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Risultati da 1 a 8 di 8
  1. #1
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    Predefinito DILIBERTO: Iraq. Dolore per le vittime, linea Unione chiara da tempo



    Diliberto: Iraq. Dolore per le vittime, linea Unione chiara da tempo


    Roma 27 aprile 2006

    Esprimo il cordoglio sincero mio e di tutto il partito per i militari italiani uccisi in Iraq. Sono vicino ai loro familiari in queste ore di dolore. Per quanto riguarda la presenza dei nostri soldati in Iraq la linea dell’Unione è chiara da tempo: quella del ritiro della nostre truppe. Questo nuovo, grave e tragico attentato conferma la giustezza delle nostre scelte.

  2. #2
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    Predefinito

    Nassiriya: di chi è la colpa?

    di Alessandra Valentini

    Roma 27 aprile 2006

    Nicola Ciardelli, Franco Lattanzio, Carlo De Trizio, Hancu Bogdan. Ancora nomi di morti annunciati. Ancora un attacco a Nassiriya, oggi 27 aprile alle ore 7,30 italiane, un ordigno posto al centro della carreggiata ha fatto esplodere il convoglio del contingente internazionale, facendo saltare in aria la camionetta italiana. Già cinque giorni fa un altro ordigno era esploso al passaggio di altri mezzi sempre a Nassiriya, sempre vicino ai militari italiani. Ancora oggi un altro pezzo di quotidiana cronaca di guerra, alla quale dedichiamo maggiore attenzione perché sono stati coinvolti cittadini italiani. La guerra è morte, sangue, violenza, torture, ma anche cinismo, non solo il cinismo di chi la fa la guerra, anche il cinismo di chi la racconta ed è costretto anche a scegliere di raccontare alcuni morti, dimenticando gli altri, come se ci fossero morti di serie “A” e morti di serie “B”. Ma questa è la guerra, l’Italia vi partecipa – da troppo tempo ormai - e ne paga il prezzo più alto: la morte di persone giovani, 34 anni Ciardelli, 38 Lattanzio, solo 27 De Trizio.




    Di chi è la colpa? Ma soprattutto qual è lo scopo? Forse dopo 22 morti solo sul terreno di Nassiriya, qualcuno dovrebbe fare una operazione verità, prima ancora di precipitare nel cordoglio e nella retorica, inutili e tardivi. Se qualcuno anche oggi volesse raccontarci che morendo si serve la Patria, dovrebbe aggiungere qualche motivo convincente. Se qualcuno volesse convincerci che facendo la guerra si costruisce la pace, farebbe un tentativo inutile.

    L’Italia è in guerra e l’unica soluzione per tentare di costruire la pace è il ritiro immediato delle nostre truppe dall’Iraq, condizione essenziale per far assumere all’Italia un ruolo politico credibile e di proficua mediazione in tutta l’area del medioriente.





  3. #3
    Fu fgc.adelfia
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    Predefinito

    Cordoglio alle vittime e ai loro parenti però questo deve far accellerare il ritorno dall'IRAQ immediatamente senza SE' e senza MA

  4. #4
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    Predefinito Quale politica estera

    Quale politica estera
    Dal centrosinistra non servono frasi di circostanza

    Ora che ci sono altre vittime italiane in Iraq, che sono morti i nostri carabinieri nel pieno assolvimento delle loro funzioni, ci interessa poco sentire parole di cordoglio da parte degli esponenti del centrosinistra. Piuttosto ci dicano quale linea di politica estera intendono seguire e se intendono essere solidali con i nostri soldati o con i no - global ed affini che nelle piazze, inclusa quella di Milano delle celebrazioni del 25 aprile, gridano: "Dieci, cento mille Nassiriya".



