa.
    L’anno scorso è stato arrestato
    nuovamente. Durante una perquisizione
    nella sua abitazione sono state trovate
    video-cassette di propaganda jihadista,
    un manuale di addestramento al
    volo, un libro dell’esercito italiano, documenti
    sul mullah Omar e due bomboltette
    di gas Cs, che secondo lui sarebbero
    servite alla moglie come arma
    di autodifesa. Anche questa volta l’ipotesi
    non ha retto: Kamel Arioua è stato
    condannato a una breve pena per ricettazione,
    a causa di un computer rubato,
    e presto uscirà dal carcere.
    Il presunto terrorista vive in Italia
    da sedici anni. Ha trentasei anni, pelle
    chiara e barba rossa. E’ nato a Costantine,
    una città di montagna baluardo
    della resistenza contro i francesi durante
    la guerra d’Algeria. Suo padre
    era una guardia giurata. Un uomo duro
    e violento, attaccato rigidamente alle
    tradizioni. Sua madre, invece, era chiamata
    “l’oggetto” perché “per noi figli
    era un punto di riferimento, su cui si
    poteva contare sempre”, ha ricordato
    Kamel nelle prime pagine del libro-intervista.
    La prima volta che è entrato in
    moschea era uno studente liceale:
    “Erano gli anni Settanta e il regime
    schedava chiunque entrasse in un luogo
    di culto. E’ così che ho iniziato a pregare,
    per difendere la nostra storia che
    veniva negata nei licei e nelle università”,
    ha raccontato. Nel 1991, quando il
    Fis vince le elezioni e i militari prendono
    il potere, Kamel è uno studente
    universitario, iscritto alla facoltà di
    Legge. Partecipa alle proteste di piazza
    e si trasforma in un simbolo della resistenza.
    Durante una manifestazione
    viene travolto da un carro armato. La
    paura lo immobilizza e si butta per terra.
    Resta illeso e diventa un eroe. Tutti
    parlano di lui, la polizia lo cerca e
    scappa in Italia. Si stabilisce a Napoli
    e poi a Cassino, dove fa il muratore e
    nelle ville dei benestanti trasmette la
    sua “buona novella”: la causa algerina
    e il messaggio del Profeta. Nella sua
    stanza, che divide con altri immigrati,
    colleziona libri di ogni genere: romanzi,
    pamphlet politici sull’islam ma anche
    riflessioni ecumeniche come “La
    città della Gioia” di Dominique Lapierre.
    Segue la politica italiana, è affascinato
    da Giulio Andreotti per la sua
    conoscenza del sistema di potere, da
    Giovanni Spadolini per il suo raffinato
    modo di parlare e da Craxi, che considera
    un grande statista. Lavora, legge,
    prega e visita un monastero, dove sul libro
    dedicato ai pellegrini scrive in arabo
    un versetto del Corano sul monoteismo.
    La prima volta che viene notato
    dalla polizia, a una manifestazione per
    la pace, è il 1994. Dopo un suo intervento
    dal palco sulla Palestina, durante
    il quale critica gli accordi di pace di
    Oslo e mette in imbarazzo il delegato
    dell’Olp, negli uffici della Digos appare
    la prima scheda su di lui: “Intellettuale
    islamico”. Nulla di più.
    A Bauccio, che non lo ha mai incalzato
    troppo con le domande per permettergli
    di esprimersi in massima libertà,
    ha spiegato molte cose. Dal concetto
    del tempo, che per i musulmani è
    sacro e quindi non devono mai “perdersi
    in attività futili”, a quello dell’impegno
    che rende l’uomo degno di essere
    tale. (“Per la mia fede è colui che dovrà
    sempre combattere senza a scendere
    a patti con la società”, enuncia) fino
    al concetto di violenza, che è relativa
    nonostante l’islamica aspirazione all’assoluto
    di Allah, perché è ammesso
    reagire contro chi colpisce l’islam.
    “Nella nostra fede”, ha spiegato quasi
    con pedanteria, “le azioni militari non
    si possono sottrarre al contesto politico.
    Io come musulmano devo difendere fino
    all’ultimo fratello che c’è sulla terra,
    fosse pure in Cina. Noi non riconosciamo
    le frontiere che voi occidentali avete
