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  1. #1
    Veritas liberabit vos
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    Il Credo dell'uomo casto

    Il Credo dell'uomo casto.


    Io credo che la carità cioè l’amore santo che Dio diffonde nei nostri cuori per sé stesso e per i nostri prossimi è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano

    Credo che creando l'essere umano uomo e donna, Dio dona all'uno e all'altra, in modo uguale, la dignità personale, spetta perciò a ciascuno, uomo e donna, riconoscere e accettare la propria identità sessuale.

    Credo che Cristo è il modello della castità e che ogni battezzato è chiamato a condurre una vita casta, ciascuno secondo lo stato di vita che gli è proprio: celibe o sposato.

    Credo che la castità significa l'integrazione della sessualità nella persona. e credo che richiede l’acquisizione del dominio di sé .

    Credo che tra i peccati gravemente contrari alla castità, vanno citati la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali.

    Credo che l'alleanza liberamente contratta dagli sposi implica un amore fedele; credo che essa impone loro l'obbligo di conservare l'indissolubilità del loro Matrimonio.

    Credo che la fecondità è un bene, un dono, un fine del matrimonio; donando la vita, gli sposi partecipano della paternità di Dio.

    Credo che la regolazione delle nascite rappresenta uno degli aspetti della paternità e della maternità responsabili. Credo che la legittimità delle intenzioni degli sposi non giustifica il ricorso a mezzi moralmente inaccettabili (la sterilizzazione diretta, la contraccezione, l’inseminazione artficiale omologa o eterologa etc).

    Credo che l'adulterio e il divorzio, la poligamia e la libera unione costituiscono gravi offese alla dignità del matrimonio.

    Credo che “Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore “ (Mt 5,28).

    Credo che il nono comandamento mette in guardia dal desiderio smodato o concupiscenza carnale.

    Credo che la lotta contro la concupiscenza carnale passa attraverso la purificazione del cuore e la pratica della temperanza.

    Credo che la purezza del cuore ci farà vedere Dio: fin d'ora ci consente di vedere ogni cosa secondo Dio.

    Credo che la purificazione del cuore esige la preghiera, la pratica della castità, la purezza dell'intenzione e dello sguardo.

    Credo che la purezza del cuore richiede il pudore, che è pazienza, modestia e discrezione e credo che il pudore custodisce l'intimità della persona

    Credo che la lussuria è suscitata nell’uomo dai suoi terribili nemici: carne , demonio e mondo.

    Credo che essa è un male grave, che tocca misteriosamente l’infinito, credo che ad essa corrisponde una pena eterna nell’inferno.

    Credo che Dio odia il peccato di lussuria e lo punisce, per chi non si pente, con l’ inferno.

    Credo che coloro che diffondono la lussuria, la proteggono o la esaltano sono strumenti del demonio per la nostra dannazione.

    Io credo che se l’uomo conoscesse in profondità, nella luce di Dio, cosa è il peccato di lussuria non lo commetterebbe, perché esso è un grande male e infatti i beati che tutto vedono in Dio non possono compiere tale peccato né altri, Dio infatti, è infinita Bellezza che s. attrae.

    Credo che Dio ci prepara in Cielo un piacere eterno ed immenso nella contemplazione di Lui stesso.

    Credo che tutto il creato, in quanto ha di bello e di piacevole ci parla di quella infinita bellezza e di quell’immenso gaudio e piacere che gusteremo in Cielo, e credo che secondo la Verità in questa vita noi dobbiamo essere casti seguendo Gesù sulla via della Croce, mortificando e “crocifiggendo” il nostro corpo, per poi gustare in eterno della perfezione e anche del piacere che Dio ci prepara in Cielo..

    Credo che con l’aiuto della grazia divina l’uomo può giungere alla perfetta castità perché Gesù stesso ci ha detto siate perfetti, affermando implicitamente che il Padre ci dona la grazia per essere tali.

    Credo che per vivere nella santa castità occorre combattere e vincere contro le tentazioni di lussuria che, specie nella nostra società, sono frequenti e insidiose.

    Credo che i mezzi che Dio ci dona per vincere con Lui la lussuria sono in particolare : i sacramenti, specie la s. confessione e l’Eucaristia, la preghiera soprattutto quella mentale e ancora di più la contemplazione, la fuga delle occasioni di peccato, la santa mortificazione soprattutto quella degli occhi.

    Credo che la castità può essere di vario genere, differenziandosi nei celibi e negli sposati.

    Credo che ogni rapporto coniugale deve essere compiuto in modo naturale senza artifici e metodi che lo rendano inadatto alla procreazione.

    Credo che la pornografia e ogni altro tipo di commercio che sfrutta la lussuria per far arricchire le persone è un grave male ed è in abominio a Dio.

    Credo che chi pecca dando scandalo al prossimo e lo induce, perciò, alla lussuria è grandemente colpevole dinanzi a Dio.

    Credo che tale scandalo può aversi con le parole con gesti, con l’uso di vesti o di immagini.

    Credo che l’Eucaristia SS.ma è la Fonte e il Culmine della castità cristiana perché ci dona di comunicare con le perfezioni soprannaturali di Cristo Signore che è il modello sommo di castità.





    Aumenta o Signore la tua grazia e fa che con sempre maggiore carità, fede e castità giungiamo a ricevere il SS.mo Sacramento sicché da esso traiamo una sempre più grande vittoria sulle forze che ci spingono alla lussuria. Maria SS.ma Madre della santa purezza, SS. Arcangeli e voi tutti angeli del Signore, S. Giuseppe castissimo e voi tutti sante e santi di Dio intercedete per noi, otteneteci la santa castità perfetta e , con essa, l’odio santo e perfetto della lussuria. Amen.


    Tratto da: http://christuscastitas.altervista.o...oni_impure.htm

  2. #2
    Ashmael
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    Nessun danno, nessun peccato.
    Credo che la vera castità sia quella dello spirito da violenza, avidità, odio, egoismo e intollertanza.
    Credo che la castità sessuale sia un falso valore.
    Credo che il sesso fra adulti consenzienti non consanguinei non sia mai peccato, e se usato per scambiarsi amore sia sostanzialmente buono.
    Credo che Dio non si curi se una persona si masturba o guarda immagini erotiche non violente sempre riferite ad adulti consenzienti.
    Credo che Dio benedica l'amore etero e gay.
    Credo che atti omosessuali o eterosessuali fra adulti consenzienti non consanguinei non danneggiando nessuno, non possano esserte peccato.
    Credo che l'obbligo della castità sia innaturale e controproducente.
    Credo che il discrimine fra atti buoni e atti malvagi non possa che essere basato sulla dannosità o meno dell'atto.
    Credo che Gesù abbia scelto la castità per se stesso, ma che non abbia mai voluto imporla ad altri.
    Credo che Gesù voglia da noi carità e amore, non castità.
    Credo che Gesù non abbia mai condannato la libera sessualità, omo o eterosessuale.
    No harm, no sin.

  3. #3
    Veritas liberabit vos
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    Citazione Originariamente Scritto da Ashmael
    Nessun danno, nessun peccato.
    Credo che la vera castità sia quella dello spirito da violenza, avidità, odio, egoismo e intollertanza.
    Credo che la castità sessuale sia un falso valore.
    Credo che il sesso fra adulti consenzienti non consanguinei non sia mai peccato, e se usato per scambiarsi amore sia sostanzialmente buono.
    Credo che Dio non si curi se una persona si masturba o guarda immagini erotiche non violente sempre riferite ad adulti consenzienti.
    Credo che Dio benedica l'amore etero e gay.
    Credo che atti omosessuali o eterosessuali fra adulti consenzienti non consanguinei non danneggiando nessuno, non possano esserte peccato.
    Credo che l'obbligo della castità sia innaturale e controproducente.
    Credo che il discrimine fra atti buoni e atti malvagi non possa che essere basato sulla dannosità o meno dell'atto.
    Credo che Gesù abbia scelto la castità per se stesso, ma che non abbia mai voluto imporla ad altri.
    Credo che Gesù voglia da noi carità e amore, non castità.
    Credo che Gesù non abbia mai condannato la libera sessualità, omo o eterosessuale.
    No harm, no sin.
    Carissimo, hai scrito quella che viene definita una controrazione. Il Credo che ho riportato e che recito ogni giorno in riparazione dei peccati d'intemperanza e lussuria, è una preghiera e per questo nn l'ho inserita nella tua interessante, benché nn condivisibile, discussione sul valore della castità.
    NN ti prendo in giro, ma hai delle doti letterarie notevoli.
    Oh! Se Gesù (quello vero...) ti toccasse il cuore....saresti un ottimo apologeta cattolico.

