Maurizio Blondet
06/05/2006

WASHINGTON - Nulla dipinge meglio la disperazione della Casa Bianca di questo: Bush ha dovuto ricevere
in pompa magna Ilham Aliyev, «presidente» dell'Azerbaijan (nemmeno 8 milioni di abitanti), proclamarlo «il nostro miglior alleato nel Caucaso meridionale», esaltare la «relazione strategica» tra USA e Azerbaijan.
E tutto questo senza ottenere nulla in cambio.
Nella successiva conferenza stampa al Council on Foreign Relations, Aliyev ha chiarito che il suo Paese «non si impegnerà in alcun genere di operazioni potenziali contro l'Iran» (con cui condivide una lunga frontiera).
E Bush ha definito la discussione con il dittatorello «franca» (candid), che nel gergo diplomatico significa quasi un litigio (1).
Sembra ieri che Washington finanziava le «rivoluzioni colorate» in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, «diffondeva la democrazia» nella zona di influenza ex-sovietica e circondava Mosca di «democrazie» ostili, con l'intento di chiudere alla Russia tutte le strade verso l'Europa.
Ora, l'America è costretta a fare una corte umiliante ad uno dei più discutibili dittatori locali, che solo pochi mesi fa candidava a qualche rivoluzione dei colori; a rafforzarne la presa sul potere e il prestigio internazionale.



Il fatto è che Putin ha reagito all'accerchiamento con efficacia.
Da qualche mese l'Uzbekistan ha cacciato gli americani dalla base aerea che avevano affittato nel Paese, e il regime uzbeko s'è riavvicinato a Mosca e a Pechino.
In Kirghizistan il «presidente» Kurmanbek Bakiev ha chiesto un aumento della pigione della base che gli americani hanno affittato a Manas, minacciando lo sfratto per il primo giugno.
Gli USA pagano 2 milioni di dollari l'anno; ma il ministro degli Esteri Kirghizo, Jekshenkulov vuole chiedere un aumento «di cento volte».
Mosca, che ha anch'essa una base militare locale a Kant, non paga nulla.
Quanto al «presidente» del Kazakhstan, Nursultan Nazarbaev, ad aprile è andato a Mosca dove ha accettato di aumentare di molto le forniture del greggio kazako alla Russia, che inoltra con i suoi oleodotti.
Non a caso Dick Cheney si è precipitato da Nazarbaev a ridiscutere «le relazioni USA-Kazakistan» e con l'offerta di un dispendioso oleodotto che dovrebbe unire il Paese alla pipeline di Ceyhan in Turchia, passando tutto fuori della Russia.
Poi, al vertice dei «nuovi europei» (filo-neocon) in Lituania, Cheney s'è scagliato contro la Russia, colpevole di «retrocedere» sulla via della democrazia e di «ricattare i suoi vicini»: senti chi parla.



Mosca ha flemmaticamente definito «incomprensibile» la rabbiosa sparata del vice-presidente (2).
Anche Solgenitziyn, il grande vecchio, ha difeso Putin e il suo governo (3).
Senza parlare poi dell'incontro di Putin con Angela Merkel a Tomsk: la consacrazione di un accordo economico-strategico di tale importanza, che il governo polacco (primo della classe della «nuova Europa» di Rumsfeld) l'ha definito «un nuovo patto Ribbentrop-Molotov» (4).
Putin del resto s'è recato in Kazakhstan prima di Cheney, dove ha proposto una forza di sicurezza comune degli Stati del Caspio (CASFOR) assai più ardita della proposta americana similare («Caspian Guard») in funzione anti-iraniana.
Nella CASFOR di Putin, l'Iran è invitato a partecipare.
E' in questa situazione - lo sgretolamento dell'aggressiva politica di penetrazione e influenza USA nell'Asia centrale - che Bush ha dovuto stendere il tappeto rosso per Aliyev, che non ha ancora detto chiaro se entrerà o no nella CASFOR moscovita.
E, prima di poter proporre i suoi desideri strategici (anti-iraniani), Bush ha dovuto ascoltare le priorità dell'azero, che in cima alla lista pone la questione del Nagorno-Karabakh, la provincia azera che l'Armenia si è presa «manu militari» (500 mila sono oggi i profughi dalla provincia che affollano l'Azerbaijan).
La Casa Bianca ha dovuto dare assicurazioni d'appoggio.



