Morales nazionalizza.........

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ESTERI
IL PRESIDENTE INDIO, DI RITORNO DA CUBA, ATTUA LA MOSSA CHOC CHE AVEVA PROMESSO GIA' IN CAMPAGNA ELETTORALE
Morales nazionalizza petrolio e gas
Bolivia, l’esercito mandato a occupare i pozzi di greggio delle compagnie straniere
3/5/2006
Emiliano Guanella






BUENOS AIRES. La decisione più forte nei suoi 100 giorni alla guida della Bolivia è di quelle che fanno scuotere i mercati e sobbalzare i governi amici. Il presidente indio Evo Morales annuncia la nazionalizzazione del gas e del petrolio in uno scenario da proclama bellico, con i soldati del «Batallon de Ingenieria» a presidiare il pozzo di San Alberto, nel municipio di Caraparì, al centro della zona nobile del ricco sottosuolo del più povero dei Paesi sudamericani. Il decreto 28.701 è lapidario: occupazione manu militari dei giacimenti e dei gasdotti e conseguente avvio delle procedure formali per il passaggio della proprietà degli impianti allo Stato. Una manovra shock che lascia ora stretti margini di negoziazione alle compagnie straniere che da anni operano nel Paese.

Avranno 180 giorni di tempo per riscrivere assieme a La Paz i nuovi contratti, di certo molto meno vantaggiosi di quelli attualmente in vigore. Tocca al vicepresidente Alvaro Garcia Linera spiegare senza mezzi termini la nuova fase. «Con i governi passati le multinazionali si portavano via l’82% degli utili e lasciavano nelle nostre casse solo il 18%. Adesso questa proporzione si invertirà e per lo Stato boliviano questo significherà 300 milioni di dollari di entrate in più all’anno. Nuovo lavoro, nuova ricchezza, più benessere ». Immediata la reazione dei diretti interessanti. La più esposta è la brasiliana Petrobras il cu stato maggiore si è detto sorpreso e amareggiato per la decisione presa. Commenti gelidi anche dai francesi della Total, dall’inglese British Petroleum e dagli spagnoli della Repsol-Ypf, il cui titolo ieri ha subito forti perdite. Il premier spagnolo Zapatero ha avvertito sulle conseguenze della decisione sulle relazioni bilaterali tra due governi ideologicamente affini.

Ma la mossa presa da Morales potrebbe fargli guadagnare anche nuovi nemici tra i presidenti dei Paesi vicini preoccupati per le conseguenze disastrose che una nuova «crisi del gas» potrebbe provocare proprio adesso che si avvicina l’inverno australe. Le grandi città argentine, da Buenos Aires a Cordoba, così come buona parte delle regioni industriali del sud del Brasile e almeno la metà delle case della megalopoli San Paolo vengono riscaldate dal gas boliviano. Coinvolti indirettamente anche il Cile e l’Uruguay. L’argentino Nestor Kirchner e il brasiliano Lula da Silva, amici e sponsor fino a ieri di Morales, sono in imbarazzo. La politica estera dell’ex leader cocalero, del resto, sembra puntare al baricentro venezuelano piuttosto che al sempre più indebolito Mercosur.

Lo scorso fine settimana, poche ore prima della formalizzazione del polemico decreto, lo stesso Morales si è ritrovato all’Avana con Chavez e Fidel Castro per sottoscrivere la nascita dell’Alba, l’«alternativa bolivariana delle Americhe », un’alleanza più politica che economica pensata in contrapposizione all’Alca, il trattato di libero commercio che l’amministrazione Bush vorrebbe imporre in America Latina. Tornato in patria il presidente indio ha deciso di giocare forte approfittando di una popolarità ancora molto alta, oltre il 70%. La nazionalizzazione degli idrocarburi, al centro della sua campagna elettorale, è stata la parola d’ordine delle proteste che hanno rovesciato due governi nel giro di tre anni. Una richiesta ribadita dal referendum del luglio del 2004 e gridata in piazza dalla stragrande maggioranza dei quechua e degli aymara delle zone andine e dei contadini del Tropico di Cochabamba, anche perché molti di loro il gas non sono mai riusciti ad averlo nelle proprie case.

Si oppone invece la classe media bianca e meticcia delle regioni orientali di Santa Cruz, Beni e Pando, che hanno legato il proprio sviluppo economico al boom dell’industria estrattiva. Minacciano ora uno sciopero civico con il blocco di tutta l’attività produttiva.Mala partita più importante si giocherà sul tavolo dei negoziati che si apriranno non appena gli animi si saranno calmati. Morales sa che, anche volendo, la Bolivia, non potrebbe riuscire da sola a far funzionare i pozzi, i gasdotti e gli impianti di raffinazione: mancano i tecnici specializzati e non possiede la rete di distribuzione all’estero. Il nuovo governo socialista e indigeno ha bisogno dei «gringos» quasi quanto quest’ultimi necessitano del prezioso gas boliviano. Nelle prossime settimane si vedrà chi riuscirà a strappare le condizioni migliori. Prima che il freddo dell'inverno arrivi.