    Per quanto vale (pochissimo ) pregherò per la tua completa conversione

  4. #4
    Ashmael
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    Caro amico, ti ringrazio della tua civilissima risposta. Preciso che non sono un apologeta del libertinaggio sfrenato, sono solo convinto che l'attività sessuale delle persone, se non danneggia nessuno, non sia male, nè peccato.

  5. #5
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    Citazione Originariamente Scritto da Ashmael
    Caro amico, ti ringrazio della tua civilissima risposta. Preciso che non sono un apologeta del libertinaggio sfrenato, sono solo convinto che l'attività sessuale delle persone, se non danneggia nessuno, non sia male, nè peccato.
    E per queste tue idee, ti reputo più vicino alla Verità integra del cattolicesimo (magari nn tutti gli amici tradizionalisti la pensano come me ..pazienza!)

    Debbo dire che sei uno dei pochi radicali e omosex(persumo tu sia l'uno e l'altro..altrimenti mi scuso) con cui ci si può confrontare civilmente.
    Alla prossima

  6. #6
    **********
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    Citazione Originariamente Scritto da Ashmael
    Caro amico, ti ringrazio della tua civilissima risposta. Preciso che non sono un apologeta del libertinaggio sfrenato, sono solo convinto che l'attività sessuale delle persone, se non danneggia nessuno, non sia male, nè peccato.
    Ti sbagli: non è che ciò che non lede alcuno non è peccato, perchè esistono anche i peccati in pensieri, che, evidentemente, pur non ledendo alcuno, tuttavia, sono sempre un male.
    Ma su questo si è discusso un'infinità di volte .... .

  7. #7
    Veritas liberabit vos
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    «La mortificazione»



    di P. P. Tito S. Centi, O. P.




    Il mondo pagano non la conosceva: la coniò S. Paolo Per esprimere un concetto esclusivamente cristiano.
    La nékrosis che l'Apostolo dice di portar sempre attorno nel suo corpo (II Cor. 4, 10) designa una categoria di operazioni e di abitudini che non figurano in nessun trattato di morale stoica o peripatetica. Si tratta della Croce di Cristo, «scandalo per i Giudei e stoltezza per i gentili», fatta non solo oggetto di predicazione ma programma di vita.
    Un concetto così squisitamente cristiano non sarà mai accetto a quella vasta zona di ombra che accompagna il Regno di Dio in questa terra. Il mondo deride la mortificazione come deride l'umiltà e la povertà volontaria E questa derisione, legata all ripugnanze istintive della natura, mette troppe volte nell'imbarazzo anche molti cristiani.
    La mortificazione è un po' come il distintivo di coloro che credono integralmente la parola di Cristo, e il distintivo non tutti sanno portarlo con fierezza e con disinvoltura. Persino fra coloro che si son dati all'apostolato non sono rari gli amanti del compromesso. Si è così bene imparato ad avvicinare l'ambiente da scomparire del tutto in esso, come il camaleonte.
    Non si avverte più che il conformismo scandalizza non meno del bigottismo. Purtroppo oggi noi siamo dinanzi a un conformismo assai esteso; minaccia di diventare una moda.
    Anche per quanto riguarda l'interesse culturale e letterario, per es., esiste il serio pericolo di essere rimorchiati dai rivieraschi dell'altra sponda, e di subire la tirannia di una mistica che è la negazione di quella cristiana. Parliamo anche noi con troppa preoccupazione di problemi sociali, alimentari e salariali..., e non si pensa che Gesù aveva fame quando disse: «Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
    L'impresa più ardua non è quello di risolvere i problemi del momento presente e le questioni di moda; il Cristianesimo s'impegna di risolvere gli eterni problemi della vita. Tutto il resto viene di suo. Anche qui valgono le parole del Signore: «Cercate prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia; e tutto il resto vi sarà dato in soprappiù».
    C'è del paradossale in questo atteggiamento, bisogna confessarlo; ma la nostra non è una posa. È l'esecuzione semplice di una legge e di un programma divino, che poi è l'unico possibile per raggiungere la vera felicità sia eterna che temporale.
    Ma torniamo alla mortificazione. Si diceva che molti cristiani dei nostri giorni, comprese quelle anime che dicono di aspirare alla perfezione, non ne fanno più quella stima che la fede e la morale cattolica impongono. I sintomi di questo male non sono più soltanto l'immortificazione pratica e il frizzo più o meno innocente: ma c'è allo stato diffuso un sottile movimento di pensiero più o meno apertamente ostile alla mortificazione cristiana.
    Lo spirito di penitenza e di mortificazione dovrebbe apparire come parte integrante nel Sacramento della Penitenza. Ed è proprio qui che ne notiamo subito la crisi. I confessori, nonché i moralisti, sono pieni di misericordia e di condiscendenza. I primi si guardano bene da incomodare in qualsiasi modo il penitente, anche se questi ha sull'anima parecchie decine di peccati mortali e di varia specie. I secondi consigliano quasi esclusivamente la moderazione. C'è chi considera soddisfazione grave la recita di cinque Pater noster; chi esonera dall'obbligo della soddisfazione il penitente il quale mostri una straordinaria contrizione; e chi invece riduce al minimo la penitenza qualora il pentimento sia piuttosto discutibile.
    Molti confessori e moralisti dimenticano che i consigli di moderazione dati dagli autori antichi hanno di mira una prassi infinitamente più rigida della nostra. Se pensiamo la facilità con la quale un tempo s'imponeva un pellegrinaggio in luoghi remoti, una serie di discipline, o un periodo di digiuno, si capisce come S. Tommaso, per es., abbia creduto bene di consigliare moderazione con un penitente il cui dolore è più un focherello che un incendio (Quodl. 3, q. 13, a. 28).
    Ma quando oggi si deve trattare con persone insofferenti di ascoltare una predica o una Messa in giorno feriale dopo qualche anno di abbandono totale delle pratiche religiose, bisogna rivedere il giudizio sulla sufficienza della loro contrizione, non ridurre la penitenza a una cosa irrisoria. Si finisce così con lo scandalizzare; perchè dall'atteggiamento conciliante del confessore costoro non impareranno certo a comprendere la gravità dei loro peccati.
    L'assenza dello spirito di mortificazione si nota poi in maniera sempre più preoccupante in quella tiepidezza e mediocrità nella quale languisce la vita spirituale di molti cristiani, Pio XI nella sua Enciclica «Charitate Christi compulsi» faceva questa amara constatazione: «Sappiamo bensì e con voi deploriamo, Venerabili Fratelli, che ai nostri giorni l'idea e il nome di espiazione e di penitenza hanno presso molti perduto in gran parte la virtù di suscitare quegli slanci di cuore e quegli eroismi di sacrificio, che in altri tempi sapevano infondere presentandosi agli occhi degli uomini di fede come sigillati di un carattere divino ad imitazione di Cristo e dei suoi Santi: né mancano alcuni che vorrebbero mettere da parte le mortificazioni esterne come cose di tempi passati; senza parlare poi del moderno "uomo autonomo" che disprezza la penitenza come espressione di indole servile». (A.A.S. Jun. 1932).
    Alla distanza di quattordici anni non possiamo dire che la situazione sia molto cambiata. Anzi, se c'è stato un cambiamento per molti a causa della guerra, quasi sempre si è verificato in peggio. Quanto poche sono state le anime che hanno accettato tutte le sofferenze di questi anni in spirito di penitenza e di riparazione! Quanti sono ai nostri giorni i cristiani che sentono il dovere di far penitenza dei propri peccati, e di imitare il Cristo nella sofferenza?
    * * *
    Non siamo però tanto pessimisti da credere che l'invito alla penitenza sia oggi un grido nel deserto. Esistono ancora le anime generose (che, a dire la verità, in tutti i secoli non sono mai state legione). Si è registrato, in questi anni per esempio, il successo librario dell'aureo libretto del Can. G. Bardi, La mortificazione esterna che è un invito alla penitenza; indizio sicuro che molti cristiani sentono ancora il fascino della Croce, anche se la pusillanimità li incatena sullo scoglio del compromesso. L'esortazione fraterna può giovare a rompere questi legami, e difendere dal pericolo di ascoltare le sole voci del nostro istinto le preoccupazioni dei mediocri e dei rinunziatari.
    È necessario innanzi tutto che della mortificazione noi abbiamo un concetto proporzionato alla sua alta funzione ascetica; perchè è impossibile amare ciò che non si apprezza. È utile perciò ricordare le parole di Pio XI di gloriosa memoria nell'Enciclica già citata: «La Penitenza è come un'arma salutare che è posta in mano dei prodi soldati di Cristo, che vogliono combattere per la difesa e il ristabilimento dell'ordine morale dell'universo». È diventato di moda parlare oggi di ricostruzione anche morale, ma pochi immaginano di dover cominciare dal mortificare se stessi.
    Che la penitenza sia un mezzo di ascetismo è facile a capirsi; ma forse non tutti si rendono ugualmente conto della sua importanza come difesa concreta del patrimonio della Fede crisitiana. Ma basta un momento di riflessione: «Chi dà soddisfazione a Dio per il peccato, riconosce con ciò stesso la santità dei supremi principi della moralità, la loro interna forza di obbligazione, la necessità di una sanzione contro la loro violazione... Ed è ovvio che quanto più si affievolisce la fede in Dio, tanto più si confonda e svanisca l'idea di un peccato originale e di una primitiva ribellione dell'uomo contro Dio, e quindi ancor più si della necessità della penitenza e dell'espiazione (Ibid.).
    Sarebbe facile poi ricordare come la mortificazione sia la base per il ristabilimento della pace nel mondo, specialmente se consideriamo l'esempio dei Santi che a imitazione del Divino Redentore hanno espiato i peccati dei loro fratelli. E dalla pace si passa alla gioia.
    La vera gioia dello spirito non potrebbe essere altra cosa che l'espressione del trionfo sulla carne.
    Pur ammettendo la dignità di quanto in natura è degno del nostro rispetto e venerazione, non dobbiamo dimenticare che l'opera della Redenzione che è il capolavoro della Divina sapienza, è un atto di espiazione. «Se il lavoro è tra i maggiori valori della vita, è però stato l'amore di un Dio paziente quello che ha salvato il mondo» (ibid.).
    * * *
    È impresa relativamente facile parlare della bellezza e della necessità della mortificazione; ma si resta un po' imbarazzati quando ai tratta di consigliare praticamente delle mortificazioni. Dobbiamo insistere sulla mortificazione interna e su quella esterna. Dobbiamo limitarci ai digiuni e alle astinenze o è necessario praticare la disciplina e portare il cilizio?
    Non tutto noi possiamo praticare, certe penitenze dei Santi sono certamente più ammirabili che imitabili. Ma nessuno è autorizzato a dichiarare superfluo quello che i Santi hanno compiuto in ordine alla perfezione cristiana e alla salvezza.
    Il Signore Gesù ha detto anche a noi quelle parole: « Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perchè larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione e molti son quelli che entrano per essa; mentre stretta è la porta e angusta è la via che conduce alla vita e pochi son quelli che la trovano » (Matt. 7, 13, 14).
    Gli ostacoli che noi poniamo al trionfo del Regno di Dio nelle anime nostre devono essere rimossi a prezzo di qualsiasi sacrificio; e come ognuno di noi ha i suoi ostacoli così ciascuno deve avere, le proprie pratiche di mortificazione. «Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo devi strappartelo e gettarlo lungi da te... E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala via e gettala lungi da te» (Matt. 5, 29, 30).
    La specializzazione non ci dispensa però dall'accettare quelle mortificazioni che la Chiesa impone a tutti i suoi figli. La guerra ci ha dato la riprova che alle persone adulte i digiuni e le astinenze poste dalla legislazione ecclesiastica, anche se osservati col massimo rigore, sono ben lungi da recare qualsiasi danno. La medicina moderna non ha che da lodare la pratica del digiuno di un giorno per settimana, in uso presso molte Comunità religiose.
    Potrebbe forse essere discutibile sotto l'aspetto sanitario l'astinenza perpetua dalle carni, uova e latticini inclusi; discutibile però non dovrebbe significare altro che soatituibile. La medicina moderna può essere utilmente consultata dalle anime penitenti, per imparare a farsi... del male senza ammalarsi. Impareremo così che il digiuno settimanale può esser portato al più grande rigore con beneficio della salute. Che una doccia fredda può esser insieme un atto di mortificazione e un esercizio igienico. Lo stesso dicasi della disciplina, quando non arrivi fino a una larga effusione di sangue, come guidati da un istinto soprannaturale facevano i Santi. La grande medicina moderna non si perita affatto di consigliare una vita rude e austera. (A proposito di digiuni e di astinenze si può utilmente consultare: Henry Bon, Medicina e Religione; Torino, Marietti, 1940, pp. 451-468).
    Senza dubbio le mortificazioni interiori sono più apprezzabili che quelle esterne, ma son troppi quelli che disprezzano queste ultime a favore delle prime. S. Vincenzo de' Paoli ammoniva: «Chi fa poco conto delle mortificazioni esteriori, con dire che le interiori son più perfette, chiaramente dimostra, che non è niente mortificato, né esteriormente, nè interiormente» (Cfr. Diario Spirituale; Napoli, 1778, p. 114).
    Senza troppo sofisticare sarà bene per le anime nostre applicare alla pratica della mortificazione un principio della filosofia perenne: «ogni conoscenza comincia dai sensi». Noi imiteremo i Santi se cominceremo col mortificate il nostro corpo.
    All'idolatria della carne che il mondo proclama bisogna opporre coraggiosamente la follia della Croce, secondo il pensiero di Cristo e di S. Paolo. Ai nostri contemporanei che ingenuamente credono, nonostante la quotidiana esperienza catastrofica, alla naturale bontà del cuore umano, dobbiamo dimostrare che la restaurazione dell'uomo è un'impresa affidata ai violenti. Ma la violenza che salva non è quella che si scaglia vilmente contro il prossimo: è la violenza contro se stessi. «Il Regno dei cieli si acquista con la forza e i violenti se ne impadroniscono» (Matt. 11, 12).


