Anno 2006




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Il rischio al-Qaeda in Darfur Luca de Fusco, 26 aprile 2006 mostra()

Gli analisti di settore in tutto il mondo stanno facendo ipotesi sulle possibili conseguenze che l’esortazione rivolta da Bin Laden a militanti integralisti di contrastare l’intervento internazionale in Darfur potrebbe determinare di fatto. A tale proposito, va innazitutto scartata la possibilità che le autorità sudanesi caldeggino una simile iniziativa. Il ritorno ufficiale di al-Qaeda in Sudan non è auspicato da nessuno e Khartoum farà il possibile per dimostrare la propria estraneità al progetto e contrastarlo. Tuttavia, è possibile che piccoli gruppi affluiscano nella zona di crisi in forma clandestina, come più o meno hanno fatto molti che sono sbarcati ad Amman o a Damasco per combattere l’alleanza occidentale in Iraq. Quelli provenienti dal nord Africa potrebbero facilmente arrivare in Darfur dal Ciad o dalla Libia. Ma per comprendere quanto possa risultare estranea una componente di seguaci di al-Qaeda in Darfur è necessario ricostruire le origini delle forze che stanno mettendo a ferro e fuoco l’estremo ovest del Sudan. L’atteggiamento pacifico e collaborativo che la Libia di Gheddafi ha assunto negli ultimi tempi non deve far dimenticare le iniziative ostili di quel governo nei confronti dei Paesi posti a sud. Se da una parte è vero - come si affannano a sostenere i soggetti ansiosi di reintegrare la Libia nel circuito degli affari - che Gheddafi è ostile alle pricipali componenti dell’integralismo (Fratelli Musulmani, al-Qaeda, ecc.), non va dimenticato che egli stesso ha creato e/o fomentato movimenti che hanno praticato violenza e sopraffazione in ogni parte del pianeta.
Una componente del corpus ideologico di Gheddafi, poco considerata in Occidente, sostiene la supremazia che il popolo arabo deve esercitare sui vicini popoli non arabi. Non è agevole ricostruire con precisione la genesi di tale teoria ma, com’è noto, dal 1980 (anno della nascita della Legione islamica pan-araba) il governo di Tripoli ha costituito una organizzazione militare che ha agito in sintonia con l’esercito libico nelle campagne in Ciad, Paese che ha subito gli effetti della megalomania del leader. Il casus belli è stato il controllo della striscia di Aouzou, 70mila kmq, ora facente parte del Ciad ma rivendicata dalla Libia.
Sulla composizione della Legione si sa che essa ha reclutato tra cittadini dei Paesi del nord Africa, Sahel e Africa dell’ovest dal Sudan alla Nigeria. La sua consistenza ha raggiunto al massimo ottomila uomini circa ed era articolata in tre brigate. Le reclute provenivano da una dozzina di Paesi, ufficialmente volontari, ma in seguito alcuni transfughi hanno riferito di essere stati reclutati a forza tra la massa degli immigrati. Altri si arruolarono spontaneamente, spinti dalle prorie tendenze politiche. E’ accertato che sono stati reclutati diversi sudanesi seguaci del Mahdi, all’epoca esiliati in Libia, oltre a elementi di popolazioni nomadi arabe del Darfur.
Il manifesto ideologico di tale Corpo era improntato a una forma peculiare di sciovinismo panarabo particolarmente aggressivo, che affermava esplicitamente il diritto degli arabi a espellere le popolazioni africane autoctone da zone contestate poiché, secondo una ricostruzione di comodo, esse vi si erano insediate successivamente agli arabi e non viceversa. Tale versione afferma che all’arrivo degli arabi nella regione compresa tra il lago Ciad e il Nilo non v’era anima viva. Significativo è lo slogan che Gheddafi ha pronunciato in quegli anni: “Voglio che il Dar-Fur (terra natale dei Fur, una etnia africana) si possa chiamare Dar-Arab”. Una posizione così aggressiva riguardo a una regione estranea alla storia della Libia suggerisce che il rais libico abbia accolto acriticamente la versione dei fatti così come propostagli da abitanti di quella regione. In quegli anni Gheddafi era facilmente suggestionabile da parte di emissari ‘esperti’ che si rivolgevano a lui con richieste di sostenere iniziative insurrezionali un po’ dovunque.
Comunque sia, nonostante il considerevole investimento in addestramento (condotto da siriani e palestinesi) la Legione pan-araba venne impiegata nei combattimenti contro le forze ciadiane di Hissan Habrè con deludenti risultati, anche se l’ideatore elargì generosi encomi agli sconfitti. Nel 1985, dopo la sollevazione popolare che pose fine alla dittatura di Numeiri in Sudan, i seguaci del Mahdi vennero congedati e poterono far ritorno al Paese d’origine, mettendosi a disposizione del partito mahdista Umma. Dopo la pesante sconfitta subita dai libici nel 1987, la maggior parte degli uomini vennero smobilitati e in gran numero tornarono nei Paesi d’origine portando con sè una notevole quantità di armi e, cosa più grave, una versione di sciovinismo arabo che non aveva precedenti nella regione.
