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Discussione: 23 maggio 1992

  1. #71
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    Citazione Originariamente Scritto da kalashnikov47
    Intendevo dire, che al di là del profondo rispetto per i morti, questa è una tragedia che non mi appartiene. La mafia è un problema regionale. Non nazionale. Nella mia regione al Nord, fino a qualche anno fa, nessuno sapeva cosa fosse la mafia. Un fenomeno assolutamente estraneo alla nostra cultura.
    Meglio non sapere, meglio ignorare, continua così, vivrai più sereno!
    P.S.: abito a nord-est ed ho visto tanti capi di imputazione per reati di mafia, imputati insospettabili, esercizi apparentemente puliti...

  2. #72
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    Citazione Originariamente Scritto da kalashnikov47
    Sono diventati problemi di tutti grazie a quell'imbecille di Garibaldi. Ripeto: è un vostro problema. io non sono italiano. Sono padano.
    ___________
    E allora cosa aspetti a levarti dai coglioni? Siamo stanchi di sopportare te e quei cazzoni che la pensano come te. Rauss...

  3. #73
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    Ricordiamo Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.

  4. #74
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    Citazione Originariamente Scritto da ardimentoso
    un democristiano e un fascista.
    Falcone votava PCI, hai le idee un pò confuse, cammarata.

  5. #75
    Fiamma dell'Occidente
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    Scritto in origine da Ronnie
    Caselli ti nega l'antimafia.

    La mafia uccide.
    Citazione Originariamente Scritto da MrBojangles
    ... non l'ho capita.
    Non deve essere comprensibile, e per motivi di natura penale. Ma hai capito perfettamente.
    _
    P R I M O_M I N I S T R O_D I _P O L
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    Presidente di Progetto Liberale

  6. #76
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    Citazione Originariamente Scritto da IIrina
    Ma che paese del caucaso che è l'Italia! C'è la mafia e la si sfrutta per distruggere ed infamare politicamente Andreotti e Berlusconi! Ma Prodi mortadella e Baffetto che cosa hanno fatto contro la mafia nei 5 anni di loro governo?
    Ora se Andreotti e Berlusconi hanno avuto a che fare con la mafia è colpa di chi lo fa notare... viva il giornalismo libero...

  7. #77
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    Citazione Originariamente Scritto da ardimentoso
    [...]

    una domanda che mi son fatto, a cui non sono riuscitoperò mai a dare risposta.....

    ma con quei due ancora vivi, tangentopoli e tutto il fumo senza arrosto consegunte, ci sarebbe mai stata?
    Ti riporto, sulla questione, un'AZZECCATISSIMA metafora fatta da Di Pietro.

    L'intero malaffare italiano è come una montagna; il Pool di Milano la stava scalando su un versante, quello di Palermo dal versante opposto.
    Ma, la montagna era la STESSA; ed entrambe le "scalate" si stavano avvicinando alla cima.
    Al "vertice".

    Poi sono scoppiate le bombe; poi le politiche del '94 ...

  8. #78
    ardimentoso
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    Citazione Originariamente Scritto da MrBojangles
    Ti riporto, sulla questione, un'AZZECCATISSIMA metafora fatta da Di Pietro.

    L'intero malaffare italiano è come una montagna; il Pool di Milano la stava scalando su un versante, quello di Palermo dal versante opposto.
    Ma, la montagna era la STESSA; ed entrambe le "scalate" si stavano avvicinando alla cima.
    Al "vertice".

    Poi sono scoppiate le bombe; poi le politiche del '94 ...
    se la fonte è di pietro....stiamo a posto

  9. #79
    ardimentoso
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    Citazione Originariamente Scritto da matteomatteo
    Falcone votava PCI, hai le idee un pò confuse, cammarata.
    si votava pci.........ma vatte a nasconne

    rivediamo un pò la stroria di quegli anni(tutti fatti documetabilissimi, nulla di segreto)

    Il punto di partenza potrebbe essere rappresentato dalla requisitoria del giudice Luca Tescaroli, pubblico ministero nel processo per la cosiddetta strage di Capaci. Secondo il magistrato, nei primi anni ’90 l’obiettivo della mafia è quello di distruggere la Dc. Motivo: vendicare l’offensiva che qualche anno prima la stessa Democrazia Cristiana ha scatenato contro la mafia con varie leggi, a partire dai “premi” per i mafiosi pentiti. Oltre alla legislazione premiale per i collaboratori di Giustizia, il governo, nell’autunno del 1989 (e precisamente quando il Muro di Berlino è già crollato: particolare, questo, da non sottovalutare), vara un decreto legge per prolungare i termini della custodia cautelare per i reati di mafia. Una mossa che impedisce ai mafiosi condannati al maxiprocesso di uscire dalla galera per decorrenza dei termini di custodia cautelare. In quel momento, per la cronaca, Presidente del Consiglio è Giulio Andreotti, mentre ministro di Grazia e Giustizia è il socialista Giuliano Vassalli. Il decreto legge che impedisce ai mafiosi di uscire dal carcere viene criticato dagli avvocati, dalla sinistra comunista e da esponenti dell’Antimafia.