    testo tratto da: P. Tito S. Centi, O. P, «La mortificazione», Vita Cristiana (XVI, 1947), pp. 115-124.

  8. #8
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    Comunione spirituale in particolare per ricevere Cristo perfezione della S. Castità.

    Gesù, Dio, Provvidente e Onnipotente, Modello e Causa della S.castità io credo che tu sei realmente contenuto nel SS.mo Sacramento con il tuo Corpo Gloriosissimo, con il tuo Sangue Preziosissimo, con la tua Anima Beatissima e con la tua Divinità Infinita, Onnipotente e Santissima, credo che mi vuoi donare, attraverso la comunione con Te, di partecipare sempre più perfettamente alla tua grazia, alle tue virtù SS.me, in particolare alla tua santissima castità, ai tuoi doni dello Spirito Santo rendendomi sempre più simile a Te. Ti amo con tutto me stesso e desidero unirmi a Te e partecipare sempre più pienamente della tua vita divina e delle tue perfezioni SS.me. E poiché ora non posso comunicarmi sacramentalmente uniscimi almeno spiritualmente a Te.

    (Pausa di raccoglimento)

    Come già unito a Te e partecipe delle tue perfezioni SS.me, ti ringrazio , ti benedico e con Te tutto mi offro al Padre tuo impegnandomi a vivere con Te in Te e per Te tutte le sante tue virtù cosicché tutta la tua Legge Perfetta , con i tuoi s. consigli, sia da me attuata e compiuta. Sia lode, gloria, onore, amore e adorazione a Gesù Verità, Vita e Via. Amen

  9. #9
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    L'educazione della purezza

    L'educazione
    della purezza


    dal Trattato di Teologia Morale


    DOVERI DELL'UOMO VERSO SE STESSO

    I. I DUE SESSI NEI DISEGNI DI DIO (III)

    4. L'EDUCAZIONE DELLA PUREZZA

    I. NECESSITÀ ED AMBITO DELL'EDUCAZIONE (444).

    1. La nativa bontà degli istinti che presiedono alla riproduzione della specie non può essere una sufficiente garanzia per la virtù: la loro indole paradossale, resa ancor più impetuosa dal peccato di origine, e l'influenza deleteria delle molteplici sollecitazioni esterne rendono necessaria un'opera di educazione e di profilassi che va iniziata fin dalla prima età.
    2. Codesta opera consiste nella metodica disciplina di tutti gli elementi - biologici, psicologici e spirituali - che sono impegnati nell'esercizio di questa virtù. Che, come la impurità non è semplice espressione di istinto, ma è insieme sentimento, pensiero e volontà aberrante (i primi due coefficienti costituiscono il corpo del peccato ossia la parte materiale, e gli altri due ne sono l'elemento formale), così la purezza implica dominio dell'istinto e dell'emotività da parte dell'attività dello spirito, educata a tale senso di autodominio.
    È necessario, pertanto, educare l'organismo, la sensibilità, lo spirito, cercando di evitare o eliminare tutte quelle cause che possono rendere più acuti gli istinti oppure possono stimolarne l'esercizio, e sforzandosi di sviluppare tutte quelle risorse che valgono a corroborare la volontà.