    costruito, abbiamo un ordine religioso
    secondo il quale quando un singolo
    musulmano viene toccato o sequestrato,
    tutte le nazioni musulmane, tutte le
    persone che si dicono musulmane, hanno
    la legittimità sia religiosa che civile
    di colpire chi ha colpito un musulmano”.
    Può essere colpito chiunque, chiede
    l’avvocato? “E’ lecito colpire solo i
    combattenti”, risponde il suo cliente.
    Chi può decidere se un obiettivo è legittimo?,
    insiste l’avvocato. “I mujaheddin”,
    precisa il suo cliente. “Io non sono
    favorevole al terrorismo”, attacca
    Kamel, “ma come lottare contro una
    potenza che ti domina militarmente,
    politicamente, economicamente? Mio
    caro avvocato, le guerre non sono più
    quelle di una volta, tu e la tua squadra
    di cavalli schierati su due fronti: ora è
    tutto più complesso (…) sappiamo che
    la guerra attuale è una guerra economica
    e militare, quella economica è più
    micidiale. Quelli che hanno colpito l’America
    hanno scelto le Torri Gemelle
    perché erano un obiettivo simbolico ed
    economico”. E tu che cosa hai provato
    (durante l’11 settembre, ndr)?”, chiede
    l’avvocato. “Paura di tante cose: paura
    della reazione dell’occidente”, spiega il
    presunto terrorista. “Paura che la gente
    non capisse perché è stata colpita
    l’America e tra chi non vuole capire, ci
    sei tu, avvocato Luca. Voi non avete voluto
    capire perché è successo tutto questo.
    Non si tratta di essere d’accordo e
    contrari. Cosa cambia? Per molti musulmani
    è stata una rivincita, in tutto il
    mondo musulmano è stato uno scoppio
    di festeggiamenti, a Parigi la gente era
    in festa… in mezzo alla strada! Io non
    mi aspettavo gli attentati. Ma è come se
    molti avessero voluto dire all’America
    e al mondo occidentale: vedete che non
    subiamo, e abbiamo subito tanto, ma
    sappiamo reagire”.
    Il dialogo fra l’avvocato e il suo cliente
    procede come uno slalom gigante,
    corre veloce fra tutti i paletti che segnano
    lo scontro di civiltà. Kamel racconta
    del suo salotto di casa, a Milano,
    dove fra archi e colonne ci sono le tende
    che servono a separare gli uomini
    dalle donne durante gli incontri conviviali
    e le cornici vuote senza quadri appese
    ai muri. “Perché?”, chiede l’avvocato.
    “Perché nel vuoto c’è tanto da vedere,
    nel vuoto c’è la libertà, noi islamici
    non possiamo riprodurre la natura,
    è un atto di sfida a Dio”, spiega. “E
    il perdono? Cos’è il perdono per te?”,
    azzarda Bauccio. “E’ una grande virtù”,
    risponde Kamel. “Parlo da musulmano:
    a chi toglie la vita va tolta la vita, ma se
    tu hai ucciso mio figlio e io voglio perdonarti
    non deve essere lo stato a decidere
    (…). La legge è fatta da Dio, non
    dagli uomini e chi sbaglia ha un conflitto
    con se stesso, il nostro scopo è far
    recuperare Dio al colpevole”. E infatti
    più avanti Kamel ribadisce: “L’obiettivo
    dell’islam è la salvezza del musulmano
    fino alla fine dei suoi giorni, e se
    un uomo sbaglia io piango per lui ma
    voglio che si purifichi in terra perché lo
    voglio accanto a me nel paradiso…”.
    Kamel inanella parole e frasi che
    spiegano i meandri mentali di un presunto
    fondamentalista. Il sesso che è
    un atto sociale, e deve essere praticato
    come prevede il Corano. O il velo, che
    non deve essere l’hijab, che copre solo
    i capelli, ma il jilbeb, il vestito che non
    deve essere aderente, né colorato, né
    trasparente, ma largo per coprire viso
    e mani perché è un ordine coranico.
    “Il jilbeb non è solo un vestito, è anche
    un comportamento”. Ma in questo modo
    esiste la libertà?, chiede Bauccio
    nella parte finale del libro-intervista.
    “Noi crediamo che questa dottrina di
    vita sia stata data da Allah perché Allah
    ci ha creato e Allah sa come ragioniamo,
    quando cerchiamo di vivere secondo
    le nostre idee, allora inizia il
