D’Alema ha perso le primarie perchè la sua visione è incompatibile con le primarie
Inserito il 27 gennaio 2010
D’Alema ha perso le primarie perchè la sua visione è incompatibile con le primarie|Libertiamo.it
D’Alema ha perso le primarie perchè la sua visione è incompatibile con le primarie

- All’apparenza, per spiegare gli eventi pugliesi, basterebbe la solita battuta: it’s democracy, stupid!
In realtà la vicenda è molto più complessa della scelta tra linee politiche alternative. Il modo in cui si è arrivati a quella scelta mostra il vero conflitto, per nulla risolto. Quello tra modelli di gestione del partito, che rispondono a logiche completamente diverse: quella centralistico-verticistica e quella democratica. Pretendendo di tenerle insieme, in un gioco di prestigio protrattosi per mesi, il PD ha reso a tratti farsesca la vicenda pugliese, ma soprattutto ha messo a nudo quanto sia ancora lontano un condiviso modello di partito.

Cominciamo dai fatti. Sia che la si legga con la lente delle passioni che con la lente dell’analisi, il risultato non cambia. La lente delle passioni ci dice che c’è un grande sconfitto delle elezioni in Puglia: Massimo D’Alema.Un politico di livello, che non si è risparmiato nemmeno la sera prima del voto, partecipando a Chetempochefa di Fazio per tirare la volata al suo candidato (con buona pace delle tonanti invettive su par condicio e conflitto di interesse). L’ex premier ci ha messo la faccia, come altre volte in passato, è ciò sicuramente gli fa onore. Ma questa volta ha perso anche la sua strategia. Ed era probabilmente scontato che fosse così: la linea di questo gruppo dirigente del PD non si può affermare con le primarie. E questo non il contenuto della strategia (l’alleanza strategica con l’UDC piuttosto che un’altra prospettiva), quanto per l’incompatibilità delle primarie ad un processo decisionale sottratto al controllo ferreo dell’élite dirigente del partito. Quella di D’Alema, a me pare una visione – con tutta la sua arcaica dignità – che affonda le proprie radici nella sintesi tra centralismo democratico di ascendenza comunista e oligarchismo satrapico di derivazione mediterranea. Nell’illusione che vede la dirigenza del partito come avanguardia capace di pilotare le masse verso il “sol dell’avvenire”. Una visione ideologica e dirigista, che non fa i conti, però, con la società complessa, con la frantumazione degli interessi e la fine dei monolitici blocchi sociali. Ma è anche è una visione venata da un pessimismo fatalista sull’inferiorità strutturale del popolo, incapace di decisioni sagge, misto a una straordinaria opinione di sé e delle proprie capacità nella gestione di situazioni complesse (o rese complesse affinché appaia necessario l’intervento del professionista D’Alema). Il popolo è utile quando viene schierato nelle battaglie ideologiche, quelle in cui c’è da solleticare l’identità: ma per favore, che il popolo non prenda decisioni, perché non può capire le strategie politiche. Non funziona bene la Primo Repubblica proprio perché basata su questo basilare principio dei “due tempi”? Il tempo elettorale delle identità brandite l’una contro l’altra ed il tempo delle “superiori necessità della nazione” e della grande retorica unanimistica sulla convergenza tra diversi.

E’ un cane che si morde la coda: quanto più i cittadini vengono relegati nel ruolo di tifoserie, cui si chiedono atti di fede per scelte d’identità o l’acclamazione di parole d’ordine elementari, tanto più si autogiustifica il ruolo di mediazione delle élites politiche per compensare la “ferocia della piazza” o la “primordialità del volgo” che loro stesse hanno contribuito ad aizzare. E, dunque, verso le primarie l’atteggiamento non può che essere ambiguo. Incontestabili in linea di principio (come fa un partito democratico a rifiutare quel metodo?), ma sospette e pericolose. Come si fa a lasciar decidere il popolo da solo, senza orientamento della leadership, senza rete di protezione, senza praticare una “democrazia pilotata”! Era già successo con l’acclamazione di Veltroni, che ha accettato di essere commissariato dai maggiorenti all’atto stesso della sua elezione (che infatti non è stata una “sua” elezione, ma delle liste che lo “sostenevano”). Sembrava cambiato con l’elezione di Bersani, salva la sospetta rapidità con la quale la sua vittoria è stata riconosciuta dagli avversari. Il problema riesplode con il caso Puglia. In cui prima la democrazia si è cercato di evitarla, poi si è cercato di pilotarla, e infine la si è subita.

E dunque non è una linea di alleanze o una linea politica particolare che ha vinto o ha perso. Credo che la cosa sia assai più semplice. La principale ragione della sconfitta di alcuni è che gli elettori hanno capito che, alle primarie, questi qui non ci credevano affatto. Perché la democrazia è una cosa seria. Mentre la sensazione è che gli unici che la prendono sul serio siano quelli che non appartengono alla nomenclatura. A cominciare dagli elettori stessi.

Nichi Vendola ha vinto proprio per questo, al di là del merito della sua linea politica. Perché ha contribuito a rafforzare la cultura democratica (e del Partito democratico) nell’unico modo possibile: praticandola. Con la sua tenacia, l’omaggio al valore etico delle procedure ed il suo rifiuto di negoziare la resa, ha fatto assai più di mille farisaiche parate di maggiorenti su quanto è democratico il Partito democratico.
Qualcuno si può anche illudere di tornare alla politica ancien régime, la politica della delega ai maggiorenti, ma deve avere il coraggio di proporla e non contrabbandarla con la “democrazia pilotata”.
Perché se la si vuole, la democrazia bisogna praticarla. Incalzando i cittadini elettori con le ragioni della complessità, richiamandoli alle loro responsabilità, non mantenerli in un comodo stato di minorità, con la riserva mentale di utilizzarli come massa di manovra quando bisogna riempire una piazza. Non c’è altra strada. E il problema, sia detto per inciso, non riguarda solo il PD.

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Giovanni Guzzetta -