    3. A tale riguardo si suole giustamente distinguere una duplice educazione, generica l'una, specifica l'altra.
    La prima consiste nella remota preparazione del corpo, del senso e dello spirito al senso della fortezza, della rinunzia, del dominio di sé ed a tutte quelle virtù che, pur essendo distinte dalla purezza, ne favoriscono lo sviluppo (sincerità, magnanimità, religione ecc.).
    La seconda riguarda la cura o disciplina di tutti quegli elementi che hanno immediata attinenza con i problemi relativi alla purezza. Ciò importa, tra l'altro, l'educazione della fantasia, del cuore e il culto della modestia (445).
    Naturalmente il problema dell'educazione alla purezza, pur essendo unico nella sua base, si differenzia da caso a caso, attese le diverse circostanze di temperamento, di età, di ambiente in cui l'individuo può trovarsi.
    Comunque, in ogni caso, è necessario far leva tanto sulle risorse e sugli espedienti di ordine naturale come su quelli di ordine soprannaturale; che la grazia esige la collaborazione della natura, e questa, senza della prima, si rivela impari all'arduo compito educativo, soprattutto su questo terreno.

    II. EDUCAZIONE ED INIZIAZIONE SESSUALE COEDUCAZIONE.

    1. Educazione e iniziazione sessuale (446).

    Il problema è proposto in maniera formale nel secolo XVIII: È utile o dannoso rivelare ai giovani i misteri della vita ed iniziarli alla vita sessuale?
    Le risposte sono state diverse, ne è facile sistemarle tutte in schemi ben definiti. Non si può non tener conto, nel giudizio, delle differenze talvolta assai notevoli, che distinguono un autore dall'altro nella linea di una stessa tesi o identico indirizzo, ed accade anche di trovarsi nel campo cattolico di fronte ad opinioni solo in apparenza contrarie.
    A voler classificare le varie opinioni grosso modo oggi, si potrebbe essere indotti a dire che si nota un senso di fiducia per il metodo dell'iniziazione sessuale.
    Però tra coloro i quali si dimostrano favorevoli alla rivelazione dei misteri della vita, alcuni parlano di una rivelazione completa, simultanea, tecnica, che non si limiti all'esposizione del processo della generazione, ma si estenda altresì alla descrizione dei peccati, delle perversioni sessuali e delle malattie, ne rifuggono da un'iniziazione collettiva, nelle stesse pubbliche scuole; altri, ancor più audaci, ascrivono a fobia o a causa di fobie la fuga dei pericoli, mentre ritengono che una maggiore libertà renda più sereno e più forte lo spirito; altri invece - e può dirsi tesi più cònsona ai princìpi cattolici - parlano dell'opportunità della rivelazione dei misteri della vita, purché essa sia semplice (non tecnica), graduale, prudente e fatta singolarmente.
    Inoltre nessun cattolico crede nell'efficacia esclusiva di tale illuminazione, ove questa non sia accompagnata dall'educazione della volontà e dall'aiuto della grazia.
    I documenti della Chiesa, sono stati via via sempre più favorevoli a questo indirizzo; ma condizionano la rivelazione dei misteri della vita all’esame di tutte le circostanze ed all'uso di tutte le cautele suggerite dalla prudenza cristiana, e riservano tale compito a coloro che hanno da Dio l'ufficio di educare (468).
    Ecco come si esprime il Concilio ecumenico Vaticano II; " I fanciulli... debbono ricevere, man mano che cresce la loro età, una positiva e prudente educazione sessuale " (469).
    In armonia a tale indirizzo si suggeriscono i seguenti rilievi:

    a) Causa del peccato di impurità nei giovani non è, in genere, l'ignoranza, ma sono le passioni, e queste tutt'altro che essere sedate dalla conoscenza delle cose attinenti al sesso, possono trovare in essa un iniziale appagamento (lussuria larvata) ed un forte incentivo, specie in un'età, in cui problemi della sessualità, per la stessa novità dei fenomeni, acquistano spesso un carattere paradossale e talvolta ossessionante.

    b) Quando al contrario si osserva, specie in campo acattolico, che non ci si deve vergognate di cose create da Dio, si dimentica il dogma del peccato di origine, e non si riflette sulla funzione inibitrice del pudore, di cui l'ordinario riserbo intorno ai misteri della vita costituisce una delle principali espressioni.
    D'altra parte la stessa natura ordinariamente illumina la mente del giovane o della fanciulla sui problemi della vita, suscitando però nel tempo stesso, il sentimento cosciente del pudore. Rompere o diminuire la forza inibitrice di tale freno nuoce naturalmente alla virtù.

    c) Per questo motivo è da condannarsi il metodo della iniziazione sessuale tecnica, simultanea, collettiva, anche se limitata alla sola conoscenza dei problemi attinenti al sesso, con l'esclusione di qualsiasi esperimentazione (il che in qualche luogo non si esclude).

    d) Per un motivo analogo noi non vediamo se sia veramente utile la rivelazione dei misteri della vita prima della età prossima alla pubertà, È illusorio pensare di poter anticipare tali notizie, senza suscitare nell'animo dei giovanetti curiosità morbosa e la tentazione di esperienze naturalmente coperte di mistero. D'altra parte la pubertà non esplode come un fenomeno improvviso, ma è preparata da lunga data, attraverso cicli, di cui non è ancora conosciuta pienamente la natura. Da ciò la necessità di una gradualità.
    Comunque, la precocità genesiaca, se talvolta è effetto di una vera anormalità fisiologica, il più delle volte non è in relazione con la precocità dello sviluppo organico generale, ma è il prodotto della fantasia, è la provocazione volontaria e forzata dell'istinto, e costituisce perciò un fenomeno di aberrazione derivante da un'educazione mal diretta (449).

    e) D'altra parte si da realmente il caso che anche prima della pubertà i ragazzi e le bambine muovano delle domande relative ai misteri della vita.
    Tali domande non sono sempre legate con i vari stadi dello sviluppo psicosessuale, come qualche autore ritiene; molte volte la domanda è rivolta ingenuamente occasionata da circostanze fortuite, e, passato quel momento, non lascia traccia alcuna nell'animo del fanciullo. Altre volte invece essa costituisce una vera curiosità, che assedia la mente del ragazzo, ed è determinata dal crescente interesse che egli, specie in quella che alcuni autori chiamano la prima pubertà, ha per il proprio corpo.
    In nessuno dei due casi conviene, sotto lo stesso profilo pedagogico, ricorrere alle bugie o alle favole: oltre al resto, ciò potrebbe diminuire sensibilmente la fiducia nei genitori o negli educatori, una volta che sia riconosciuto l'inganno. Nel primo caso una risposta vera, ma assai generica, sarà più che sufficiente; nel secondo caso invece conviene appagare la curiosità, ma in maniera sobria e proporzionata alla stessa età di chi domanda, con serenità ed insieme con riserbo, evitando nel proprio atteggiamento tutto ciò che, aumentando l'aria di mistero, possa accrescere, anziché sedare, la curiosità di chi interroga.

    f) Può anche darsi che il giovanotto o la fanciulla, senza rivolgere tali domande, manifesti diversamente la sua curiosità e cominci già a presentare i sintomi o a dare le prove di una morbosità, forse ancora non pienamente cosciente, ma che, ove non sia dominata in tempo, potrebbe compromettere gravemente sia il fisico quanto e soprattutto lo spirito.
    In tali casi può risultare l'opportunità di un ammonimento che illumini e salvi dal pericolo.
    Parimenti può riconoscersi talvolta l'opportunità di una sobria e casta illuminazione, a fine di evitare timori o preoccupazioni in ordine ai fenomeni propri dello sviluppo. Come è stato già osservato, tale compito è riservato a coloro che ne hanno il mandato.