    Questo perché "i sanculotti" del loro schieramento, come li chiama "il Riformista", o "i nazisti rossi", come li ha definiti più esplicitamente l'ambasciatore israeliano Gol, sono stati fino a ieri allevati, accuditi e protetti nelle file dell'Unione * ne hanno persino portato qualcuno in Parlamento - ed il fatto che si considerino solo poche decine di scalmanati, ci spiace, ma non è una attenuante. Anzi, quando sono, come sono, politicamente protetti, è una aggravante. Anche le Br non raggiungevano il migliaio di unità e ciononostante furono dolori e tragedie. O già ce lo siamo dimenticati?
    In situazioni del genere, ciò che conta dovrebbe essere la volontà di combattere fenomeni altrimenti destinati a rovinare le basi stesse della convivenza civile: e allora le frasi di compunta circostanza sono non solo inutili, ma anche dannose.
    Non sappiamo se domani il centrosinistra saprà esercitare questo controllo democratico sulle sue frange più estreme, mentre è sconsolatamente chiaro che invece, quando c'era bisogno di esercitarlo, non hanno saputo farlo. Questa realtà segna pesantemente gli umori dell'opinione pubblica nei confronti di chi ha pur la pretesa, in tali condizioni disdicevoli, di governare l'Italia, quando nemmeno sa tutelare l'ordine civile. E noi vogliamo sperare che prevalga la linea di politica estera delineata durante la campagna elettorale dell'onorevole Rutelli. Dobbiamo dire che essa però ci pare grandemente minoritaria, fra Rifondazione, Pdci, Verdi e Ds, che equiparano le bombe dei terroristi a quelle dell'esercito Usa su Falluja. Siamo molto preoccupati quindi di sapere quale sarà la scelta di un futuro governo Prodi sul da farsi in Iraq.
    Se fossero ritirati i soldati italiani unilateralmente, senza accordo con gli alleati e le autorità irachene, sarebbe un segnale grave di debolezza, soprattutto all'indomani dell'attentato ai nostri soldati. Il governo Prodi l'avrebbe data vinta, fin dal primo atto internazionale, ai terroristi. Se poi pensano di sostituire il contingente militare con uno civile, la scelta sarebbe anche irresponsabile, perché senza possibilità di difesa in contesti del genere, si manderebbero degli uomini al massacro.
    In attesa di conoscere cosa prepara la nuova maggioranza per la politica internazionale, resta ancora prioritario il problema del governo. Il professor Prodi avrebbe dovuto dimostrare davvero di saperci fare, di essere un uomo accorto e di polso. Citiamo il "Corriere della Sera" a proposito: "Un leader è chiamato a dimostrare, già prima di assumere la guida dell'esecutivo, di essere capace, non di unificare, ma di federare secondo un disegno intelligibile da amici e da avversari, le forze che lo sostengono". E seppure la coalizione di Prodi, molto più di quella del premier uscente, mostra forze "tra loro assai diverse, in certi casi concorrenti, in altri potenzialmente conflittuali", proprio secondo il giudizio del "Corriere", anche in questo caso, il quadro appare critico.
    Leggiamone la sconsolata descrizione fatta da Paolo Franchi: "Peccato che i giorni passino, la situazione si aggrovigli al limite del paradosso e Prodi continui a non far sentire la sua voce". Sembrerebbe così già svanita persino la fiducia del "Corriere" nei confronti del leader dell'Unione. Del resto, se ci ricordiamo bene, Mieli, nel suo famoso editoriale a sostegno dell'Unione, si diceva convinto della capacità di Prodi di arginare la deriva estremista dei suoi alleati di sinistra, quando ormai pare evidente che invece il professore ne venga regolarmente travolto. E non siamo nemmeno all'inizio della nuova legislatura, ma questo poco tempo passato è stato già sufficiente per far sorgere il dubbio, a via Solferino, di aver puntato su un cavallo sbagliato. Noi che ne eravamo certi, adesso ne abbiamo le controprove. Ne attendiamo molte altre. Poi si imporrà, da sola, una nuova svolta. Una liberazione.