Nell’ovest del Sudan (Darfur, Kordofan) una gravissima siccità aveva portato a una emergenza e a una feroce competizione per le risorse, pregiudicando l’equilibrio vecchio di secoli tra Fur, Nuba e altre etnie africane di agricoltori, originarie della zona, e clan di arabi nomadi (Abbala, proprietari di cammelli e Baggara proprietari di bovini) che non avevano diritti permanenti sulle aree da pascolo e si ritenevano discriminati dagli agricoltori stanziali. I reduci tornati dalla Libia appartenevano in prevalenza a questi ultimi gruppi e si comportarono come prescritto dalla lealtà di clan. In breve tempo gruppi arabi in minoranza Abbala e anche Baggara di osservanza mahdista scartarono i vecchi monocolpo residuati dell’800 adottando fucili d’assalto dei migliori modelli. Non passò molto tempo e bande arabe montate e bene armate iniziarono ad attaccare i loro vicini africani saccheggiando quel che potevano. Nel Kordofan gli obiettivi furono le popolazioni Nuba, arroccate sulle omonime montagne. Nel Darfur, furono i Fur, gli Zaghawa e altri.
Va tuttavia chiarito che, in seguito alla mescolanza e alla cooptazione di ex-schiavi nei rispettivi clan, esiste una scarsa o nulla differenziazione razziale tra le popolazioni di queste regioni e il termine ‘arabo’ definisce solo l’origine remota di un capostipite e l’uso della lingua. Particolare di notevole importanza, tutte le popolazioni sono musulmane, con manifestazioni di esemplare religiosità tra quelle africane. Una situazione, questa, ben nota da tempo nel mondo musulmano. In assenza di minoranze religiose, il conflitto non ebbe mai una connotazione religiosa, ma solo ed esclusivamente etnica. Il governo legalmente eletto di Sadiq el Mahdi è direttamente responsabile delle campagne di pulizia etnica iniziate in quegli anni, anche se le cose non andarono proprio come previsto. I Nuba avevano punti di forza nel territorio montagnoso e nella tradizionale dimestichezza con le armi da fuoco. I molti militari governativi Nuba iniziarono a far uscire dai magazzini tutte le armi che potevano per inoltrarle verso i villaggi di origine, le giovani reclute iniziarono a disertare alla fine del corso di base con le armi individuali.
Subite perdite rilevanti in uomini e capi di bestiame (più prezioso dei primi), gli aggressori desistettero e chiesero la riconciliazione. Venne raggiunta, ma gli attacchi ripresero da parte di reparti governativi con artiglieria e aviazione. Seguì per anni una guerra vera e propria con massacri e distruzioni per cui i Nuba vennero spinti ad allearsi con il Sudan People’s Liberation Army fondato da Garang. Nel Darfur gli aggrediti ebbero meno possibilità di resistere sia per la scarsa densità di popolazione sia per il territorio pianeggiante. Gli Zagawa in particolare erano soliti varcare il confine Ciad-Sudan in entrambi i sensi, a seconda delle situazione, e molti giovani validi sono stati assorbiti per anni dalle vicende interne del Ciad. Ma un importante elemento a sfavore fu una presenza di integralisti nelle dirigenze perchè questi non potevano essere decisi opponenti del governo di Khartoum in cui molti dirigenti erano loro omologhi. Ancora oggi la componente integralista concentrata nel gruppo armato Jem (Justice and Equality Movement) non ha successo nelle trattative con il governo di Khartoum.
Militanti di al-Qaeda hanno scarsa possibilità di integrarsi in un simile contesto, tuttavia ci sono ambiti in cui essi possono tornare utili a chi dirige il gioco a distanza. Innanzitutto, operando clandestinamente, possono mettere in atto una campagna di intimidazione nei confronti degli operatori umanitari, bloccando o saccheggiando i rifornimenti. Possono anche attaccare le truppe della Unione Africana e in futuro delle Nazioni Unite con azioni di commando volte a scoraggiarle e screditarle senza che nessun mandante, a parte Bin Laden, possa essere identificato e perseguito. Come conseguenza ultima, è altamente probabile che blocchino l’iter dell’accordo di pace interno al Sudan, riportando la situazione indietro di anni.
Ma se essi si inserissero nello scontro etnico in atto coadiuvando le milizie Janjaweed, potrebbero creare un effetto boomerang che si ritorcerebbe contro tutte le popolazioni arabe, reali o sedicenti che siano, a sud del Sahara. Le memorie dei razziatori di schiavi arabi non sono molto remote nella coscienza collettiva dei popoli africani e le attuali forme di comunicazione e propaganda possono sobillare interi Paesi in pochi giorni. A questo punto le minime differenze di colore e di fisionomia diventerebero particolari di importanza irrilevante di fronte all’odio atavico opportunamente ravvivato.

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