    g) Da osservare inoltre che altro è rilevare i misteri della vita a chi ne è ignaro, allo scopo di premunirlo contro i pericoli, altro è ammonire con severità e castigatezza di linguaggio chi già, conoscendo tali misteri, comincia a sperperare e profanare le energie riservate da Dio alla riproduzione della specie.
    Tale ammonimento si rivela soprattutto opportuno nei casi di procacità sessuale, sia essa dovuta a malsana educazione o costituisca un caso di vera anomalia.

    h) II problema della rivelazione dei misteri della vita riguarda i giovani in genere, non coloro i quali si preparano prossimamente al matrimonio. In costoro l'ignoranza della vera natura dell'oggetto del consenso potrebbe, oltre al resto, compromettere la stessa validità del vincolo. È necessario che tanto lo sposo quanto la sposa, conoscendo l'oggetto dei loro diritti, ne conoscano altresì i limiti e siano pienamente consapevoli dei loro doveri. Ma oggi, tutto ciò è, nella maggioranza dei casi un problema superato.
    i) Infine altro è esporre sistematicamente ai pericoli, nella vana fiducia che ciò possa servire a immunizzare contro i medesimi, altro è rifuggire da tutte quelle forme di fobia, che, anziché giovare alla virtù, la danneggiano. Il principio su cui poggia il metodo sopra denunziato è assai diverso, anche se presenti delle apparenti somiglianze, da quello su cui poggia la sana pedagogia, la quale crede all'efficacia di una naturale vaccinazione in questa materia, purché si tratti di spontanea, graduale e prudente conoscenza delle cose, che hanno attinenza col sesso, che si ha per il naturale contatto con le medesime, e purché non si prescinda dall'aiuto della grazia di Dio.

    2. Coeducazione.

    Oltre ai fautori del naturalismo che hanno creduto di trovare nella coeducazione un elemento favorevole alla sanità dei costumi, in contrasto con i pericoli dell'auto-erotismo, tale metodo è stato lodato anche da molti cattolici. Si vede in questo una forma di graduale vaccinazione contro il male, un incentivo alla gentilezza ed all'emulazione, ed una espressione analoga alla vita di famiglia (450).
    In realtà il confronto con la vita di famiglia è alquanto forzato, e ci sembra che si eccede nell'applicazione del principio ab assuetis non fit passio, dimenticando che la consuetudine può eliminare l'urto della impressione nuova, ma non toglie, anzi aumenta il pericolo che deriva dal continuo contatto, con ciò che costituisce uno stimolo naturale delle passioni, non solo per la sua novità, ma per il suo contenuto.
    Perciò non si può stimare del tutto arcaica l'opinione che riteneva la coeducazione contraria alla specifica formazione dei due sessi. " Questi, osservava Pio XI nell'Enc. Divini ìllius magistri, del 31 dic. 1929, conforme agli ammirabili disegni del Creatore, sono destinati a compiersi reciprocamente nella famiglia e nella società, appunto per la loro diversità, la quale perciò deve essere mantenuta e favorita nella formazione educativa, con la necessaria distinzione e la corrispondente separazione, proporzionata alla varietà e circostanze (451). Tuttavia oggi sono ammesse esperienze contrarie nelle stesse scuole cattoliche con il consenso dell'Ordinario e della rispettiva Conferenza episcopale (452).
    È infatti, in materia, da attendere l'ambiente socio-culturale proprio di ogni età,

    3. Patologia e terapia sessuale (453).

    In senso lato costituiscono dei fenomeni patologici tutte le anomalie che si manifestano nelle espressioni degli appetiti genesiaci, anche se transitori e facilmente emendabili. In senso stretto vanno, invece, sotto questo nome solo le mostruosità abituali, difficilmente correggibili e che non si limitano solo all'azione, ma denotano una deviazione dell'istinto. Può, infatti, darsi il caso in cui l'aberrazione sessuale abbia solo un valore surrogatorio.
    Gli autori sogliono distinguere le inversioni (uranismo, saffismo, pederastia) dai pervertimenti sessuali (autoerotismo, satiriasi, feticismo, sadismo ecc.), sebbene non sempre siano d'accordo sulla classificazione dei singoli fenomeni.
    Bisogna, peraltro, notare che nella sfera della stessa inversione o perversione sessuali si notano spesso differenze assai profonde nelle tendenze.
    Inoltre in tutte queste manifestazioni aberranti dell'istinto genesiaco bisogna distinguere: le forme degenerative o congenite, dovute a qualche anomalia di natura ereditaria; le forme acquisite, dovute ad abitudini viziose, ad influenze dell'ambiente e a diversi fattori di origine sociale; le forme sintomatiche, che si manifestano in modo secondario ad altri stati di malattia mentale (epilessia, imbecillità, alcoolismo ecc.).
    Quanto all'imputabilità degli atti posti sotto la spinta di tali malattie valgono i princìpi generali relativi alla libertà, tenendo presente che bisogna essere quanto mai cauti nella formulazione dei giudizi, e che il peccato grave può aver luogo anche se la responsabilità sia diminuita, purché l'atto sia sostanzialmente libero.
    Nella cura è necessario tener conto della forma e, quindi, della causa del male, riflettendo, però, che, ove non si tratti di forme sintomatiche in rapporto con malattie mentali, che tolgano completamente la responsabilità degli atti, l'educazione o rieducazione della volontà ha sempre un valore preminente, e che anche nelle forme congenite, il pessimismo che spesso accompagna le prognosi mediche non può essere senz'altro di norma per il giudizio del moralista: si tratta, infatti, il più delle volte di previsioni fondate unicamente sull'efficacia dei mezzi naturali e su esperienze di soggetti, che non hanno conosciuta la potenza correttiva della grazia, Anche se non si riesce a correggere completamente l'istinto, si può, con l'aiuto della grazia, riuscire sempre a dominarlo, ogni qualvolta rimane sostanzialmente integro l'uso della libertà.
    Anche in ciò è necessario reagire alle superstizioni del naturalismo.

    4. I DOVERI DELL'UOMO RELATIVAMENTE ALLA SUA VITA SPIRITUALE

    Intendiamo assumere questo termine " la vita spirituale dell'uomo " nella sua accezione più larga, ma propria, comprensiva sia dell'ordine naturale come di quello soprannaturale.

    I. DOVERI DI ORDINE NATURALE.

    Essi poggiano sul presupposto facilmente comprensibile della preminenza dello spirito e della necessaria convergenza di tutti i valori umani, sul piano naturale, verso i valori dell'intelletto e della volontà, È necessario, tuttavia, tener presente la gerarchia di tali valori, per poter stabilire la gerarchia dei doveri.
    Lasciando da parte la questione (vexata quaestio) relativamente al rapporto di preminenza tra intelletto e volontà (454), non si può negare che, nell'ordine etico, è dalla volontà libera che l'attività dell'uomo acquista il suo valore umano e che, contrariamente a quanto ritenne la filosofia stoica, la virtù propriamente non è sapere. Ciò tuttavia non significa disprezzo o sottovalutazione della vita intellettuale.

    1. Questa ci è necessaria per l'esplicazione della nostra missione; sicché non si può anzitutto senza grave peccato esporsi al pericolo di perdere la capacità di conoscere. Né si può direttamente abbreviare la vita cosciente dello spirito, sia pure per evitare l'orrore di una morte consapevole (eutanasia).
    Ma si arrestano solo a questo minimo i nostri doveri verso la vita intellettuale, o vanno oltre, rendendo obbligatorio l'impiego dei talenti ricevuti da Dio?
    A considerare empiricamente il problema, ed a voler dare alla parabola dei talenti un significato più ampio di quello che essa di fatto ha, parrebbe di dover rispondere affermativamente. D'altra parte, accolta tale risposta, sorgono immediatamente nell'animo innumerevoli altri dubbi: come è dato sapere, in ordine al conoscere, tutte le possibilità dei singoli? e come conciliare l'obbligo della cultura per tutti coloro che ne hanno la capacità con gli altri doveri della vita quotidiana e le esigenze della vita sociale? Giacché molti tra coloro che devono, per il loro impiego o la loro arte, limitare necessariamente la loro cultura, avrebbero in sé possibilità assai larghe. Non si tratterebbe, pertanto, nel caso di un dovere utopistico?
    Il problema va risolto tenendo presente il fine della cultura, che è, in fondo, il fine stesso del conoscere. Questo è terminalmente ordinato a Dio, il resto ha funzione di via. L'incessante " propensione " del pensiero pensante oltre i limiti del pensiero pensato, così bene approfondita ed esposta dal Blondel (455) denunzia chiaramente tale finalità. Il pensiero è continua ricerca di ciò che ancora non si conosce, e pur in un certo senso si divina (che, altrimenti, non potrebbe essere ricercato).
    Con ciò non si vuoi negare il valore della conoscenza singolare, ma la sua incompletezza, senza tale complemento; e si vuole anche concludere che il dovere del conoscere non può, per tutti, essere orientante verso ciò che ha ragione funzionale, mentre esiste in ordine a ciò che ha valore di fine. In questo senso si applica anche al conoscere la parabola dei talenti.
    Quanto al resto, è necessario considerare la via da ciascuno, scelta per il raggiungimento del proprio fine, ossia la missione di ognuno. In tal modo il dovere del conoscere non può, per tutti, essere orientante verso ciò che si estende, per lo meno, a ciò che è necessario conoscere per esercitare rettamente la propria professione in un determinato ambiente (456).