    Roma, 27 aprile 2006

    tratto dal sito del Partito Repubblicano
    http://www.pri.it


  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da fgc.adelfia
    Cordoglio alle vittime e ai loro parenti però questo deve far accellerare il ritorno dall'IRAQ immediatamente senza SE' e senza MA
    Mi associo

  6. #6
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    Citazione Originariamente Scritto da nuvolarossa
    Quale politica estera
    Dal centrosinistra non servono frasi di circostanza

    Ora che ci sono altre vittime italiane in Iraq, che sono morti i nostri carabinieri nel pieno assolvimento delle loro funzioni, ci interessa poco sentire parole di cordoglio da parte degli esponenti del centrosinistra. Piuttosto ci dicano quale linea di politica estera intendono seguire e se intendono essere solidali con i nostri soldati o con i no - global ed affini che nelle piazze, inclusa quella di Milano delle celebrazioni del 25 aprile, gridano: "Dieci, cento mille Nassiriya".



    Questo perché "i sanculotti" del loro schieramento, come li chiama "il Riformista", o "i nazisti rossi", come li ha definiti più esplicitamente l'ambasciatore israeliano Gol, sono stati fino a ieri allevati, accuditi e protetti nelle file dell'Unione * ne hanno persino portato qualcuno in Parlamento - ed il fatto che si considerino solo poche decine di scalmanati, ci spiace, ma non è una attenuante. Anzi, quando sono, come sono, politicamente protetti, è una aggravante. Anche le Br non raggiungevano il migliaio di unità e ciononostante furono dolori e tragedie. O già ce lo siamo dimenticati?
    In situazioni del genere, ciò che conta dovrebbe essere la volontà di combattere fenomeni altrimenti destinati a rovinare le basi stesse della convivenza civile: e allora le frasi di compunta circostanza sono non solo inutili, ma anche dannose.
    Non sappiamo se domani il centrosinistra saprà esercitare questo controllo democratico sulle sue frange più estreme, mentre è sconsolatamente chiaro che invece, quando c'era bisogno di esercitarlo, non hanno saputo farlo. Questa realtà segna pesantemente gli umori dell'opinione pubblica nei confronti di chi ha pur la pretesa, in tali condizioni disdicevoli, di governare l'Italia, quando nemmeno sa tutelare l'ordine civile. E noi vogliamo sperare che prevalga la linea di politica estera delineata durante la campagna elettorale dell'onorevole Rutelli. Dobbiamo dire che essa però ci pare grandemente minoritaria, fra Rifondazione, Pdci, Verdi e Ds, che equiparano le bombe dei terroristi a quelle dell'esercito Usa su Falluja. Siamo molto preoccupati quindi di sapere quale sarà la scelta di un futuro governo Prodi sul da farsi in Iraq.
    Se fossero ritirati i soldati italiani unilateralmente, senza accordo con gli alleati e le autorità irachene, sarebbe un segnale grave di debolezza, soprattutto all'indomani dell'attentato ai nostri soldati. Il governo Prodi l'avrebbe data vinta, fin dal primo atto internazionale, ai terroristi. Se poi pensano di sostituire il contingente militare con uno civile, la scelta sarebbe anche irresponsabile, perché senza possibilità di difesa in contesti del genere, si manderebbero degli uomini al massacro.
    In attesa di conoscere cosa prepara la nuova maggioranza per la politica internazionale, resta ancora prioritario il problema del governo. Il professor Prodi avrebbe dovuto dimostrare davvero di saperci fare, di essere un uomo accorto e di polso. Citiamo il "Corriere della Sera" a proposito: "Un leader è chiamato a dimostrare, già prima di assumere la guida dell'esecutivo, di essere capace, non di unificare, ma di federare secondo un disegno intelligibile da amici e da avversari, le forze che lo sostengono". E seppure la coalizione di Prodi, molto più di quella del premier uscente, mostra forze "tra loro assai diverse, in certi casi concorrenti, in altri potenzialmente conflittuali", proprio secondo il giudizio del "Corriere", anche in questo caso, il quadro appare critico.
    Leggiamone la sconsolata descrizione fatta da Paolo Franchi: "Peccato che i giorni passino, la situazione si aggrovigli al limite del paradosso e Prodi continui a non far sentire la sua voce". Sembrerebbe così già svanita persino la fiducia del "Corriere" nei confronti del leader dell'Unione. Del resto, se ci ricordiamo bene, Mieli, nel suo famoso editoriale a sostegno dell'Unione, si diceva convinto della capacità di Prodi di arginare la deriva estremista dei suoi alleati di sinistra, quando ormai pare evidente che invece il professore ne venga regolarmente travolto. E non siamo nemmeno all'inizio della nuova legislatura, ma questo poco tempo passato è stato già sufficiente per far sorgere il dubbio, a via Solferino, di aver puntato su un cavallo sbagliato. Noi che ne eravamo certi, adesso ne abbiamo le controprove. Ne attendiamo molte altre. Poi si imporrà, da sola, una nuova svolta. Una liberazione.

