OMNIA SUNT COMMUNIA


(A cura del Centro Studi Biologia Sociale – Acireale-CT)

Appunti di Biologia Sociale


LA TRILOGIA DELL’ABBAGLIO: DIO-MATERIA-LIBERTA
Carmelo R. Viola

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L’


adolescenza della civiltà è contrassegnata da tre atteggiamenti parimenti erronei della mente dell’uomo, il quale insegue da sempre il sogno di una verità totale capace di risolvere i timori dell’ignoto, le difficoltà del presente e le incertezze del futuro. I più furbi hanno sfruttato da sempre i bisogni dei propri simili per trarne profitto. Ed anche la tendenza, propria dell’immaturità, di scambiare la fede con la certezza, si direbbe il bisogno di autosuggestionarsi. Nessuna razionalizzazione può fare in modo che un atto di fede sia una cosa sostanzialmente diversa da quella che effettivamente è: l’affermazione di qualcosa scientificamente indimostrabile.
Questo bisogno di autocompensazione è biologicamente legittimo e comprensibile nell’uomo che, in quanto tale, non si accontenta di vivere alla giornata (non si arrende alla quotidianità), ma diventa autolesivo quando il soggetto non ha la capacità di gestirlo. Su tale bisogno di rassicuranza (affettiva), di solidarietà con il mondo inteso nella totalità (infinità!) di spazio e di tempo, si è configurato il primo grande abbaglio: quello di Dio creante, insomma di un ente che può tutto e che pertanto può assicurarci tutto (se lo meritiamo), compresa l’eternità. Quale strumento più sofisticato per esercitare un potere sugli uomini di quello di apparire un “delegato” di cotanto ente? Se non che il concetto di creazione confuta sé stesso presupponendo un Dio, per altro non si sa da dove venuto fuori, rimasto inattivo, solo e inutile, per un tempo infinito!
Quel bisogno – detto impropriamente senso religioso – non va/non può essere eliminato ma può e deve essere soddisfatto in modo, come dire, consapevole e responsabile (e quindi non autolesivo) Occuparsi degli altri – spesso solo ipotetici eredi affettivi e/o “ideologici” – è una risposta a quel bisogno. Una risposta laica che ripete i rischi di quella fideistica quando “è vissuta” alla stregua di una fede: donde altro fanatismo …
Il marxismo è una risposta laica a quel bisogno: certamente la più grande risposta laica, costruttiva e avveniristica di tutti i tempi. I suoi adepti ufficiali ne hanno fatto una fede (sbagliando) bloccandone la crescita all’assolutizzazione della condizione economica e del lavoro, considerata materia determinante dei comportamenti e della storia (vedi teoria del classimo e della storia come lotta di classi). Per materia va inteso l’insieme delle strutture non solo economiche ma anche dei mezzi di produzione dei beni e dei servizi.
Alla materia così intesa “reagisce” certamente la dinamica comportamentale di ogni singolo individuo. Reagire vuol dire rispondere in forza dei bisogni costanti di tutti gli uomini (fame, ecc.) ma con la modalità variegatissima naturale della propria esperienza attuale e genetica (attitudinale). Senonché la risposta, che può essere collettiva o “di massa”, non è necessariamente classista: può essere di adeguamento o di contestazione; reazionaria-conservatrice o rivoluzionaria-progressista. Il negativo di tale abbaglio consiste in questo: l’ambiente economico e di lavoro non è il fattore di ultima istanza che conclude la “sintesi di reazione” di più fattori. Ciò significa che la condizione proletaria non fa necessariamente l’oppositore del padrone: può farne (sempre più spesso ne fa) un emulo! E’ quanto sta succedendo nella società neoliberista nella quale la distinzione è sempre più fra padroni riusciti e padroni mancati (o in attesa di diventarlo!).Nemmeno i poveri e i disoccupati si sentono dei rivoluzionari, piuttosto dei falliti o dei disgraziati.
La dinamica comportamentale non può prescindere dalle condizioni economiche esattamente come non può prescindere dalle attitudini innate e dall’educazione ricevuta. Il comportamento progressista non è questione di condizioni “materiali” ma di maturità socio-miorale.
Il terzo abbaglio è quello della libertà liberante, della libertà autosufficienter, che può fare a meno di tutto, anche del potere organizzato, quindi anche dello Stato. Ma non della solidarietà con i propri simili. Anzi, più esclude le istituzioni, più ha bisogno di quella. E’ l’abbaglio per eccellenza degli anarchici tradizionali che ritengono di avere trovata la risposta nella “libertà senza potere”, nel dire di no a tutto per dire sì a sé stessi. E’ la stessa libertà cui fanno riferimento i neoliberisti. Per meglio abbagliare le folle. Senonché la libertà è potere, potere di fare qualcosa, potere di disporre di mezzi,, uno dei quali è l’organizzazione del potere stesso – cioè lo Stato – fatto di norme e di limiti perché nessun individuo o gruppo può fare alcunché _ e meno che mai tutto – senza essere collegato organicamente (o virtualmente) con (tutti) gli altri per la legge della complementarità ma anche per la reciproca difesa dall’arbitrio e dalla prepotenza. La libertà da sola non significa niente: è sempre libertà da qualcosa e libertà di fare qualcosa. E, infatti, i più “dotati” e quindi accesi neoliberisti sono dotati di un forte potere economico e, talvolta, anche tutelati da una buona scorta di teste di cuoio, senza del quale e delle quali non potrebbero godere dei privilegi (di potere) di cui godono!
I tre abbagli persistono: il primo è addirittura in rimonta. Il secondo è in crisi ma i suoi fautori non cedono confermando il modo malauguratamente fideistico di professare la loro teoria. Il terzo sembra in disparte, ma lo sembra solo agli anarchici propriamente detti. Il neoliberismo, per l’appunto, scorre sul pregiudizio della “libertà che libera”, donde le privatizzazioni e la desocializzazione dello Stato. Se gli anarchici fossero liberi di costruire la… anarchia, in mancanza di un’organizzazione unitaria, non potrebbero fare a meno di spartirsi territorio e competenze (come stavano per fare nella Spagna del ’36) finendo per ricostruire Stati, privilegi e conflitti (di competenza e non solo). La soluzione può venire solo da uno Stato sociale ìntegro e coerente, al di sopra delle parti, gestito da uomini moralmente maturi.


Carmelo R. Viola



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