Originariamente Scritto da
calvin
dalla voce di oggi
Era in qualche modo inevitabile che con un prestigioso esponente del vecchio Pci al Quirinale si tornasse a discutere di fattore K, formula usata da Alberto Ronchey sul "Corriere", dove la K sta per Kommunizm in lingua russa. Che ormai sarebbe dovuto essere morto e sepolto.
Invece ci siamo accorti che alcuni esponenti politici, hanno sostenuto che proprio ora, in questi giorni, il fattore K è caduto per sempre. La cosa ci ha sorpresi: ma come, non era caduto il comunismo, forse? Perché dunque un fattore K nella società italiana? Nel momento in cui si prendevano le distanze dalla storia del Partito comunista italiano, mentre si cambiava nome e non c’era più l’Unione sovietica, il fattore K sembrava finito. Avevamo avuto D’Alema, un erede politico di Berliguer al governo, e non era certo caduto il mondo. Però, a differenza di D’Alema, Napolitano ha trascorso più di metà della sua esistenza nel Pci, ha sostenuto l’invasione dell’Ungheria, ha incarnato come sappiamo una posizione politica molto particolare in quel partito, al punto di scontrarsi con Berlinguer sul referendum della scala mobile e, fino a questo stesso anno, ha rimproverato ai Ds le ambiguità permanenti sulla scelta socialista. Tanto che ancora giovedì scorso Piero Melograni, dalle colonne del "Riformista", lo invitava a dare un contributo di ricostruzione della storia del Partito comunista in termini veritieri, tali quali ancora non si conoscono. Di continuare, quindi, sul piano della ricostruzione storiografica, la stessa opera di Giorgio Amendola che con la sua storia del Pci degli anni '20 e '30 aveva causato non pochi problemi ai crismi dell’ufficialità comunista. E in effetti qualche problema a riguardo c’è. Lo abbiamo compreso anche da un’intervista a Fassino sulla "Repubblica". Fassino infatti dice: “C’è il riconoscimento per la persona”. E va bene, ma “c’è anche il riconoscimento di una storia, di cosa ha rappresentato per l’Italia la sinistra e in particolare quel grande partito che è stato il Pci. Partito che anche grazie a Napolitano si è trasformato in una grande forza riformista quali sono i Ds”. Ci dispiace, ma le cose non sono così semplici, e meritano allora davvero una messa a punto. Intanto va detto che, nella grande storia del Pci, Napolitano esprimeva una minoranza, con tanto di etichetta togliattiana: quel “migliorista” che proprio non può considerarsi un complimento. Per cui ora non capiamo se il prevalere dell’orientamento migliorista, fino alla nascita dei Ds, significhi un elemento di continuità o invece di rottura. Può anche darsi che, nel gusto dialettico marxista che caratterizza gli esponenti di quella tradizione, essi possano sostenere una rottura nella continuità, ma questo, a noi che crediamo sostanzialmente nel principio di non contraddizione, ci sembra un espediente teoretico poco convincente. Ritenevamo infatti indispensabile, per credere nel cambiamento e nella fine del fattore K, il prevalere della rottura sulla continuità. Ci accorgiamo invece che non è così, che la continuità prevale. Al che ci viene da pensare che finirà per prevalere, secondo noi, anche la resistenza del fattore K.