Peccato personale e peccato sociale secondo Giovanni Paolo II

16. Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente di un gruppo o di una comunità. Quest'uomo può essere condizionato, premuto, spinto da non pochi né lievi fattori esterni, come anche può essere soggetto a tendenze, tare, abitudini legate alla sua condizione personale. In non pochi casi tali fattori esterni e interni possono attenuare, in maggiore o minore misura, la sua libertà e, quindi, la sua responsabilità e colpevolezza. Ma è una verità di fede, confermata anche dalla nostra esperienza e ragione, che la persona umana è libera. Non si può ignorare questa verità, per scaricare su realtà esterne - le strutture, i sistemi, gli altri - il peccato dei singoli. Oltretutto, sarebbe questo un cancellare la dignità e la libertà della persona, che si rivelano - sia pure negativamente e disastrosamente - anche in tale responsabilità per il peccato commesso. Perciò, in ogni uomo non c'è nulla di tanto personale e intrasferibile quanto il merito della virtù o la responsabilità della colpa.
Atto della persona, il peccato ha le sue prime e più importanti conseguenze nel peccatore stesso: cioè, nella relazione di questi con Dio, che è il fondamento stesso della vita umana; nel suo spirito, indebolendone la volontà e oscurandone l'intelligenza.

A questo punto dobbiamo chiederci a quale realtà si riferivano coloro che, nella preparazione del Sinodo e nel corso dei lavori sinodali, menzionarono con non poca frequenza il peccato sociale. L'espressione e il concetto, che ad essa è sotteso, hanno invero diversi significati.
Parlare di peccato sociale vuol dire, anzitutto, riconoscere che, in virtù di una solidarietà umana tanto misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote in qualche modo sugli altri. E', questa, l'altra faccia di quella solidarietà che, a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che «ogni anima che si eleva, eleva il mondo». A questa legge dell'ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa, sicché si può parlare di una comunione del peccato, per cui un'anima che si abbassa per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri termini, non c'è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote, con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine ecclesiale e sull'intera famiglia umana. Secondo questa prima accezione, a ciascun peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale.
Alcuni peccati, però, costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al prossimo e - più esattamente, in base al linguaggio evangelico - al fratello. Essi sono un'offesa a Dio, perché offendono il prossimo. A tali peccati si suole dare la qualifica di sociali, e questa è la seconda accezione del termine. In questo senso è sociale il peccato contro l'amore del prossimo, tanto più grave nella legge di Cristo, perché è in gioco il secondo comandamento, che è «simile al primo». E' egualmente sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti sia da persona a persona, sia dalla persona alla comunità, sia ancora dalla comunità alla persona. E' sociale ogni peccato contro i diritti della persona umana, a cominciare dal diritto alla vita, non esclusa quella del nascituro, o contro l'integrità fisica di qualcuno; ogni peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la suprema libertà di credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore del prossimo. Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze, in tutta l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. Sociale può essere il peccato di commissione o di omissione da parte di dirigenti politici, economici, sindacali, che, pur potendolo, non s'impegnano con saggezza nel miglioramento o nella trasformazione della società secondo le esigenze e le possibilità del momento storico; come pure da parte di lavoratori, che vengono meno ai loro doveri di presenza e di collaborazione, perché le aziende possano continuare a procurare il benessere a loro stessi, alle loro famiglie, all'intera società.
La terza accezione di peccato sociale riguarda i rapporti tra le varie comunità umane. Questi rapporti non sempre sono in sintonia col disegno di Dio, che vuole nel mondo giustizia, libertà e pace tra gli individui, i gruppi, i popoli. Così la lotta di classe, chiunque ne sia il responsabile e, a volte, il codificatore, è un male sociale. Così la contrapposizione ostinata dei blocchi di nazioni e di una nazione contro l'altra, dei gruppi contro altri gruppi in seno alla stessa nazione, è pure un male sociale. In ambedue i casi, ci si può chiedere se si possa attribuire a qualcuno la responsabilità morale di tali mali e, quindi, il peccato. Ora si deve ammettere che realtà e situazioni, come quelle indicate, nel loro generalizzarsi e persino ingigantirsi come fatti sociali, diventano quasi sempre anonime, come complesse e non sempre identificabili sono le loro cause. Perciò, se si parla di peccato sociale, qui l'espressione ha un significato evidentemente analogico. In ogni caso, il parlare di peccati sociali, sia pure in senso analogico, non deve indurre nessuno a sottovalutare la responsabilità dei singoli, ma vuol essere un richiamo alle coscienze di tutti, perché ciascuno si assuma le proprie responsabilità, per cambiare seriamente e coraggiosamente quelle nefaste realtà e quelle intollerabili situazioni.
Ciò premesso nel modo più chiaro e inequivocabile, bisogna subito aggiungere che non è legittima e accettabile un'accezione del peccato sociale, pur molto ricorrente ai nostri giorni in alcuni ambienti, la quale nell'opporre, non senza ambiguità, peccato sociale a peccato personale, più o meno inconsapevolmente conduca a stemperare e quasi a cancellare il personale, per ammettere solo colpe e responsabilità sociali. Secondo tale accezione, che rivela facilmente la sua derivazione da ideologie e sistemi non cristiani - forse accantonati oggi da coloro stessi che ne erano già i sostenitori ufficiali - praticamente ogni peccato sarebbe sociale, nel senso di essere imputabile non tanto alla coscienza morale di una persona, quanto ad una vaga entità e collettività anonima, che potrebbe essere la situazione, il sistema, la società, le strutture, l'istituzione.Orbene la Chiesa, quando parla di situazioni di peccato o denuncia come peccati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali più o meno vasti, o addirittura di intere nazioni e blocchi di nazioni, sa e proclama che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l'accumulazione e la concentrazione di molti peccati personali. Si tratta dei personalissimi peccati di chi genera o favorisce l'iniquità o la sfrutta; di chi, potendo fare qualcosa per evitare, o eliminare, o almeno limitare certi mali sociali, omette di farlo per pigrizia, per paura e omertà, per mascherata complicità o per indifferenza; di chi cerca rifugio nella presunta impossibilità di cambiare il mondo; e anche di chi pretende estraniarsi dalla fatica e dal sacrificio, accampando speciose ragioni di ordine superiore. Le vere responsabilità, dunque, sono delle persone.
Una situazione - e così un'istituzione, una struttura, una società - non è, di per sé, soggetto di atti morali; perciò, non può essere, in se stessa, buona o cattiva. Al fondo di ogni situazione di peccato si trovano sempre persone peccatrici. Ciò è tanto vero che, se tale situazione può essere cambiata nei suoi aspetti strutturali e istituzionali per la forza della legge o - come più spesso avviene, purtroppo - per la legge della forza, in realtà il cambiamento si rivela incompleto, di poca durata e, in definitiva, vano e inefficace - per non dire controproducente -, se non si convertono le persone direttamente o indirettamente responsabili di tale situazione.


(Esortazione post-sinodale, Reconciliatio et poenitentia, Parte II, n 16)


Postilla per l'amico Antonio(stavolta ce la fai leggerlo tutto il post )