Maurizio Blondet
27/04/2006

Per precisa volontà del Pentagono, il prossimo vertice della NATO si terrà il 28 novembre a Riga, in Lettonia.
I dottor Stranamore di Washington vogliono celebrare il trionfo dell’Alleanza Atlantica in territorio ex-sovietico; e sotto il naso di Putin, accogliere le «democrazie colorate» post-sovietiche nell’alleanza, consacrandone così la massima espansione storica.
Ma secondo il centro d’analisi francese «Laboratoire d’analyse politique», la festa sarà guastata. L’evento «rischia di passare alla storia come il vertice che vedrà la spaccatura in due tendenze contraddittorie, che trascinerà la NATO nella tormenta della crisi sistemica globale, e sancirà la fine dell’Occidente come lo conosciamo dal 1945» (1).
Il suddetto Laboratoire, che conduce analisi interdisciplinari di ampia portata (economia, strategia, politica e finanza) non pare mancare di agganci con le stanze dei bottoni del governo di Parigi.
La sua «previsione» può indicare che la Francia farà qualcosa per rovinare la festa ai neocon.
Ma andiamo per ordine.
Da febbraio il Laboratoire ha annunciato, con un voluminoso rapporto, la «crisi sistemica globale», composta e aggravata dall’intrecciarsi simultaneo di sette crisi diverse: 1) crisi del dollaro; 2) crisi dei deficit finanziari USA; 3) crisi della leadership americana; 4) destabilizzazione del mondo islamico; 5) crisi della «governance» mondiale; 7) Crisi della «governance» nella UE.



Ora l’istituto francese precisa che la crisi sistemica è già in corso, e ne addita alcuni segnali: il dollaro ha perduto, in soli due mesi, il 10% del valore sull’euro e il 15% sull’oro, la bolla immobiliare americana sta scoppiando, e nell’ultimo trimestre tutti i metalli sono rincarati del 25-50%, senza contare il petrolio…
Manca solo che la Casa Bianca inneschi la crisi in Iran, per veder precipitare ed accelerare tutti i processi di destabilizzazione in corso, economici e monetari.
Questo sarà il catalizzatore della crisi strategico militare, imponente, he sconvolgerà la NATO.
Già oggi l’alleanza è messa a dura prova da tre fattori e questioni.
La sfiducia degli europei (opinioni pubbliche e dirigenti politici) nella capacità e competenza degli USA, dato il presente governo, ad assumere una leadership efficace e responsabile dell’Alleanza.
Ovviamente, un conflitto americano con l’Iran, specie se con l’uso delle atomiche, trasformerebbe la «crisi di fiducia» in qualcosa di molto peggio, e irreparabile.



La percezione divergente, tra europei e americani, delle minacce reali.
Gli USA stanno destabilizzando tutti i nemici, anche solo potenziali, di Israele; compito strategico che non riscuote applausi in Europa.
I problemi dello sviluppo e finanziamento del «caccia NATO» futuro, o Joint Strike Fighter (JFS), che gli USA vogliono fabbricare facendoselo pagare dagli europei, e che gli europei stanno abbandonando ad uno ad uno per i costi proibitivi (sui 115 milioni di dollari ad esemplare) e per altri dubbi, tecnici e politici: essenzialmente perché renderebbe permanente la dipendenza europea dagli Stati Uniti.
Persino Londra sta per rinunciare al programma congiunto JSF; e certamente anche l’Italia, dopo il ritorno delle sinistre al potere (anche se in queste ore, freneticamente, gli americani cercano di «chiudere» l’accordo sul JSF con un ministro Martino dai giorni contati).
Le speranze che il Pentagono pone, per il successo del vertice NATO, nella nuova cancelliera tedesca Merkel, sono presto svanite.
Il 12 aprile la Merkel ha telefonato a Bush per invitarlo ad «accedere a colloqui diretti con l’Iran», ed evitare ogni «confronto» con la Russia, perché la Russia «ci serve come mediatore verso l’Iran» in vista di una soluzione diplomatica.



