Fonte: Il Romanista
La tela del ragno
di Riccardo Luna
Questa è la vera storia di come hanno ridotto il calcio. Capitolo primo. Le squadre. C’è la Juve, naturalmente, che grazie ad una dozzina di arbitri, altrettanti guardalinee e non meno giornalisti stipendiati si porta a casa il solito scudetto in volata sul Milan, il numero 28. Ma c’è di più, molto di più nelle carte dei magistrati napoletani che per una stagione intera hanno messo sotto controllo i telefoni della banda Moggi. Ci sono gli aiuti, palesi, diretti, dimostrati a Lazio e Fiorentina. Aiuti per non retrocedere. Ce l’hanno fatta: era scontato.
In tutto sono 18 le partite del campionato 2004/5 nelle quali i magistrati hanno individuato il reato di «frode sportiva»: dodici della Juve, tre della Lazio, tre della Fiorentina. Ma anche questo, per quanto immenso, è riduttivo. Nell’inchiesta c’è soprattutto «un sodalizio criminoso», per usare un gergo tecnico, che ha al suo vertice il direttore generale della Juventus Luciano Moggi: è lui il capo assoluto, lui che controlla gli arbitri tramite i designatori Bergamo e Pairetto e il presidente dell’associazione di categoria Tullio Lanese. Lui che controlla Carraro dall’alto e dal basso, tramite rispettivamente il presidente di Capitalia Cesare Geronzi (che ogni tanto viene sollecitato a mettergli «il pepe al culo») e il numero tre della Federcalcio Innocenzo Mazzini (che gli dava del «rimbambito», intanto proprio ieri si è dimesso: fuori due!).
E’ sempre lui che controlla la Lega calcio attraverso attraverso le pressioni del suo alleato principe, l’amministratore delegato della Juve Antonio Giraudo, figura chiave del sistema moggiano. Lui che controlla il mercato di calciatori e allenatori attraverso la Gea del figlio Alessandro. Lui che istruisce i giornalisti a libro paga su cosa debbono scrivere e dire in tv («Lucia’, che devo dire stasera?»). Lui che si servirebbe - e questo è il capitolo più spaventoso e probabilmente più difficile da dimostrare - di infiltrati alla procura della Repubblica di Torino, nelle questure di Roma e Torino, nella guardia di Finanza, nelle forze di polizia e persino nel governo.
Un esercito invisibile al suo servizio? In cambio di cosa? A volte di regali costosi, che in qualche conversazione intercettata vengono chiamati in gergo «panettoni». Ma più spesso in cambio di magliette della Juve, che gli arbitri collezionano come fossero ragazzini (c’è chi dopo una partita si vanta di averne prese otto), facendo attenzione anche al giocatore corrispondente (ovvero, tutti le vogliono con il numero di Del Piero e Ibrahimovic, chi si becca Olivera e Kapo protesta...).
Quasi sempre però in cambio del più classico dei regali, i biglietti per la partita: «A Lucia’, me ne servono quattro, anzi otto». Un continuo. Una processione di questuanti guidata dal numero uno degli arbitri, Tullio Lanese. A tutti Moggi non diceva mai di no. Tanto che alla fine ti chiedi come è possibile che il Delle Alpi fosse sempre vuoto con tanti imbucati.
Ma torniamo all’inizio. Capitolo primo. Le squadre coinvolte. Della Juve che scippa lo scudetto al Milan riparleremo, anche perchè a questo punto della vicenda agli occhi sbalorditi dei tifosi appare quasi scontato che l’abbia fatto (sebbene il racconto di come Moggi sia riuscito nel suo disegno criminoso apparirà spaventoso). La cosa che più colpisce chi ha condotto l’inchiesta è che il potere di Moggi, i suoi tentacoli, non si fermavano davanti al tentativo di far vincere la Juve con tutti i mezzi. Ma volevano controllare tutti e tutto. Determinare la classifica finale in ogni sua posizione. Nel campionato 2004/5 questo si estrinsecherà soprattutto negli aiuti alla Lazio di Lotito e alla Fiorentina dei fratelli Della Valle.
Le due vicende sono opposte e per questo complementari. Da un lato c’è un club, la Lazio che si è subito asservita a quello che i magistrati chiamano «il sistema di potere moggiano», e per questo viene aiutata. Dall’altro c’è un club, la Fiorentina, che si ripresenta in serie A con i proclami del suo patron «su un calcio da cambiare». Si mette di traverso alla rielezione di Galliani e per questo viene ripetutamente punita: fino a quando Della Valle non si piega al sistema, e allora in extremis viene salvato da una retrocessione che sembra ineluttabile.
Tocca a Innocenzo Mazzini, gran capo del centro federale di Coverciano dove il giovedì si riuniscono gli arbitrio, il compito di pilotare la volata salvezza: sua una massima celebre rivolta al presidente Lotito furioso perché Trefoloni ha fatto vincere la Juve all’Olimpico: «Non puoi sempre essere cane, a volte devi fare la lepre...».
Queste alcune delle gare sotto inchiesta con i relativi arbitri: Chievo-Fiorentina (Dondarini), Lecce-Parma (De Santis), Chievo-Lazio (Rocchi), Lazio-Parma (Messina), Lazio-Fiorentina (Dondarini), Bologna-Lazio (Tagliavento).
Tutto ruota per Lazio e Fiorentina attorno alla doppia rielezione di Franco Carraro in Federcalcio e di Adriano Galliani in Lega, avvenute rispettivamente nel febbraio e nel marzo del 2005. E’ questo, secondo i magistrati, lo snodo chiave della stagione, il momento in cui il sistema moggiano esprime tutta la sua potenza riuscendo così a piazzare i suoi candidati nei posti chiave del palazzo del calcio. Dirigenti, burocrati, ma anche potenti segretarie. Tutti servivano un unico padrone, tutti lavoravano per un solo scopo.
Il condizionamento sui risultati delle gare avviene naturalmente attraverso un controllo sistematico del mondo arbitrale. Non si contano, nel 2004/5 le cene fra Moggi, Giraudo, Lanese, Bergamo e Pairetto: quasi sempre a casa di quest’ultimo, nei pressi di Torino, spesso con le rispettive consorti. Qualche volta però si incontrano tutti anche da Bergamo, nella campagna livornese.
Qui si mettono a punto le strategie il giorno prima dei presunti sorteggi degli arbitri per la domenica seguente (secondo le indagini: una presa per i fondelli). Qui si stabiliscono i guardalinee, che invece vengono designati direttamente e ai quali spesso è affidato l’esito della gara perché meno noti e meno esposti alle critiche. Qui si decidono le ammonizioni dei giocatori che dovranno incontrare la Juve nel turno successivo, per determinarne la squalifica.
Ma anche di questo aspetto riparleremo man mano che da Napoli emergeranno altri dettagli dell’inchiesta.
Intanto oggi si gioca a calcio: Sembra impossibile ma si gioca una partita vera. E non perché è la finale di Coppa Italia. No: Roma-Inter alla luce di questa inchiesta, se non ci saranno colpi di scena, assegna stasera il vero scudetto: lo scudetto dell’onestà. Il club di Sensi e quello di Moratti sembrano infatti accumunati dall’identico destino: stare ufficialmente al tavolo «con le grandi», ovvero col sistema di Moggi, avendo sostenuto la rielezione di Carraro e Galliani, eppure non averne alcun beneficio.