    2. Altro dovere fondamentale, richiesto dal retto amore di sé, riguarda la cura della propria libertà, intesa sia nella sua accezione psicologica, sia nel suo contenuto etico (457).

    3. La stessa Scrittura considera un altro bene naturale dell'uomo: l’onore (458). In realtà esso ha un duplice valore e una duplice efficacia: individuale e sociale. La stima degli altri giova non poco a sostenere il nostro animo: ciò dipende dalla nostra finitezza e dalla naturale espansione della nostra personalità nella vita sociale. D'altra parte, per poter giovare agli altri, ordinariamente abbiamo bisogno della loro fiducia.
    Di qui il dover di aver cura del nostro buon nome, e di difenderlo, ove sia compromesso, anche se talvolta per motivi superiori si possa permettere il vilipendio. La stima, infatti, è sempre subordinata all'effettivo valore. Lasciarsi dominare dalla preoccupazione del giudizio degli uomini sarebbe contrario alla nostra interiore libertà ed al nostro vero bene. Tanto meno può esso segnare la meta del nostro operare: ciò sarebbe mortificante vanità e rivelerebbe il vuoto dello spirito.
    Non bisogna dimenticare che noi abbiamo collocato la cura dell'onore nell'ambito dei doveri di carità verso noi stessi, e che questa non è vera carità se non termina in Dio.

    II. NELL'ORDINE SOPRANNATURALE.

    1. L'amore della propria anima esige:
    a) che ne cerchiamo la salvezza ed anteponiamo questa a qualsiasi altro bene;
    b) l'uso dei mezzi necessari per raggiungerla;
    c) l'impiego soprannaturale della vita presente;
    d) la ricerca della nostra perfezione soprannaturale, conforme a quanto abbiamo detto altrove. Difatti noi non possiamo non volere
    , dal punto di vista psicologico, il nostro maggior bene; ed il nostro volere non sarebbe ordinato, qualora tale volontà non coincidesse, in concreto, col desiderio del nostro vero bene.
    Si lede, pertanto, il dovere di carità verso se stessi non solo col peccato, ma anche con l'esporsi, senza motivo proporzionato al pericolo di peccare, e differendo a lungo, dopo la colpa, la penitenza.

    2. Dai principi accennati si ricava facilmente la seguente conclusione: nessuna ragione ne di ordine individuale, ne di carattere sociale può mai giustificare la colpa, sia pure veniale. E ciò vale anche nel caso in cui dal nostro operare derivasse, accidentalmente, un grande onore a Dio. Non può esserci né comandato né permesso di procurare, al di fuori di noi, la gloria di Dio, opponendoci ad essa dentro noi stessi.
    Ma è lecito anteporre il bene degli altri al nostro bene spirituale, ove non si tratti di cose necessarie alla salvezza?
    Il problema rientra nel problema più ampio dell'ordine della carità, e sarà affrontato a suo luogo. Per il momento è sufficiente osservare che anche quando noi ci dimentichiamo, non possiamo mai perder di vista noi stessi, nel senso che non possiamo, neppur parzialmente, negarci: le nostre azioni, anche quando sono orientale verso gli altri, sono sempre nostre ed hanno sempre un valore immanente. D'altra parte, non possiamo dimenticare il nostro dovere di tendere alla perfezione.

    3. Bisogna, peraltro, ricordare che tale dovere riguarda il fine, non si estende, per sé, alla via: questa, anche quando faciliti il raggiungimento della perfezione, è, per sé, oggetto di consiglio.
    Inoltre lo stesso consiglio non ha luogo, nei casi concreti, se non nel concorso di tutte le condizioni (possibilità, attitudini, ecc.), che rendono tale via realmente più atta per il raggiungimento della perfezione cristiana. È in questa luce che va inquadrato il problema della vocazione (459).