    La replica, se così si può dire, si consuma la sera dell’1 marzo 1991, quando il governo vara un decreto che, di fatto, rispedisce in galera un gruppo di boss mafiosi messi in libertà grazie alla solita decorrenza di termini di custodia cautelare. Una tempesta di polemiche si abbatte sull’allora Presidente del Consiglio, Andreotti, e sul ministro di Grazia e Giustizia, il socialista Claudio Martelli. In questo decreto, che rimette in gabbia i mafiosi, c’è chi intravede lo zampino di Giovanni Falcone, che in quei giorni ha preso servizio al ministero retto da Martelli (e precisamente al vertice della Direzione per gli Affari penali. Per la cronaca, anche in questa occasione la sinistra critica l’operato del governo.

    In quei giorni si scatena la guerra contro Falcone, candidato alla guida della Procura nazionale Antimafia. Falcone è attaccato in una diretta Tv da Alfredo Galasso, anima critica dell’ex Pci; ed è bersagliato pure da Leoluca Orlando, che gli aveva rinfacciato di tenere le “carte nei cassetti”. Falcone, è inutile nasconderlo, viene delegittimato.

    A questo punto, senza voler indulgere nei “dietrologismi”, va segnalata una sinergia di certo casuale: e cioè la mafia che in quei giorni vuole mettere alle corde la Dc e l’ex Pci che vuole sbarazzarsi della Dc e del Psi. Si tratta di due soggetti, come fa notare l’ex ministro Dc Paolo Cirino Pomicino nel volume “Strettamente riservato” che perseguono obiettivi comuni con mezzi diversi e, naturalmente, con motivazioni diverse: motivazioni politiche nel caso dell’ex Pci; vendetta nel caso della mafia.

    Si arriva così al 1992. L’atmosfera è pesante. In Sicilia, già da qualche anno, circola il rapporto dei Ros (Raggruppamento operativo speciale dei Carabinieri) su mafia e appalti, un documento che lascia intravedere foschi scenari per democristiani e socialisti (i comunisti, come sempre, vengono esentati non tanto dal Ros, quanto da chi utilizza il loro rapporto). In quei giorni – questo verrà fuori anni dopo – Luciano Violante, ex magistrato, deputato comunista, presidente della Commissione Antimafia nazionale, viaggia su un aereo con il boss mafioso Giovanni Brusca, fiduciario di Totò Riina. Un caso? Per i magistrati di Palermo sì, è solo casualità. Sempre in quei giorni si apprende che lo stesso Violante sarà capolista dei post comunisti in Sicilia alle elezioni politiche.

    A marzo ‘92 ammazzano Salvo Lima, eurodeputato, vicinissimo ad Andreotti (Lima, per la cronaca, è stato per trent’anni il garante di accordi politici e non tra Dc e Pci in Sicilia). In quelle elezioni si sussurra di un appoggio della mafia alla sinistra: alla sinistra non certo socialista, visto che i mafiosi ce l’avevano a morte con il socialista Martelli. Sembra che su queste elezioni ci sia anche un dossier stilato dalle forze dell’ordine e inviato al ministero degli Interni. Ma il dossier, come racconta sempre Pomicino in un articolo su il Giornale il 19 marzo del 2001, sparisce. Sempre in quei giorni parte l’offensiva giudiziaria dei magistrati, che sembra indirizzata contro la Dc e il Psi di Craxi. Poi – siamo nel maggio del 1992 – arriva la strage di Capaci. E la successiva strage in cui perdono la vita il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta. Quindi gli attentati di Firenze e di Roma. Sullo sfondo, s’intravede l’offensiva giudiziaria in bilico tra mafia e politica che coinvolgerà – da imputato – anche Andreotti.

    Restano alcune domande: Falcone, da vivo, avrebbe condiviso la messa in stato di accusa di Andreotti, di Mannino, di Contrada, di Carnevale? Avrebbe avallato, in parole semplici, una discussa stagione giudiziaria? Falcone, prima di chiedere il rinvio a giudizio di qualcuno, era abituato a trovare le prove. Chi è venuto dopo di lui ha veramente seguito il suo metodo di lavoro? In ultima analisi: a chi ha giovato la morte di Falcone? Soltanto ai mafiosi o anche a chi ha strumentalizzato la mafia, per altro senza successo?

