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    webmonster
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    Predefinito I corsari che aiutano a sparire da Internet

    Cresce la rivolta dei pentiti di chat e social network: «Quando si entra nel meccanismo, scatta la trappola»
    BRUNO VENTAVOLI
    ROMA
    All’inizio è un turbine di narcisismo. Il mondo entra nel computer, trovi amici, amori, consigli da chi condivide lo stesso hobby. Ma quando, d’un tratto i social network, le chat, i blog vengono in uggia, è difficile svanire nel nulla. Ed è impossibile sapere quel che accadrà alle mille schegge di noi, della nostra vita, dei nostri segreti, dei nostri peccati, delle nostre parole, dei nostri avatar sparsi per la rete. Ieri un legale di Vittorio Sgarbi ha spedito una diffida a YouTube e Google. «O togliete le sue immagini, o le pagate 10 mila euro al minuto».

    I video con invettive e risse del sindaco-critico in decine di agorà televisive sono cliccatissimi. E se non si paga l’obolo si viola la legge sullo sfruttamento delle immagini. Qui è in ballo il delicato problema del diritto d’autore che spacca i teorici del web. Ma l’assillo di tutelare se stessi sta diventando sempre più seccante. Anche se non si fanno opere d’arte. Né si dicono cose vip. Basta aver infilato il naso nella rete e il sacrosanto bisogno di fuga, elogiato da Laborit, diventa chimera. Solo il computer spento per sempre, o la Legione Straniera, libera da turbe di molestatori, voyeur, pesanti invasioni nella sfera privata.

    Qualche giorno fa una fanciulla di Feltre, in provincia di Belluno, ha avuto la brillante idea di sfrenarsi nel sesso con un fidanzato e un amico e l’ancor più brillante trovata di lasciarsi filmare. La performance è finita su Internet, con nome e cognome della protagonista, e migliaia di persone si scambiano il filmato. La ragazza s’è arrabbiata e ha denunciato tutto alla questura. Violazione della privacy. Le immagini di un peccato sessuale non sono certo invenzione del Web. Se non ci fossero state ereditiere incaute e mogli poco morigerate non avrebbero scritto gialli né Chandler, né Hammett. Ma lì, come succedeva nei meravigliosi film in bianco nero della Warner, spuntava uno stropicciato detective privato o un losco sicario a cancellare le tracce.

    Ora è assai più complesso. Internet va contro tutte le vigenti leggi del codice e della fisica. Tutto si crea, nulla si distrugge. Tant’è che qualcuno comincia a proporsi un ruolo di investigatore classico promettendo di cancellare ogni traccia dalla giungla virtuale. Ci sono siti che per poche decine di dollari sorvegliano e puliscono la reputazione degli individui. Setacciano il web e trovano tracce, nomi, citazioni, immagini. E, dietro pagamento di altri dollari, provvedono loro a fare le richieste per cancellare le informazioni sgradite. La funzione è la stessa dei detective hard-boiled. Ma i risultati che si ottengono, probabilmente, molto meno efficaci. Anche perché una volta inglobati dal web si diventa subito patrimonio dell’umanità. Il problema di tutelarsi dall’invadenza della rete nel privato si pone anche se uno non ha mai fatto sesso acrobatico, come la ragazza bellunese.

    Basta essersi infilato una volta in uno dei tanti social network alla moda per ritrovarsi catapultato in un tornado di socialità. Tornano gli amici di scuola che uno non sopportava allora, figuriamoci con pancia e calvizie, tornano gli ex amori, e in più arrivano turbe di sconosciuti espansivi che vogliono condividere la medesima passione per le porcellane cinesi e la filologia ugrofinnica. Una volta entrati nel giro è difficile uscirne, a patto di non spegnere per sempre la macchina. A inizio gennaio un gruppo di artisti corsari ha inventato la Suicide Machine, un sito gratuito che consente a tutti i pentiti di Facebook, Twitter, Myspace e LinkedIn di suicidarsi virtualmente, cancellando definitivamente foto, dati, profili dalla blogosfera.

    Questo in realtà lo può fare chiunque, ma occorre quasi un giorno di seccanti operazioni. Con l’«applicazione suicida» bastavano pochi clic. La proposta era talmente allettante che molti pentiti di Facebook si sono fatti avanti. In pochi giorni sono stati cancellati 50 mila amici e disattivati 500 profili. Troppi. Troppo facilmente. Facebook è insorta, bloccando l’accesso al sito «suicida». Ha inviato una cortese lettera per invitare a smetterla con quell’attività a-socialnetwork. Dando un limite di tre giorni per comunicare che intenzioni hanno. Sul sito, per ora, ci sono le cifre del conto alla rovescia, secondo per secondo. La scadenza è la mezzanotte di oggi. La decisione di «Suicide Machine» sarà un altro piccolo passo nel nostro incerto destino di esseri virtuali.