    Roma, 27 aprile 2006

    tratto dal sito del Partito Repubblicano
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    Capisco tutto.
    Ma io credo molto nei valori e ripristinare le truppe italiane significa "salvare" e cercare di riunire le famiglie come prima per far si che loro riescano a ritrovare il rapporto familiare sospeso.

  7. #7
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    Iraq: no alle scorciatoie/Il nostro senso di responsabilità rifiuta l'idea di un ritiro immediato
    Prima di ogni disimpegno serve un "Piano Marshall"


    di Giovanni Postorino*

    Ci sono due modi per risolvere la vicenda irachena, uno estremamente facile ed un altro estremamente difficile.
    Il primo suona più o meno così: "Fuori dall'Iraq senza se e senza ma!", "Ritiro immediato dei nostri soldati!", "Rifinanziamo le spese per la benzina e riportiamo i nostri militari a casa!".
    Questo modo di affrontare la questione irachena è, però, foriero di conseguenze negative, che dal nostro punto di vista risultano inaccettabili. Certo, saremmo ben lieti di poter ritirare il contingente stanziato in Iraq, ed a maggior ragione pensiamo che lo stesso valga per il governo americano. Ma abbandonare ora l'Iraq è una mossa che non può andare nella direzione che noi tutti auspichiamo: quella della pacificazione di uno Stato dilaniato da lotte intestine e dalle pressioni esercitate dai propri vicini (Iran e Siria in particolare).
    Allora l'unica via da percorrere è quella più difficile. Quella che ci porta a dire che dobbiamo andare avanti nel nostro impegno in quella terra così barbaramente umiliata da secoli di oppressione.
    Per comprendere a fondo questa scelta, si deve ritornare a quelle motivazioni che hanno portato l'Italia a partecipare alla missione di peace-keeping in Iraq.
    L'intervento anglo-americano è servito ad abbattere una tirannide sanguinaria, quella di Saddam Hussein, ed a creare le condizioni per un avvio verso la democrazia di quel Paese. Ha innestato un processo volto a ridefinire i rapporti di forza dell'intera area per giungere ad una nuova e più fruttuosa stabilizzazione che consenta il dialogo e la pacificazione del Medio Oriente. In virtù di questi obiettivi, l'Italia decise di inviare un proprio contingente in Iraq.
    Ma tali ambiziosi obiettivi si sono concretamente realizzati? Purtroppo, non ancora. Allora la domanda è: il fatto che non si siano ancora del tutto realizzati giustifica un ritiro del contingente?
    Ebbene, a questa domanda non si può dare ancora una risposta positiva perché, come abbiamo avuto modo di dire più volte sulle colonne di questo giornale, nel caso in cui ci si dovesse ritirare dall'Iraq, prima di una sua completa pacificazione, si lascerebbe quel Paese in uno stato di guerra civile dalla quale gli iracheni usciranno ancora più poveri e ancora più oppressi.
    Di fatto, gli sconfitti non sarebbero gli Alleati bensì altri: il popolo iracheno, il mondo arabo e in generale le generazioni future di quelle zone. A festeggiare sarebbero i terroristi, quel fanatismo violento che fa le stragi nelle moschee, un modello di società chiusa destinata ad un inevitabile collasso.