In cambio di che?
Il portavoce del ministero degli Esteri azero ha dichiarato che l'Iran si mantiene «nella piena osservanza» del Trattato di Non-proliferazione nucleare (NPT): «ogni Paese ha il diritto di sviluppare un programma di ricerca nucleare. Loro non hanno mai detto che vogliono sviluppare armi».
Ciò mentre a Washington, lo stesso Aliyev ricordava al CFR che aveva appena firmato un accordo di non-aggressione con Teheran.
Nel quale è scritto che «i territori dei nostri Paesi non possono essere usati per alcuna azione pericolosa contro l'altro».
Tuttavia, per disperazione, gli USA si aggrappano a ciò che Aliyev non ha detto: se consentirà lo stabilimento di una base militare americana sul territorio.
Gli USA lo chiedono da anni, il dittatore ha sempre rifiutato.
Ma forse, se lo coprono d'oro…
Anche perché le relazioni di Alyev con Teheran si stanno guastando.
Il sud dell'Azerbaijan si sta riempiendo di profughi dall'Iran (per lo più della minoranza turcofona) che temono la guerra imminente.



Diventa scottante la questione dei milioni di azeri che vivono entro i confini iraniani, e in cui il regime degli ayatollah sospetta pulsioni secessioniste fomentate dall'Azerbaijan.
Ci sono state roventi polemiche.
Poi Ali Larjani, capo del Consiglio di Sicurezza iraniano, ha parlato di unità di ricognizione americane che «operano dall'Azerbaijan, contro la repubblica islamica dell'Iran».
Aggiungendo che se l'Iran si troverà sotto attacco americano, le sue armate si riservano di interrompere e sabotare l'oleodotto BTC (Baku-Tbilisi-Ceyhan) che trasporta il petrolio azero alla Turchia.
Il regime di Aliyev ha gettato acqua sul fuoco; gli iraniani si sono calmati.
Il loro ministro della Difesa ha persino benedetto la visita di Alyev a Washington, dicendo che «potrà convincere gli Stati Uniti a capire correttamente la posizione iraniana».
E infatti Aliyev s'è offerto con Bush di «facilitare» la «discussione» tra Teheran e la Casa Bianca.

Maurizio Blondet




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Note
1) Karl Rahder, «Mr Aliyev goes to Washington», ISN Security Watch, 5 maggio 2006.
2) «Kremlin call Cheney's remarks completely incomprehensible», Mosnews, 5 maggio 2006.
3) William Pfaff, «Solzhenitsyn's righteous outrage», International Herald Tribune, 4 maggio 2006. Solgenitsin ha denunciato la NATO e gli USA «per i loro sforzi di circondare totalmente la Russia e demolire la sua sovranità», ed lodato il governo di Putin in quanto sta risollevando la Russia dal suo declino.
4) M K Bhadrakumar, «Germany, Russia redraw Europe's frontiers», Asia Times, 3 maggio 2006. Nell'articolo si legge: «Without doubt, the Russian-German summit in Tomsk has rewritten the ABC of the global energy dialogue. Germany has asserted that it reserves the right to work out its long-term energy security with Russia on a bilateral, mutually beneficial, pragmatic footing - and that it brooks no outside orthird-party intervention. Conceivably, other European countries will follow Germany's footsteps. (Apparently, french president Jacques Chirac is heading for Russia.) The Netherlands is already emulating Germany's example of allowing Gazprom into its domestic retail market. Where does that leave the short-lived US dream
of a new trans-Atlantic leadership role over energy issues?».





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