invito a leggere a riguardo questa pagina, in tutta scioltezza.Originariamente Scritto da Giò91
http://www.ccsg.it/topomas.htm
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complimenti per il sito RibelleDiVandea!Originariamente Scritto da RibelleDiVandea
a quanto pare l'ultimo Disney ha abbandonato l'azienda, se n'e' andato accusando l'attuale gestione di aver tradito lo spirito del fondatore...
ecco l'articolo che ho trovato.
il Corriere della Sera:
Topolino resta orfano, l’ultimo Disney sbatte la porta
Martedì, 02 Dicembre 2003
Roy lascia la società accusando il manager che l’ha trasformata in un colosso multimediale: «E’ un impero senz’anima»
Si conclude la battaglia tra il nipote del fondatore e il presidente Eisner: «Hai distrutto l’azienda»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK - La lotta titanica tra Bene e Male ricalca la trama di uno dei leggendari cartoon che hanno reso il marchio Disney inconfondibile nel mondo. Ma se l’esito dello scontro è stato quello di aver reso Topolino orfano, dopo 75 anni di vita, l’America oggi è divisa su chi sia il vero cattivo della storia. Quando Roy Disney - nipote del fondatore dell’impero Walt (figlio del fratello Roy Oliver) e ultimo membro della dinastia attivo nella compagnia - ha rassegnato le dimissioni dal consiglio d’amministrazione della società, molti hanno scosso le spalle. Il settantaduenne Roy era da anni in rotta con l’attuale presidente e amministratore delegato, Michael Eisner, e il braccio di ferro, prima o poi, andava risolto. Ma è bastato che la lettera di commiato firmata dall’erede di Disney raggiungesse le redazioni dei giornali per riaprire vecchie ferite mai del tutto chiuse. «È mio sincero convincimento che sei tu quello che dovrebbe dimettersi e non io - scrive Disney a Eisner - hai distrutto l’azienda, pertanto, sono a chiederti di rassegnare le dimissioni o andare in pensione».
Come mai un giudizio tanto lapidario, visto che anche i suoi critici sono costretti ad ammettere che, da quando ha assunto le redini della Disney, nell’84, Eisner l’ha trasformata da mini-produttore di film mediocri in uno dei colossi multimediali più influenti del mondo, proprietario di 5 parchi tematici, tre stazioni tv e una delle major più ricche di Hollywood? Il terremoto ai vertici - notano i giornali finanziari - arriva mentre le azioni del gruppo sono in netto rialzo, l’America sta festeggiando i 75 anni di Topolino e il New York Times celebra la «disneyficazione di Broadway»: ben sei musicals ispirati ad altrettanti cartoni Disney, simultaneamente in cartellone.
Tra gli innumerevoli peccati che Disney imputa ad Eisner c’è quello di «aver creato la percezione che la Compagnia è rapace, senz’anima e a caccia di facili guadagni, invece che di valori duraturi». Un giudizio che riecheggia quello espresso da Gregg Easterbrook sulla rivista liberal The New Republic . Nell’attaccare il truculento film di Quentin Tarantino, «Kill Bill», il critico si scaglia contro «il dirigente ebreo Michael Eisner, che sguazza nel sangue perché il suo unico Dio è il dollaro».
Anche Roy Disney antisemita, dunque? «Andiamo piano - ribatte Abe Foxman, direttore dell’associazione ebraica Anti-defamation League - di quel crimine si è macchiato suo zio». Antisindacalista e segregazionista convinto, (tentò invano di bandire i neri da Disneyland) il vecchio Walt odiava gli ebrei al punto da rifiutarsi di assumerne o intrattenere affari con loro.
Se il consiglio d’amministrazione del suo studio, oggi, continuava ad essere dominato da Wasp come Raymond Watson e Thomas Murphy - che hanno rassegnato le dimissioni in solidarietà con Roy - l’avvento dell’ebreo newyorchese Eisner segna la fine di un’era. Ma la sua rivoluzione non è gradita a chi - dentro e fuori - è convinto che il ruolo storico della Disney sia quello di difensore dei valori americani più tradizionali. Nel ’95, quando lo studio è tra i primi ad accordare i benefici pensionistici ed assicurativi ai partner gay dei propri impiegati, 15 deputati repubblicani chiedono la testa del «traditore» Eisner. Tre anni dopo i Southers Baptists, un gruppo protestante cui fanno parte ben 16 milioni di fedeli, invita i suoi adepti a boicottare tutti i prodotti dello studio, reo di aver sfornato opere blasfeme come «Pulp Fiction» e «Trainspotting».
Ma gli attacchi vengono anche da sinistra. «Lion King», dove il cucciolo Simba assiste impotente alla tragica morte violenta del padre Mufasa, re della giungla, viene bollato da Janet Maslin del New York Times come psicologicamente dannoso per l’infanzia. Persino le associazioni dei non vedenti bacchettano Eisner quando, nel ’97, Disney decide di riesumare la serie di Mr Magoo, definita «offensiva e discriminatoria».
Ce n’è quanto basta per creare l’impressione, tra gli americani, che Disney sia davvero la Sodoma e Gomorra additata durante la campagna presidenziale dai candidati conservatori. La pubblicazione, nel 2001, di un libro che rivela gli oscuri natali di Walt - figlio illegittimo, pare, della poverissima cameriera ispanica Isabel Zamora che lo «vendette» ai Disney - non aiuta l’immagine del gruppo. L’unico a non farsi travolgere dalle controversie è il diretto interessato. Dopo l’uscita di scena del suo arcirivale e dei suoi tre fedelissimi, Eisner resta il re incontrastato dell’impero Disney. Tra i suoi progetti futuri c’è già «Disney’s America»: un megalomane parco a tema storico vicino a Washington, ispirato alla guerra civile e già bocciato 10 anni fa. «Perché - fu il verdetto di un giudice - Disney non ha ancora l’esclusiva di marketing sul nome America».
Alessandra Farkas
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