  10. #80
    ardimentoso
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    «Giovanni Falcone e Paolo Borsellino saranno ricordati, forse, anche da chi non merita di farlo» ha scritto Luciano Violante nei giorni scorsi.
    Ammesso che se ne condivida l'impostazione, e non si preferisca celebrare il decennale dalla strage di Capaci - come suggerisce Emanuele Macaluso - all'insegna della riflessione piuttosto che delle strumentalizzazioni, difficile è comprendere a chi l'ex presidente della Camera si riferisca.
    Soprattutto perché Giovanni Falcone da vivo non era amato quanto lo è da morto.
    Chi ha il diritto di commemorare Falcone?
    Ripercorrendo la biografia del magistrato antimafia ucciso con la moglie e la scorta nel '92, alla luce degli interventi, le commemorazioni, i libri ispirati da quella strage in questi dieci anni, in effetti, sono molti i nodi in cui s'incappa.
    Scopriamo così che il Leoluca Orlando che il 23 maggio del 1999 intitola una scuola a Falcone è forse solo un omonimo dell'Orlando che anni prima aveva accusato il magistrato di omertà mafiosa.
    Analogo discorso vale per la magistratura, che oggi Violante assume quale parametro discriminante tra chi può e chi non può commemorare («Non crederemo alle parole di chi ricorda Falcone e Borsellino mentre continua a denigrare i magistrati...»).
    Fu infatti il Csm che, dopo la vittoria di Falcone nel maxiprocesso del 1987, preferì nominare a capo dell'ufficio istruzione il consigliere Antonino Meli, che poi avocò a sé tutti gli atti. Fu ancora il Csm che quando il pm si candidò a procuratore capo di Palermo, gli preferì Pietro Giammanco.
    Allo stesso modo, furono i giudici della Cassazione che, nell'88, negando la struttura unitaria e verticistica della mafia, misero fine all'esperienza dei pool antimafia. E furono ancora i colleghi magistrati a non eleggere Falcone, alle elezioni del 1990, tra i membri togati del Csm.
    Il dissenso della sinistra giudiziaria
    Un'escalation che portò infine il più famoso pm del mondo a guadagnare tutto il dissenso della sinistra giudiziaria con la proposta di una Procura nazionale antimafia.
    Fu allora che dall'Anm, dal Csm, dal Pds, dall'Unità partì un'offensiva polemica contro Falcone candidato. Offensiva che portò alla successiva elezione di Agostino Cordova, a dispetto di Falcone.
    Nulla da meravigliarsi, comunque. Soprattutto alla luce di quanto accade oggi. La procura antimafia rappresentava - come scrive il Guardasigilli di allora, Claudio Martelli - una «novità dirompente per le abitudini, la mentalità e le rigide gerarchie dell'ordine giudiziario».
    E intanto l'«eroe civile» celebrato in queste ore, da direttore degli affari penali del ministero guidato da Martelli, metteva in discussione persino il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale e la separazione delle carriere.
    Più che i torti, Falcone non sopportava le polemiche
    Dunque - come sottolinea Giuseppe Ayala, amico di Falcone oltre che deputato Ds - è forse meglio lasciar perdere «questa voglia di fare l'elenco di chi può permettersi di commemorare e chi no». Anche perché, più che i torti, «ciò che Falcone non sopportava erano proprio le polemiche».
    Quello che viene fuori, dalla fitta serie di scontri con la corporazione, il mondo politico, il suo stesso partito, è piuttosto altro: se è stato un «eroe», come lo hanno chiamato oggi tanto Silvio Berlusconi quanto Ilda Boccassini, Falcone è stato un «eroe solitario».
    Un magistrato che si era formato nel rigore del processo civile e che fino a quando ha avuto gli indizi per indagare sull'intreccio tra mafia e politica lo ha fatto, senza farsi strumentalizzare. In questo modo ha scontentato prima la Dc, poi il Pci.
    La strage di Capaci: più che una vendetta, una cautela
    A dieci anni dalla strage di Capaci, sono ancora troppi i perché. «Qualcuno sollecitava» - suggerisce il pentito Gioacchino La Barbera. «Un progetto politico, non poteva che essere questo» - è la certezza di Luciano Violante. «Fermare la pressione dello Stato» - è l'idea di Francesco Cossiga. «Impedire che Andreotti andasse al Quirinale», l'ipotesi di Lino Jannuzzi.
    Una sola spiegazione però le comprende tutte, ed è quella di Calogero Mannino, recentemente assolto nonostante le tesi della Procura di Palermo. «La strage - afferma l'ex ministro Dc - non fu una vendetta. Falcone fu ucciso in via preventiva».

 

 
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