Il cancelliere ha anche esplicitamente disapprovato l’accordo nucleare stipulato da Bush con l’India: non si può concedere all’India quello che si nega all’Iran.
E poco prima, in un’audizione davanti alla Commissione esteri tedesca, la Merkel aveva preso le distanze dall’insistenza di Bush nel deplorare il governo Putin come «non democratico». Aggiungendo che, se Putin ha posto fine alle privatizzazioni in Russia, ciò era per far finire «le svendite agli interessi petroliferi americani».
Date queste premesse, è più che possibile che il vertice di Riga sancisca la malattia mortale della NATO, dovuta - ovviamente - alla perdita del nemico comune di USA ed Europa dal ‘45, l’Unione Sovietica.
La crisi viene mascherata con rituali richiami al «rilancio» e alla «ridefinizione» dell’Alleanza Atlantica; ma ciò, solo perché la Casa Bianca vuole ad ogni costo mantenerla in vita, essendo il suo storico strumento per garantirsi l’egemonia (e l’ingerenza) nelle questioni d’Europa. Ma essi stessi non sanno più bene come usare la NATO.
La destinano ad azioni limitate e puntiformi di «mantenimento della pace», come nel Kossovo, o nel mantenimento dell’ordine a Kabul.

Ma la NATO è vistosamente assente nelle grandi operazioni militari degli ultimi anni.
Gli USA non hanno voluto la NATO (nonostante le offerte degli europei) nell’invasione dell’Afghanistan dopo l’11 settembre 2001.
E gli europei non hanno voluto partecipare come NATO (nonostante le insistenze americane) all’invasione dell'Iraq nel 2003.
Un’alleanza strategica che non agisce in eventi militari maggiori, per volontà di uno o dell’altro partner, non ha evidentemente più alcuna strategia.
Ma anzichè decretarne lo scioglimento, il vertice di Riga ne segnerà la metamorfosi.
In che cosa?
In ciò che Washington la sta trasformando, incautamente, a forza di estenderla a Paesi post-sovietici come Polonia, Georgia, Ucraina: in una informe «alleanza globale delle democrazie».
Informe e incapace di decisioni, come la stessa Unione Europea è diventata, a forza di inglobare sempre nuovi membri.
Questa metamorfosi potrebbe accelerare lo sviluppo di una difesa europea comune, svincolata dall’America.
A quanto pare, questa evoluzione avrebbe il favore delle opinioni pubbliche europee, sempre più spaventate dalla postura unilaterale americana; ma è dubbio che la dirigenza (chiamiamola così) eurocratica abbia questa volontà.



E’ qui che si vedrà come le crisi sistemiche convergenti si intrecciano, dice l’istituto francese. Che aggiunge: non è detto che la crisi sistemica in corso sia in sé portatrice di sole catastrofi.
E invita a vedere la crisi come un «punto di passaggio» fra due periodi più stabili.
E in questo passaggio, «un attore predominante può far adottare una decisione che esso desidera, per essere poi sgradevolmente sorpreso dalle conseguenze reali di quella stessa decisione».
E per essere più chiari: «le riforme che Washington vuole rischiano di portare a un imponente indebolimento dell’Alleanza, e del peso strategico degli USA in Europa».
E la rottura del «patto transatlantico» può coincidere con la stessa perdita di peso nel mondo degli Stati Uniti, usurati dai debiti, dalle guerre superflue, e dalle alleanze di fatto (Cina-Russia, per esempio) che il loro unilateralismo aggressivo sta suscitando.
Sarà il tramonto del capitalismo terminale ed estremo come ideologia della superpotenza.
E un’analisi che trova d’accordo anche degli influenti critici americani della gestione Bush.
«Il mondo si sta unendo contro l’impero di Bush», scrive Paul Craig Roberts, già vice-segretario al Tesoro sotto Reagan, ed ex direttore associato del Wall Street Journal. (2)

Maurizio Blondet




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Note
1) «OTAN 2006, l’annés de la dilution globale et du découplage UE-USA, Europe 2020», 24 aprile 2006.
2) Paul Craig Roberts, «The world is uniting against the Bush imperium», Counterpunch, 25 aprile 2006.




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