    Piuttosto occorre riflettere, da una parte, sulla strategia da perseguire per evitare le destabilizzanti infiltrazioni provenienti dall'esterno del Paese. Dall'altra, si deve puntare con maggiore decisione a conferire solidità alle neonate istituzioni irachene legittimando le forze dell'ordine da poco costituite di quello Stato. Ma occorre anche varare un nuovo "Piano Marshall", dal quale soltanto dipendono la rinascita dell'Iraq e lo sviluppo dell'intera regione, la cui gestione andrebbe coordinata con le stesse istituzioni irachene. Solo allora sarà possibile un effettivo ritiro dei contingenti. Nella situazione di oggi, invece, un ritiro non è neanche proponibile. Del resto è lo stesso governo iracheno, pur avvertendo la necessità di un progressivo disimpegno delle forze militari alleate, a chiedere di non procedere ad un ritiro immediato perché le conseguenze sarebbero un precipitare drammatico degli eventi: la guerra civile divamperebbe compromettendo quanto fatto fino ad oggi.
    In conclusione, vogliamo rivolgere il pensiero ai nostri caduti. Siamo convinti che un ritiro del contingente italiano, dettato dall'onda dell'emozione di queste ore, vanificherebbe il sacrificio nobilissimo che i nostri soldati hanno versato.
    La lezione più grande, a tal proposito, ci arriva dalla madre di uno dei militari morti nell'attentato: orgogliosa del figlio, perché lottava per una giusta causa, perché il suo sacrifico estremo è stato in nome degli ideali in cui credeva, quelli della libertà e della pace. Basta questa altissima lezione di dignità e di decoro civile, che ci viene offerta da chi più di ogni altro è colpito da quanto accaduto a Nassiryia, a ricacciare come sterili e stupide le polemiche innestate dall'area massimalista di sinistra, con Caruso e Diliberto in testa.
    Come all'indomani del tragico 12 novembre 2003, anche in questa triste giornata di lutto, noi preferiamo rivolgere ai nostri soldati, che quotidianamente rischiano la propria vita per assicurare un futuro al popolo iracheno, parole che speriamo possano essere di conforto e possano far crescere in loro il senso di orgoglio per quanto stanno facendo: "La vita vi fu dunque data da Dio perché ne usiate a benefizio dell'Umanità (...) In qualunque terra voi siate, dovunque un uomo combatte pel diritto, pel giusto, pel vero, ivi è un vostro fratello: dovunque un uomo soffre, tormentato dall'errore, dall'ingiustizia, dalla tirannide, ivi è un vostro fratello. Liberi e schiavi, siete tutti fratelli. Una è la credenza, una l'azione, una la bandiera sotto cui militate" (G. Mazzini, "Doveri dell'Uomo").
    Ancora oggi, per tutto quello che state facendo e per quanto ancora va fatto, voi siete la speranza per i nostri fratelli iracheni che hanno sofferto e che soffrono a causa di ingiustizie ed oppressioni. Voi non rappresentate semplicemente un governo, una maggioranza, o uno Stato. Voi siete i rappresentanti della libertà e della democrazia: questa è la bandiera sotto cui operate.

    *Segretario Nazionale F.G.R.
    (Federazione Giovanile Repubblicana)

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  8. #8
    Amico di Oniria..wooff...
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    Predefinito

    NOI SERVIAMO IL NOSTRO PAESE E OBBEDIAMO AGLI ORDINI CHE CI DANNO.
    siamo in IRAK per mantenere la pace,si andrà via solo quando ce lo ordinano,il resto sono solo 4 chiakkere di ragazzotti che non sanno nemmeno cosa è la PATRIA,il DOVERE,l'ORGOGLIO di essere ITALIANI.
    ONORE AGLI EROI CADUTI PER LA LIBERTA'.....RICORDIAMOLI COME TUTTI I SOLDATI CHE HANNO DATO LA VITA PER LA LIBERTA' (ANCHE GLI AMERICANI SONO MORTI NEL 45 PER DARE LA LIBERTA' A NOI).
    SONO FIERO DI ESSERE ITALIANO E SERVIRE IL MIO PAESE,NOI SIAMO L'ORDINE E voi siete l'ANARCHIA.

 

 

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