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Discussione: letterina a Veltroni

  1. #1
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    Predefinito letterina a Veltroni

    Quando ti esprimi sulla legge Biagi pensi solo a posizionarti verso destra con occhiuta sagacia o anche ai tuoi figli o nipoti che ne possono diventare vittime? Naturalmente sei certo che le vittime della Biagi possono essere soltanto i figli degli altri.
    In Italia si discute sempre sulla pelle altrui.
    Pietro Ancona

  2. #2
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    Citazione Originariamente Scritto da pietro936
    Quando ti esprimi sulla legge Biagi pensi solo a posizionarti verso destra con occhiuta sagacia o anche ai tuoi figli o nipoti che ne possono diventare vittime? Naturalmente sei certo che le vittime della Biagi possono essere soltanto i figli degli altri.
    In Italia si discute sempre sulla pelle altrui.
    Pietro Ancona
    Hai letto solo il titolo o ANCHE l'articolo?

    LAVORO. LA VIA GIUSTA E' QUELLA DI BIAGI
    Walter Veltroni

    Ancora oggi - scriveva un anno fa Marina Biagi alla corre di assise di Bologna - ogni volta che varchiamo il portone di casa, il pensiero torna inevitabilmente a quella sera, all'immagine di Marco riverso sotto il portico, alla sua borsa e alla sua bicicletta rovesciate, e il dolore e l'angoscia si risvegliano. Chi lo ha ucciso non solo ha tolto la vita ad un uomo indifeso, ma anche cambiato per sempre le nostre vite, togliendoci serenità e certezze. Senza tuttavia toglierci la fiducia nella giustizia».
    Marco Biagi, assassinato così, era un intellettuale onesto e un uomo coraggioso: per questo abbiamo voluto intitolargli una via di Roma, dentro un bellissimo parco dove i nomi conservano la memoria di altre vittime del terrorismo omicida. Le sue convinzioni personali e culturali ne facevano un riformista, socialista e cattolico. Ma in primo luogo Biagi era un uomo dello Stato, era al servizio delle istituzioni. Grazie alla sua formazione intellettuale e alla ampiezza delle sue vedute sull'Europa considerava il mercato del lavoro italiano ingessato da regole nate per essere applicate a situazioni ormai molto differenti da quelle attuali, e proponeva la sperimentazione di strade diverse, senza farsi fermare da pregiudizi e ideologismi e seguendo un principio di fondo: la via da percorrere, per lui, non era certo quella del liberismo senza regole. Le riforme dovevano essere portate a termine, così scriveva, «senza negare la specificità del modello sociale europeo, volto a contemperare l'efficienza con la giustizia e la coesione sociale».
    E' con queste convinzioni di fondo che Marco Biagi ha servito le istituzioni. Ha collaborato, in quest'ultimo decennio, prima con l'allora ministro del Lavoro Tiziano Treu, poi con Romano Prodi e con la Commissione Europea, ed infine con il ministero del Lavoro del governo uscente. Non sentiva questa come un'incoerenza. Credo, piuttosto, sentisse di dover essere ciò che riconosceva nel suo maestro Federico Mancini: non un «giurista del principe» ma un «giurista di progetto», capace cioè di mettere esperienza e idee al servizio non di una persona o di una parte politica, ma di progetti in cui credeva.

    Il suo era l'approccio di un giurista «senza frontiere», che voleva fossero abbandonati «gli occhiali dell'ideologia e del pregiudizio», e che con questo spirito collaborava con la politica, lavorava nelle istituzioni. Così nacque il «Libro Bianco» sul mercato del lavoro, da attribuire interamente a lui anche più della successiva legge che porta il suo nome e che è frutto di molti e difficili passaggi politici. Quel «Libro Bianco» fu oggetto di critiche da parte sindacale e politica. Biagi ebbe la capacità di dialogare anche con i più forti oppositori, convinto che il confronto avrebbe alla fine contribuito a migliorare il sistema. E io credo che questa sia una verità profonda. Credo che ogni confronto debba andare alla radice dei problemi, senza valutazioni a priori, senza ideologismi, senza agitare la riforma del mercato del lavoro come una bandiera, né da sostenitori, né da detrattori. Credo che Biagi inviterebbe a fare questo, oggi.
    Del «Libro Bianco» vorrei ricordare la grande parte dedicata alla riforma degli ammortizzatori sociali, in quel documento indistricabílmente connessa alle altre riforme. Perché la flessibilità è un elemento che deriva ormai dalla realtà del mercato del lavoro globalizzate, ma la flessibilità va controllata e regolata, perché non si trasformi in una precarietà dannosa per i lavoratori soprattutto, ma anche per l'intero sistema economico.
    Il grande obiettivo è quello di una occupazione di qualità, «che concili il grande aspetto della vita umana che è il lavoro con gli altri aspetti ugualmente importanti, la vita familiare, la vita personale». La flessibilità ha contribuito a facilitare l'accesso di tanti ragazzi e ragazze al mondo del lavoro. Ma alla più alta frammentazione dei rapporti di lavoro, alla rinuncia all' idea del posto fisso, devono corrispondere tutele e contrappesi sul piano della continuità previdenziale, della formazione, della solidità delle indennità di disoccupazione, dei servizi che rendono più sicura la vita familiare e personale dei cittadini.

  3. #3
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    Non siate superficiali nel leggere questa lettera...una cosa è il "Libro Bianco" di Biagi,ed un'altra è la cosiddetta "Legge Biagi"(con la quale lui non ha poi così tanto a che fare).
    Se c'è qualcuno in Italia che sta combattendo il precariato è Veltroni,che a Roma sta incrementando incredibilmente i dipendenti a tempo indeterminato nelle imprese ed aziende Romane grazie alla legge del premio alle aziende vincitrici di appalti.

  4. #4
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    Giorni fa lessi un articolo riguardante uno studio dell'Istituto Cattaneo (magari ora lo cerco) che parlava degli effetti della legge Biagi.
    In realtà pare che la legge Biagi non abbia inciso moltissimo sulla precarietà in negativo (insomma non l'ha aumentata)... ma nemmeno in positivo sull'occupazione (non è aumentata nemmeno quella).
    In buona sostanza la conclusione di quello studio è che è stata una legge inutile.

 

 

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