    NOTE

    444 Cfr. P. CASTIULON, Education de la pureté, Paris s. d.; J. FONSEGSÌVE, L'éducation de la pureté, Paris 1905; A. GEMELLI, Non moechaberis, Florentiae 1912; GILLET, Innocence et ignorance: éducation de la pureté, Paris 1912; G. OLGIATI, I nostri giovani e la purezza, Milano 1918; T. TIHAMER, Giovinezza pura, Venezia 1928; M. LEPORE, La purezza forza del corpo, Torino 1938; E. PAGANUZZI, Purezza e pubertà, Brescia 1943; A. LEMAIRE, L'educazione della purezza.... Torino 1943; A, LANZA - P. PALAZZINI, o. e., 209 ss,, A, BOSCHI, o, e,, 397 ss,; L. GUARNERO, L'educazione sessuale, Milano 1951; P, PALAZZINI, Educazione, iniziazione sessuale, coeducazione, in fronte della famiglia, 4 (1952) 173-177; E. VALENTINI, Il maestro e l'educazione sessuale dei fanciulli, in Civiltà Cattolica (1952) II, 416-427; A. GRUBER, II dramma della pubertà, Roma 1956; I. VIOLLET, L'educazione della purezza e del sentimento, 2° ed.. Roma 1959; A. PLÉ, Vita affettiva e castità. Roma 1965; V. COSTA, Orientamenti per una psicopedagogia pastorale della castità. Roma 1966; E. FERASIN, Matrimonio e celibato al concilio di Trento, Roma 1970.
    445 Cfr. L. GUARNERO, La legge dell'amore. Educazione della sessualità, Torino 1951; C. A. HERBST, Modesty, in Rev. far Religious, 10 (1951) 247-252; G. DA VICOLO, Rimedi contro le tentazioni impure, in Vita Christiana (1950) 53-66; 244-258; A. PICKERING, Religious instruction and purity, in Clergy Rev., 36 (1952) 348-357. Pio XII, enc. Sacra virginitas, 25 marzo 1954; PAOLO VI, enc. Sacerdotalis coelibatus, 24 giugno 1967.
    446 Tra i documenti ecclesiastici sull'argomento, cfr. Pio XI, enc. Casti connubii, 31 dicembre 1930: AAS, 22 (1930) 539-592; ID., enc. Divini illius magistri, 31 dicembre 1929: ib. 49-86; Decreto del Sant'Uffizio, 21. marzo 1931: ih 23 (1931) 118; Pio XII, Discorso 26 ottobre 1941: ìb. 33 (1941) 450-458; 18 settembre 1951; 23 settembre 1951; 19 marzo 1953: ib. 43 (1951) 730-734; 734-738. Cfr. poi: A. BOSCHI, Problemi morali del matrimonio, Torino 1953, 397 ss.; A. LANZA - P. PALAZZINI, o. e., 40 ss. e 40 not. 1; DAUPHIN-DURANDIN, Essi vi chiedono come sono nati, Milano 1952; L. GUARNANI, L'educazione della gioventù in ordine al problema sessuale. Roma 1971.
    447 In primo luogo i genitori, che dovrebbero essere preparati a tale compito e innanzitutto avere idee rette essi stessi. Cfr. A. LANZA, Natura ed etica della famiglia, in Ricostruzione della famiglia, Roma 1943.
    448 Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis n. 1 del 28 ottobre 1965,
    449 Cfr. G. FRANCESCHINI, Vita sessuale, Milano 1937, 258 ss.; G. HOORNAERT, A coloro che hanno vent'anni, Torino 1944; G. DE NINNO, Castità ed educazione sessuale, in Cento problemi di coscienza, 2" ed.,
    Assisi 1959; AA.VV., L'uomo e la sua sessualità, Brescia 1968; M. QUARTANA, La verità sull'origine della vita - Risposte ai nostri figli, Roma 1970.
    450 Instructio, della Congr. de Propaganda fide, de scholis publicis, ai Vescovi degli Stati Uniti d'America Sett., 24 novembre 1875; al Vescovo Jassen, 22 agosto 1900; Instructio, 23 aprile 1868, circa scholas et collegio mixta, in Collectanea de Prop. fide, n. 1449, 2093, 1329 ecc. Cfr. H. THURN, Koedukiation psychologisch gesehen, in Stimmen d. Zeit, 149 (1951-1952) 140-143; N. GALLI, Norme di convivenza giovanile: l'amicizia e la vita di gruppo, in Orientamenti pedagogici, 11 (1964) 484-513; P. GIANOLA, Problemi della coeducazione, ib., 657-671.
    451 Denz. S, 3698 [2215].
    452 Declaratio de educatione della S. Congr. per l'educazione del 1° febbraio 1971.
    453 Cfr. A. GEMELLI, Non moechaberis, Florentiae 1912, 71-76, 211-245; V. M. PALMIERI, Medicina legale canonistica, Città di Castello - Bari 1946, 149 ss.; N. PENDE, La scienza moderna della persona umana, Milano 1947, 141 ss.; L. SCREMIN, Dizionario di morale processionale per i medici. Roma 1949, 314 ss.; A. LANZA-P. PALAZZINI, o. c., 20 ss., 181 ss.; A. BONNAR, o. c., 247 ss.; PLÉ, Vita affettiva e castità, Roma 1965, 254.
    454 Cfr. A. D. SERTILLANGES, La philosophie morale de S. Thomas d'Aquin, Paris 1916; I. E. VAN ROEY, De virtute charitatis. Quaestiones selectae, Mechliniae 1929; I. MARITAIN, Distinguer pour unir ou les degrés du savoir, Paris 1932; Y. SIMON, Critique la de connaissance morale, Paris 1934; F. TILLMANN, II Maestro chiama, Brescia 1945, 337-361.
    455 Cfr. A. POGGI, II problema morale in Maurice Blondel, Genova 1950.
    456 GEMELLI, BUONOCORE, ecc,, Professioni e vita morale, Napoli 1935. Cfr. J. DE FINANCE, Existence et liberté, Paris-Lyon 1955.
    457 Crf. LEONE XIII, enc. Libertas, 20 giugno 1888.
    458 Pr 22, 1; Sap 41, 15. Cfr. P. PALAZZINI, Onore e contumelia, in EC, IX, 135-137.
    459 Cfr, A. J. STAFF, Theologia moralis, II, Oeniponte 1846, 329 ss.; P. LADISLAUS A MARIA IMMACOLATA, De vocatione religiosa, Romae 1940; J. B. GEORGES, La vocation sacerdotal en droit ecclésìastique, Québec 1948, M. QUATEMBER, De vocatione sacerdotali, Torino 1950; E. I. FARREL, De vocatione religiosa secundum principia Divi Thomae, St. Louis 1951; E. VALENTINI, Studi sulla vocazione, Torino 1953, Le vocazioni ecclesiastiche nel mondo. Atti del I Congresso internazionale. Città del Vaticano 1962; G. LESAGE, Dinamismo della vocazione, Alba 1967; A. MATANIC, Vocazione e spiritualità. Roma 1968.


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    Smile Modestia nel vestire

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    La Modestia nel vestire


    di S.E. Mons. Mark A. Pivarunas, CMRI


    21 giugno 1996


    Carissimi beneamati in Cristo,

    Col tempo più caldo dei mesi estivi, non è solo appropriato, ma anche necessario per i nostri sacerdoti predicare ai fedeli circa i pericoli spirituali che sono così prevalenti oggi in ciò che riguarda la modestia cristiana e la castità. Questa lettera pastorale è intesa ad assistere i preti nella loro responsabilità morale di istruire i fedeli.

    I principi delle virtù della modestia e della castità sono basati, anzitutto e soprattutto, sul Sesto e Nono Comandamento di Dio:

    "Non commettere adulterio" (Esodo 20:14).

    e

    "Non desiderare la moglie del prossimo tuo" (Esodo 20:14).

    Inoltre, leggiamo nel Vangelo di S. Matteo come il nostro Divin Salvatore Gesù Cristo ripetè il Nono Comandamento quando disse:
    “Avete sentito che fu detto agli antichi ‘Non commettere adulterio.’ Ma Io vi dico che chiunque avrà anche solo guardato una donna con desiderio ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Matt. 5:27-28).
    Quando consideriamo queste materie, ci tornano in mente anche alcuni degli avvertimenti della Beata Vergine a Fatima, in Portogallo, nel 1917.

    “Saranno introdotte certe mode che offenderanno molto Nostro Signore... Vanno più anime all’inferno a causa dei peccati della carne, che per qualsiasi altra ragione.”

    Sono quasi passati 80 anni dalle apparizioni di Nostra Signora a Fatima e quanto profetico è stato il suo messaggio! Con la moderna tecnologia — la televisione, il cinema e le registrazioni video, ed ora i computers — i nostri giovani sono quotidianamente esposti alla pornografia e all’immoralità che minano la loro fibra morale. Gli effetti dilaganti di questa distruzione morale sono così ovvi — la promiscuità e gravidanza di adolescenti, l’aborto, l’aperta promozione di contraccettivi artificiali e l’aumento di crimini violenti contro le donne.
    Quanto è tragico vedere così tanti giovani vivere come se Dio non ci fosse, non ci fossero né Comandamenti, né cose come il peccato mortale, la morte, il giudizio e l’eternità! Ma per tragico che ciò sia, è ancora più tragico vedere ragazze e donne cattoliche cadere vittime delle seduzioni di stili e mode immodeste, e così facendo, divenire causa ed occasione di peccato per tanti altri.
    Papa Pio XII si lamentò di questo triste e tragico spettacolo in parecchie occasioni. Nel 1954, il Papa tristemente affermava:

    “Quante giovani ragazze ci sono che non vedono nulla di male nel seguire certi stili inverecondi come altrettante pecore. Arrossirebbero certamente di vergogna se potessero sapere l’impressione che fanno e le sensazioni che evocano in coloro che le vedono.”

    In un’altra occasione, Papa Pio XII così si rivolgeva ai Gruppi di Giovani Cattoliche d’Italia:

    “Il bene dell’anima è più importante di quello del corpo; e dobbiamo preferire il benessere spirituale del prossimo alle nostre comodità corporali...
    Se un certo tipo di vestito costituisce una grave e prossima occasione di peccato, e mette in pericolo la salvezza dell’anima vostra e di quella altrui, è vostro dovere smettere di indossarlo...
    O madri cristiane, se sapeste che futuro di ansietà e pericoli, di mal celata vergogna preparate per i vostri figli e figlie, imprudentemente abituandoli a vivere scarsamente vestiti e facendo loro perdere il senso del pudore; vi vergognereste di voi stesse ed avreste gran timore del danno che state facendo a voi stesse, del danno che state causando a questi bambini, che il Cielo vi ha affidato perché li faceste crescere da cristiani.”

    Tutte queste considerazioni sono belle e buone, ma resterebbero senza significato se non ci fossero alcune regole pratiche per definire esattamente ciò che costituisce un vestito immodesto per donne e ragazze. Basate su vari estratti dalla teologia morale, le seguenti linee guida generali non dovrebbero essere troppo difficili da capire per le nostre donne e ragazze cattoliche:





    Il vestire immodesto si riferisce a:

    1) Abiti o camicette con scollature ampie;

    2) Gonne o pantaloncini corti che espongono le porzione superiore delle gambe;

    3) Vestiti trasparenti;

    4) Abiti o tute eccessivamente aderenti.