    caos (…) l’islam non deve essere interpretato,
    non bisogna andare in contrasto
    con le sure”. “Qual è stata la prima
    chiesa che hai visitato, Kamel?”, chiede
    Bauccio. “In Algeria, non ho mai capito
    perché le tengano così buie”. “Che
    effetto ti ha fatto?”; “Dio non è lì. Vedi
    tante cose: quadri, ori, statue, ma non
    Dio. Però ho visto certi vecchietti, certe
    persone piene di fede, sono quelle
    le persone che mi piacciono, ma ho
    avuto la sensazione che molti cristiani
    non si rispecchino nella chiesa, sarà
    questo buio, tutte quelle statuette, l’altare
    (…) anche una fede sbagliata può
    muovere le montagne, invece una cosa
    pensata dagli esseri umani non dura.
    La fede dei cristiani, anche se la giudico,
    è sbagliata, ha resistito a Nerone,
    alla rivoluzione francese e anche al
    confronto con l’islam”. Secondo Kamel
    Arioua, gli occidentali hanno avuto un
    conflitto con la chiesa cattolica, e non
    con la religione, e gli europei fanno bene
    a combattere l le istituzioni ecclesiastiche,
    ma hanno sbagliato a combattere
    Dio perché l’islam non accetta
    che lo stato o l’individuo possa combattere
    la fede, “perché un uomo senza
    fede è una bestia”. Ed ecco perché
    per lui, il presunto terrorista, noi occidentali
    non abbiamo paura della Cina:
    “La Cina non ha nulla da dare all’umanità,
    copia tutto, ma teme l’islam
    perché i musulmani hanno un progetto
    di vita”. Ed ecco perché divulgare le
    parole del Profeta è un obbligo religioso.
    “Io dico sempre che sono gli uomini
    virtuosi a prevalere e se gli europei
    si convertissero di colpo sarebbero
    i primi a entrare in paradiso…”.
    Il libro-intervista si conclude con
    una domanda sul terrorismo. “Insomma
    Kamel, quando finirà?”, sembra
    implorare l’avvocato. “Passerà molto
    tempo, passeranno tanti anni”, sentenzia
    il suo cliente. “Tu non lo puoi capire,
    tu e io non possiamo capire che co
    cosa
    significhi essere privati di tutto, io
    sono contrario al terrorismo, per me la
    guerra è guerra di idee, di pensiero”.
    E quale sia la sua guerra (e la sua
    idea) emerge in maniera inconfutabile
    nell’ultima pagina del libro-intervista
    in cui l’avvocato Bauccio lascia al suo
    cliente l’ultima parola. “L’uomo non
    può pretendere di conoscere la verità:
    la verità è Allah. Ho parlato come musulmano
    che vive nel presente e prospetta
    il futuro attraverso l’unico sapere
    possibile: quello che proviene
    dal Corano e dalla Nobile Sunna. Non
    c’è altro islam al di fuori di queste due
    sorgenti, via di salvezza di tutta l’umanità.
    Esse inglobano tutte le religioni
    precedenti, non manipolate dalla mano
    dell’uomo e dalle sue tentazioni. La
    religione islamica evidenzia ciò che è
    comune a tutti i profeti fino al Profeta
    Mohamed, pace di Allah su di lui: la
    sottomissione a Dio di tutto il genere
    umano e di ogni sua forma, compreso
    il potere di Cesare”.
    Cristina Giudici

    Cordiali Saluti
    E voi tutti, o Celesti, ah! concedete,
    Che di me degno un dì questo mio figlio
    Sia spendor della patria, e de Troiani
    Forte e possente regnator. Deh! fate
    Che il veggendo tornar dalla battaglia
    Dell'armi onusto de' nemici uccisi,
    Dica talun: NON FU SI' FORTE IL PADRE:
    E il cor materno nell'udirlo esulti.

  2. #2
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    Predefinito

    Ho letto la menata.

    Non mi pare molto diversa da un qualsivoglia prete o Dreyer di sorta con l'aggiunta di un po' di aggressività tipo Gesuiti del 1600.

    E nota bene, se fossi attento non giudicheresti sto tizio un Jihadista, ma appunto un teologo nemmeno troppo intelligente.
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

    NUOVA VERSIONE COMPLETATA :
    http://lukell.altervista.org/Unasolu...risiEsiste.pdf




 

 

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