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Discussione: L'Internazionale

  1. #21
    oro e porpora
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    Intervista a Nadia Urbinati: «L'Internazionale? In quell'inno anche i valori del Pd»

    Antonella Cardone

    «"Bella Ciao"? La cantano anche qui negli Usa come canzone anti-fascista. Del resto mi sembra che su certe cose i democratici americani abbiano le idee più chiare rispetto al Pd». Nadia Urbinati, riminese di nascita, insegna teoria politica alla Columbia University. Si occupa di pensiero politico moderno e tra i suoi maestri ama ricordare Norberto Bobbio. I malumori di quanti hanno ritenuto inopportuna l'esecuzione di «Bella Ciao» e dell'«Internazionale» in apertura della Festa bolognese dell'Unità, un po' la sorprendono e un po' la scoraggiano. Ma su una cosa ci tiene a essere chiara: «Suonare queste canzoni non può essere ritenuta una parentesi di folklore. Ha un significato».

    Qualcuno si aspettava un repertorio più soft per la prima Festa targata Pd...
    «Ma che c'entra? Se l'obiezione a questi canti equivale all'opposizione a un certo tipo di veterocomunismo, possiamo anche essere tutti d'accordo. Ma credo che il punto sia un'altro».

    Quale?
    «Ho paura che chi critica l'esecuzione dell'"Internazionale", in realtà, non sia d'accordo con l'idea di emancipazione dallo sfruttamento che questa canzone evoca. E se valori come la dignità dei lavoratori vengono messi in discussione all'interno del Pd vuol dire che non c'è accordo sulle questioni fondamentali».

    Dunque, secondo lei, «Bella Ciao» e l'«Internazionale» sono ancora attuali?
    «Certo che sì. È ovvio che il significato di ogni mito è legato al suo tempo.
    Ma un partito nuovo non può avere le proprie basi solo nell'oggi. I miti di ieri devono essere declinati nel presente. In tempi di lavoro nero e di precariato l'"Internazionale" è ancora attualissima».

    Se lo aspettava che sarebbe stato così difficile individuare delle radici comuni nel Pd?
    «Immaginavo che ci sarebbero state tensioni sui valori e sulle identità. Ma me le aspettavo soprattutto in materia di bioetica. Sulla giustizia sociale credevo che nel Pd ci sarebbe stata una visione comune. Se non è questo un tema unificante...».

    Crede che pesi ancora, sugli eredi del Pci, l'accusa di aver seguito il doppio binario della prassi democratica, da un lato, e della teoria rivoluzionaria dall'altro?
    «Sono accuse senza senso. La via italiana al socialismo non significava rivoluzione, ma riforme e welfare. E quando il Pci ha appoggiato i movimenti rivoluzionari all'estero, lo ha fatto perchè quelle erano lotte per la democrazia. Solo che prima bisognava abbattere le dittature di quei paesi».

    Quali possono essere due «miti» condivisi all'interno del Pd?
    «Gli articoli 2 e 3 della nostra Costituzione. Laddove si riconoscono i diritti fondamentali dei cittadini e si dice che tutti sono uguali davanti alla legge».

    E la parentela con i democratici americani? Crede che sia un po' tirata per la giacca?
    «Risponderò citando Hilary Clinton, che pure non amo particolarmente. Quando le hanno chiesto cosa divide i democratici dai repubblicani, lei ha risposto: "Noi siamo per l'uguaglianza sociale e in questo non abbiamo niente a che spartire con i nostri avversari". Purtroppo mi sembra che l'uguaglianza sociale, da noi, non sia un fattore che separa così nettamente la destra dalla sinistra».

    http://www.unita.it/view.asp?IDcontent=78616

  2. #22
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    Citazione Originariamente Scritto da senhor soares Visualizza Messaggio
    ragazzi, sarò un romanticone, ma io quando sento l'internazionale mi commuovo sempre...
    anch'io

  3. #23
    in silenzio
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    Predefinito Re: L'Internazionale

    Consiglio di scrivere il testo originale in lingua francese.

    Risulterà evidente che il contenuto è condivisibile tranne per due punti:

    - il germe nazionalista insito nella matrice francofona e nella sua accezione di nazione

    - l'assenza dell'identità femminile come essenziale a trasmettere vita e valori umani nelle generazioni dei secoli

    - l'assenza della gratuità nell'azione : per lavoro pare riferirsi al solo lavoro retribuito, mentre nell'evoluzione della storia europea essenziale è sempre stato il lavoro - come dispendio energetico individuale - non retribuito (come la ricerca e la testimonianza, fino alla rivoluzione stessa)
    di necessità virtù

 

 
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