    Qui ci si potrebbe porre il problema di quelle particolari occasioni che sembrano richiedere delle eccezioni. Come fare per il tempo estremamente caldo, o le attività sportive, o il nuoto?
    Una donna in questi casi dovrà usare il buon senso e prendere qualche precauzione supplementare, comprendendo che ha una seria responsabilità a questo riguardo. Nel clima caldo potrà indossare un abito lungo o una gonna-pantalone che vestano comodi, leggeri e freschi, e tuttavia siano ancora modesti. Nello sport potrà essere innovativa allo scopo di essere modesta, secondo il tipo di attività. Per il nuoto può indossare qualche sorta di indumento da indossare sopra o per coprire il costume, eccetto che nel tempo in cui starà effettivamente nuotando. La scelta di un costume da bagno per le donne oggi è estremamente importante. La maggior parte dei costumi da bagno femminili sono infatti grossolanamente immodesti. Una donna potrà dover provvedere a farsi essa stessa o a farsi fare il proprio costume in modo che sia modesto, e se ciò fosse necessario per la modestia, sarà tenuta a far così.
    Per le nostre donne e ragazze cattoliche, facciamo in modo che possano riflettere seriamente riguardo al loro modo di vestire ed all’obbligo morale di rifuggire da qualsiasi “stile e moda che offenda gravemente il nostro Divino Signore.” Quando consideriamo che il maggiore dei mali che possa capitare a chiunque è l’eterna perdita della propria anima all’inferno, come dovremmo assai temere di essere causa od occasione di peccato per una qualsiasi persona!
    Con questo in mente, concludiamo con una rassegna delle istruzioni che si trovano negli Acta Apostolicae Sedis (Atti della Sede Apostolica), date dal Consiglio di Vigilanza ai Vescovi ed Ordinari Diocesani sotto Papa Pio XI:

    “In virtù della Suprema Potestà Apostolica che esercita nella Chiesa universale, Sua Santità Pio XI non ha mai cessato di inculcare con la parola e con gli scritti quel precetto di S.Paolo (I Tim. 2:9-10): ‘Parimenti le donne indossino abiti decenti; adornando se stesse di modestia e sobrietà... come conviene a donne che professano la pietà, con opere buone.’
    “Ed in molte occasioni, il medesimo Supremo Pontefice ha riprovato e decisamente condannato l’immodestia nel vestire che oggi è dovunque in voga, anche fra donne e ragazze che sono cattoliche; una pratica che arreca grave danno alla virtù che è corona e gloria delle donne, ed inoltre purtroppo non solo conduce al loro danno temporale, ma, ciò che è peggio, alla loro eterna rovina e a quella di altre anime.
    “Non fa quindi meraviglia che i Vescovi e gli altri Ordinari dei luoghi, come compete ai ministri di Cristo, abbiano nelle loro rispettive diocesi unanimemente resistito in ogni modo a questa moda licenziosa e spudorata, e così facendo, abbiano pazientemente e coraggiosamente sopportato la derisione ed il ridicolo che talvolta i male intenzionati hanno diretto contro di loro.
    “Perciò questa Sacra Congregazione per il mantenimento della disciplina fra il clero ed il popolo, in primo luogo accorda meritata approvazione ed apprezzamento a questa vigilanza ed azione da parte dei Vescovi, ed inoltre risolutamente li esorta a continuare nello scopo ed intrapresa che hanno così bene cominciato, ed anzi a perseguirli con anche maggior vigore, finché questa malattia contagiosa sia interamente bandita dalla società decente.
    “Affinché ciò possa venire compiuto con maggior facilità e sicurezza, questa Sacra Congregazione, in ottemperanza agli ordini di Sua Santità, ha determinato le seguenti prescrizioni al riguardo:

    “I. Specialmente i pastori e i predicatori, quando ne abbiano l’opportunità, devono, secondo quelle parole di S.Paolo (II Tim. 4:2): ’insistere, confutare, implorare, sgridare’ al fine di ottenere che le donne indossino vesti conformi alla verecondia, tali da poter essere ornamento e salvaguardia della virtù; ed essi devono anche ammonire i genitori di non permettere che le loro figliole indossino abiti immodesti.

    “II. I genitori, memori del loro gravissimo obbligo di provvedere specialmente all’educazione morale e religiosa dei loro figli, debbono con speciale cura procurare che le loro figliole ricevano una solida istruzione nella dottrina cristiana fin dai loro primissimi anni; ed essi stessi devono con la parola e con l’esempio profondamente abituarli all’amore della modestia e della castità. Sull’esempio della Sacra Famiglia, devono sforzarsi di così bene ordinare e regolare la famiglia che ogni suo membro possa trovare a casa una ragione ed un incitamento ad amare e ad aver cara la modestia.

    “III. I genitori dovrebbero anche evitare che le loro figliole prendano parte a pubbliche esercitazioni e a competizioni atletiche. Se le ragazze sono obbligate a prendervi parte, i genitori debbono procurare che indossino un costume che sia interamente modesto, e non debbono mai permettere che compaiano in abiti immodesti.
    “IV. I direttori delle scuole e collegi per ragazze devono sforzarsi di instillare nei cuori delle loro allieve l’amore della verecondia, così che siano indotte a vestire con modestia.

    “V. Essi non accetteranno alle loro scuole o collegi ragazze fornite di abiti immodesti; e se qualcuna di queste tali fosse già stata ammessa, verrà mandata via, a meno che non cambi.

    “VI. Le suore, in ottemperanza alla Lettera del 23 agosto 1928, della Sacra Congregazione dei Religiosi, non accetteranno nei loro collegi, scuole, oratori, o centri di intrattenimento, né permetteranno che vi resti, qualunque ragazza che non osservi la modestia cristiana nel vestire; e nello svolgimento dei loro compiti educativi prenderanno speciale cura di seminare profondamente nei cuori delle ragazze l’amore della castità e della modestia cristiana.

    “VII. Saranno stabilite e patrocinate pie associazioni di donne allo scopo di reprimere col consiglio, l’esempio, e l’attività, gli abusi circa il vestire immodesto, e di promuovere la purezza nei costumi e la modestia nel vestire.

    “VIII. Le donne che indossano abiti immodesti non devono essere ammesse a queste associazioni; e quelle che vi fossero già state accolte, se più tardi commettessero una qualunque scorrettezza a questo riguardo e mancassero di emendarsi dopo esser state ammonite, saranno espulse.

    “IX. Alle ragazze e donne immodestamente vestite deve essere rifiutata la Santa Comunione e vanno escluse dall’officio di madrina nei sacramenti del battesimo e della cresima, ed in certi casi devono anche venir escluse dall’entrare in chiesa.

    “X. Durante le festività nel corso dell’anno che offrono speciali opportunità per inculcare la modestia cristiana, specialmente nelle feste della Beata Vergine, i pastori ed i preti incaricati delle pie unioni e delle associazioni cattoliche non dovranno mancare di predicare a tempo debito un sermone sul soggetto, in modo da incoraggiare le donne a coltivare la modestia cristiana nel vestire. Nella festa dell’Immacolata Concezione, si reciteranno ogni anno speciali preghiere in tutte le chiese cattedrali e parrocchiali, e quando è possibile si farà anche in tempo opportuno una esortazione al popolo mediante una omelia solenne.

    “XI. Il Consiglio di Vigilanza diocesano, menzionato nella dichiarazione del Sant’Uffizio del 22 marzo 1918, dovrà almeno una volta all’anno trattare specialmente dei modi e dei mezzi per efficacemente conseguire la modestia nei vestiti femminili.

    “XII. Affinché questa azione salutare possa procedere con maggiore efficacia e sicurezza, i Vescovi e gli altri Ordinari dei luoghi dovranno ogni tre anni, insieme al loro rapporto sull’istruzione religiosa menzionato nel Motu proprio Orbem Catholicum del 29 giugno 1923, anche informare questa Sacra Congregazione circa la situazione riguardo al vestire delle donne, e alle misure che saranno state prese in ottemperanza di questa Istruzione.”
    Per timore che qualcuno pensi tuttavia che questo difficile soggetto della modestia cristiana sia un argomento inadatto o non opportuno perché i nostri preti ne parlino ai loro fedeli, facciamo infine riferimento all’affermazione conclusiva della Sacra Congregazione del Concilio:
    “Il parroco, e specialmente il predicatore, quando sorga l’occasione, dovrà secondo le parole dell’Apostolo S. Paolo (II Tim. 4:2) insistere, spiegare, esortare e comandare che l’abbigliamento femminile sia basato sulla modestia e il decoro della donna, e sia una difesa della virtù. E similmente ammonisca i genitori di fare in modo che le loro figlie smettano di indossare abiti indecorosi.”



    In Christo Jesu et Maria Immaculata,



    + Mark A. Pivarunas, CMRI

 

 
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