    I corsari che aiutano a sparire da Internet - LASTAMPA.it

  2. #2
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    Predefinito Rif: I corsari che aiutano a sparire da Internet

    Citazione Originariamente Scritto da fulvia Visualizza Messaggio
    Cresce la rivolta dei pentiti di chat e social network: «Quando si entra nel meccanismo, scatta la trappola»
    BRUNO VENTAVOLI
    ROMA
    All’inizio è un turbine di narcisismo. Il mondo entra nel computer, trovi amici, amori, consigli da chi condivide lo stesso hobby. Ma quando, d’un tratto i social network, le chat, i blog vengono in uggia, è difficile svanire nel nulla. Ed è impossibile sapere quel che accadrà alle mille schegge di noi, della nostra vita, dei nostri segreti, dei nostri peccati, delle nostre parole, dei nostri avatar sparsi per la rete. Ieri un legale di Vittorio Sgarbi ha spedito una diffida a YouTube e Google. «O togliete le sue immagini, o le pagate 10 mila euro al minuto».

    I video con invettive e risse del sindaco-critico in decine di agorà televisive sono cliccatissimi. E se non si paga l’obolo si viola la legge sullo sfruttamento delle immagini. Qui è in ballo il delicato problema del diritto d’autore che spacca i teorici del web. Ma l’assillo di tutelare se stessi sta diventando sempre più seccante. Anche se non si fanno opere d’arte. Né si dicono cose vip. Basta aver infilato il naso nella rete e il sacrosanto bisogno di fuga, elogiato da Laborit, diventa chimera. Solo il computer spento per sempre, o la Legione Straniera, libera da turbe di molestatori, voyeur, pesanti invasioni nella sfera privata.

    Qualche giorno fa una fanciulla di Feltre, in provincia di Belluno, ha avuto la brillante idea di sfrenarsi nel sesso con un fidanzato e un amico e l’ancor più brillante trovata di lasciarsi filmare. La performance è finita su Internet, con nome e cognome della protagonista, e migliaia di persone si scambiano il filmato. La ragazza s’è arrabbiata e ha denunciato tutto alla questura. Violazione della privacy. Le immagini di un peccato sessuale non sono certo invenzione del Web. Se non ci fossero state ereditiere incaute e mogli poco morigerate non avrebbero scritto gialli né Chandler, né Hammett. Ma lì, come succedeva nei meravigliosi film in bianco nero della Warner, spuntava uno stropicciato detective privato o un losco sicario a cancellare le tracce.

    Ora è assai più complesso. Internet va contro tutte le vigenti leggi del codice e della fisica. Tutto si crea, nulla si distrugge. Tant’è che qualcuno comincia a proporsi un ruolo di investigatore classico promettendo di cancellare ogni traccia dalla giungla virtuale. Ci sono siti che per poche decine di dollari sorvegliano e puliscono la reputazione degli individui. Setacciano il web e trovano tracce, nomi, citazioni, immagini. E, dietro pagamento di altri dollari, provvedono loro a fare le richieste per cancellare le informazioni sgradite. La funzione è la stessa dei detective hard-boiled. Ma i risultati che si ottengono, probabilmente, molto meno efficaci. Anche perché una volta inglobati dal web si diventa subito patrimonio dell’umanità. Il problema di tutelarsi dall’invadenza della rete nel privato si pone anche se uno non ha mai fatto sesso acrobatico, come la ragazza bellunese.

    Basta essersi infilato una volta in uno dei tanti social network alla moda per ritrovarsi catapultato in un tornado di socialità. Tornano gli amici di scuola che uno non sopportava allora, figuriamoci con pancia e calvizie, tornano gli ex amori, e in più arrivano turbe di sconosciuti espansivi che vogliono condividere la medesima passione per le porcellane cinesi e la filologia ugrofinnica. Una volta entrati nel giro è difficile uscirne, a patto di non spegnere per sempre la macchina. A inizio gennaio un gruppo di artisti corsari ha inventato la Suicide Machine, un sito gratuito che consente a tutti i pentiti di Facebook, Twitter, Myspace e LinkedIn di suicidarsi virtualmente, cancellando definitivamente foto, dati, profili dalla blogosfera.

    Questo in realtà lo può fare chiunque, ma occorre quasi un giorno di seccanti operazioni. Con l’«applicazione suicida» bastavano pochi clic. La proposta era talmente allettante che molti pentiti di Facebook si sono fatti avanti. In pochi giorni sono stati cancellati 50 mila amici e disattivati 500 profili. Troppi. Troppo facilmente. Facebook è insorta, bloccando l’accesso al sito «suicida». Ha inviato una cortese lettera per invitare a smetterla con quell’attività a-socialnetwork. Dando un limite di tre giorni per comunicare che intenzioni hanno. Sul sito, per ora, ci sono le cifre del conto alla rovescia, secondo per secondo. La scadenza è la mezzanotte di oggi. La decisione di «Suicide Machine» sarà un altro piccolo passo nel nostro incerto destino di esseri virtuali.


    I corsari che aiutano a sparire da Internet - LASTAMPA.it
    hahahhahahaaa

 

 

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